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14 dicembre 2003

Allen Sinai

"Non c'è nulla di atipico o di preoccupante in questa improvvisa accelerazione della ripresa americana: basta rifarsi agli esempi del passato per rendersi conto che una fiammata come quella che stiamo vivendo è del tutto normale quando la macchina produttiva si rimette in moto dopo una recessione". Allen Sinai, uno dei principali economisti degli Stati Uniti, è convinto che lo sbalzo del terzo trimestre (+8,2%) non sia un accidente momentaneo, ma il primo segnale concreto che il mondo ha davvero svoltato l'angolo.
Per andare dove?
"La ripresa americana ha cambiato marcia e presto l'accelerazione si sentirà anche da queste parti, anche se non escludo una certa volatilità: succede sempre così quando si arriva a una svolta in presenza di fattori esterni, come il terrorismo e le incertezze geopolitiche, che spingono in direzione opposta. In pratica, penso che la crescita americana si attesterà sul 5-6% nel primo semestre 2004, sul 4-5% per tutto l'anno. Questo spingerà l'Europa, che l'anno prossimo potrebbe finalmente superare la soglia del 2%".
Malgrado il supereuro?
"Certo il supereuro è una bella incognita, ma non sarebbe un problema se la crescita europea si basasse sulla domanda interna come quella americana. Invece i consumatori europei non spendono e probabilmente hanno le loro buone ragioni. Ma i governi europei non possono pretendere di farsi sempre trainare dall'export: se vogliono far girare la macchina in maniera autonoma devono mettere più soldi nelle tasche dei consumatori. L'unica strada è applicare una politica fiscale e monetaria espansiva, come si vede dai risultati americani".
In pratica?
"Per spingere la gente a consumare bisogna tagliare le tasse e per spingere le aziende a investire bisogna abbassare il costo del denaro, che avrebbe anche l'effetto benefico di riequilibrare il differenziale fra i tassi americani ed europei e quindi di bloccare la corsa del supereuro".
Ma queste sono proprio le politiche che hanno gonfiato il doppio deficit negli Stati Uniti, quello pubblico e quello commerciale. In Europa ci sono regole di austerità fiscale e monetaria che non consentono di andare in questa direzione.
"Sono regole assurde, che andrebbero cambiate. Vi costringono a remare nella direzione sbagliata. Quando l'economia gira la spesa pubblica può scendere, ma quando l'economia ristagna la spesa pubblica (e quindi il deficit) deve per forza aumentare se si vuole stimolare la crescita. Invece il Patto di stabilità vi costringeva a fare esattamente il contrario. E' stata una fortuna che la realtà vi abbia portato a violarlo, ora però andrebbe riformulato, perché così com'è fa solo danni. Lo stesso discorso vale per la politica monetaria: quando l'economia è ferma non ha senso combattere contro l'inflazione. In particolare se la Fed abbassa i tassi in maniera aggressiva, perché la Bce rema contro la ripresa, consentendo l'allargamento di un simile divario fra il costo del denaro al di qua e al di là dell'Atlantico?"
Insomma, lei mi sta dicendo che il supereuro ce lo siamo costruito noi, non è una reazione alla caduta del dollaro?
"E' frutto di un concorso di circostanze, in cui la strategia della Bce gioca un ruolo determinante. Io stesso, da investitore, non posso fare a meno d'investire nell'euro e lo sto già facendo da tempo. Non perché abbia poca fiducia nel dollaro, ma perché in effetti il rendimento della valuta europea, finché i tassi resteranno così alti, è molto più appetibile".
Quindi lei non teme un crollo verticale del dollaro, dovuto alla preoccupazione degli investitori davanti alla crescita smisurata dei deficit gemelli?
"No, non mi pare questo il problema. Deficit gemelli molto consistenti ne abbiamo avuti anche in passato e quando l'economia si è rimessa a crescere poco a poco sono rientrati da soli. Ora il problema da risolvere era un altro: la crisi economica. E con una politica espansiva l'abbiamo risolto. Il recente aumento degli investimenti aziendali lo dimostra: presto le imprese ricominceranno ad assumere ed entreremo in un periodo di crescita stabile".
E se l'euro dovesse superare quota 1,30?
"Fino a 1,30 non lo ritengo uno squilibrio troppo problematico. Oltre 1,30 escludo gravi ripercussioni negative sull'economia americana, ma per quella europea potrebbe essere un brutto colpo".

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