19 gennaio 2004
Peter Eigen
«In alcuni campi le percezioni sono più reali della realtà. La corruzione è uno di questi: quando le imprese si muovono in una società corrotta, temono di perdere i loro mercati a vantaggio dei concorrenti se non si adeguano. Nessuno vuole essere il primo a smettere». Peter Eigen, fondatore e presidente di Transparency International e grande amico dei giudici italiani di Mani Pulite, non è rimasto sorpreso dagli scandali societari emersi recentemente nel nostro Paese. Nel suo Corruption Perceptions Index, l' Italia è incagliata a quota 5,3 (in 35ma posizione insieme al Kuwait), un voto di gran lunga inferiore rispetto a tutti gli altri Paesi europei tranne la Grecia. Surclassata dagli Usa (18° posto, voto 7,5), dal Giappone (21° posto a pari merito con Israele, voto 7), da Francia, Spagna (23° posto, voto 6,9), Portogallo (25° posto, voto 6,6) e perfino da alcuni Paesi arabi, da Cipro, dalla Slovenia, dal Botswana, dall' Estonia e dall' Uruguay, l' azienda Italia vista da Transparency sembra davvero incorreggibile. «Invece non è vero - sostiene Eigen incoraggiante -: l' Italia ha fatto grandi progressi rispetto a qualche anno fa. Solo dal 2000 ha un punteggio superiore al cinque. Prima giocava in una lega diversa, quella dei Paesi sotto quota cinque, cioè seriamente corrotti. Certo anche gli altri nel frattempo sono migliorati, alcuni molto più velocemente dell' Italia». Per Eigen rompere il circolo vizioso della corruzione è stato il pallino degli ultimi dieci anni, da quando ha chiamato a raccolta le truppe irregolari della correttezza per arruolarle nel suo esercito nel ' 93, dopo aver lavorato per 25 anni alla Banca Mondiale senza essere riuscito ad abbattere dall' interno le resistenze dei governi ai tentativi di pulizia. Oggi la sua organizzazione, partita da un modesto ufficetto a Berlino, è rappresentata in oltre cento Paesi e ha un quartier generale dove lavorano sessanta persone. E' sponsorizzata da tutte le grandi multinazionali, da General Electric a Shell, da Siemens a Alcatel, da Ibm a Motorola. In dicembre la sua piattaforma di lotta alla corruzione è stata adottata ufficialmente dall' Onu. E il suo Corruption Perceptions Index - che misura la correttezza di un Paese in base alle percezioni di osservatori indipendenti, non in base a dei dati di fatto che in materia di corruzione difficilmente emergono alla luce del sole - viene letto attentamente da tutte le imprese del mondo prima di mettere mano al portafoglio degli investimenti all' estero. «I problemi che stanno emergendo in Italia in questo periodo non sono isolati - spiega Jermyn Brooks, braccio destro di Eigen ed ex presidente di Price Waterhouse, di cui ha guidato la fusione con Coopers nel ' 98 -. Dopo l' ubriacatura degli ultimi anni ' 90 tutto il mondo industrializzato è stato colpito dalla stessa sindrome. Ma in Italia ci sono alcuni tratti specifici che nell' Europa del Nord sono meno marcati, come la struttura societaria complessa di molte imprese, spesso guidata da holding domiciliate in un paradiso fiscale per evadere le tasse o sottrarre movimenti di capitali e manovre societarie al controllo delle autorità italiane». Brooks è particolarmente critico sul fatto che il sistema bancario italiano sia così disponibile ad accettare senza protestare tale mancanza di trasparenza. «E questo ci riporta a un altro tratto tipicamente italiano - puntualizza Brooks - cioè gli stretti legami personali o addirittura familiari tra banche e imprese, soprattutto a livello locale, che portano con sé grandissimi pericoli per gli investitori di minoranza. In fondo è proprio questo tipo di rapporti troppo intimi fra banche e imprese, al limite della connivenza, che critichiamo tanto nei Paesi del Sud-Est asiatico, ma è precisamente lo stesso modello che si ritrova anche in Italia». Brooks parla con cognizione di causa, data la sua carriera trascorsa tutta in una società di certificazione di bilancio. E proprio sul caso Parmalat il suo passato di contabile torna a galla: «L' Italia - rincara - è l' unico Paese d' Europa dove il certificatore principale può spartirsi il lavoro con un' altra società senza portarne la responsabilità, anche se la fetta dell' altra società sfiora il 50%. Negli altri 14 Paesi dell' Unione questo non è possibile. Ora non voglio dire che se Deloitte avesse messo il naso in quello che faceva Grant Thornton il problema sarebbe emerso in anticipo, ma insomma ». Malgrado le critiche, anche Brooks è convinto che l' Italia abbia fatto grandi progressi, soprattutto sulla scia dell' introduzione dell' euro. «Il nostro indice rispecchia chiaramente questa evoluzione, come viene percepita da un campione molto vasto e composito di uomini d' affari, politici, accademici e giornalisti, sia all' interno del Paese che all' estero. Le differenze fra Nord e Sud Europa con il tempo si assottigliano. E in parte anche fra l' Europa occidentale e gli Stati Uniti, nonostante l' indipendenza della magistratura americana sia molto più pronunciata e la necessità di rinforzare le regole e i controlli sembri molto più sentita. In Europa spesso si tende a chiudere un occhio, pensando di favorire così le imprese strangolate dalla crisi. Ma in realtà questo atteggiamento le danneggia, rendendole meno competitive».
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