26 maggio 2004
Basta con la ricerca in ordine sparso
Basta con la ricerca in ordine sparso. Bisogna far convergere le risorse sui temi d'eccellenza, confrontarsi con il panorama internazionale, individuare i settori in cui si può correre più degli altri. Ora le linee guida per riformare il Consiglio nazionale delle ricerche ci sono. I quattro comitati, in cui Adriano De Maio ha riunito i migliori cervelli d'Italia, hanno lavorato giorno e notte per mesi. Il serbatorio di conoscenze avanzate più capiente d'Italia, con dentro oltre quattromila ricercatori e 2.600 tecnici, è stato passato al settaccio per individuare i settori di eccellenza e le teste migliori. La chiamano "anagrafe strategica" del Cnr: "Ma quella che abbiamo scritto in questi mesi è solo l'introduzione a un libro di mille pagine. Ora bisogna vedere se ci saranno la volontà e le risorse per scrivere il resto, per mettere in pratica il nostro piano di rilancio", spiega il fondatore del Cefriel Maurizio Decina, uno degli esperti che hanno contribuito alla stesura della piattaforma Ict. Insieme alle altre tre piattaforme, dedicate alle Scienze della vita, alle Scienze della materia e alla Progettazione molecolare, si è lavorato per mettere su un binario unitario un carrozzone pieno di meraviglie, che finora vagava a briglia sciolta senza una direzione chiara. I risultati di questo lavoro verranno presentati la settimana prossima da De Maio, che si appresta ad abbandonare il posto di comando del Cnr, dov'è stato commissario per un anno. Il testimone passa nelle mani del fisico Fabio Pistella, membro fresco di nomina dell'Autorità per l'energia e vice-commissario al Cnr, designato a sorpresa presidente con un mese di anticipo sulla scadenza del mandato di De Maio.
"L'importante è che tutto il lavoro fatto in questi mesi non resti solo sulla carta", si augura Enrico Drioli, uno dei massimi esperti mondiali di tecnologia delle membrane e direttore dell'omonimo istituto del Cnr, che ha animato la piattaforma sulla Progettazione molecolare. "L'operazione avviata da De Maio - spiega Drioli, che ha coinvolto nel suo lavoro di setaccio un migliaio di ricercatori - ha messo in moto per la prima volta tutto il Cnr, nello sforzo di capire che cosa facciamo e dove stiamo andando. I problemi che abbiamo riscontrato sono molti: la frammentazione delle competenze in 107 istituti diversi che viaggiano slegati, la mancanza di multidisciplinarietà, l'età troppo elevata dei ricercatori, la mancanza di competizione interna e di riconoscimento delle professionalità, la carenza di riscontri e di valutazioni, la concentrazione del personale amministrativo là dove non serve, la burocrazia eccessiva. Ma non si può prescindere dalla questione dei finanziamenti: con un budget da 680 milioni non si va da nessuna parte. Per fare un lavoro serio bisognerebbe almeno recuperare quel 30-40% che ci è stato tolto negli ultimi anni. Per adeguarsi ai livelli degli altri Paesi ci vorrebbe un raddoppio".
"Se crediamo di poter essere bravi soltanto sull'orizzonte italiano, siamo destinati a morte certa", mette il dito sulla piaga Gian Nicola Babini, direttore dell'Istituto di scienza e tecnologia dei materiali ceramici di Faenza, uno dei fiori all'occhiello del Cnr. Babini si riconosce nella struttura dei sette progetti abbozzati dalle linee guida di De Maio: terra e ambiente, salute, energia, alimentare, valorizzazione del patrimonio culturale, manufacturing, identità culturale. Buoni punti di aggregazione per concentrare le forze, ma al momento dell'allocazione delle risorse sarà necessario tener conto del mercato. "Bisogna valutare il sistema produttivo italiano nel quadro europeo e mondiale. Solo partendo dal mercato mondiale si possono operare delle scelte in una prospettiva dinamica", insiste Babini. Di casa nel distretto delle piastrelle, Babini ha ben presente la rapida avanzata della Cina e delle altre potenze asiatiche sul fronte delle alte tecnologie. E capisce che il tempo stringe.
L'anno scorso la Cina ha speso 60 miliardi di dollari per la ricerca. L'Italia, che pure ha un Pil superiore, non è andata oltre i 10 miliardi. Non a caso la quota italiana del commercio mondiale nei beni ad alta tecnologia si è ridotta ormai al lumicino: siamo all'1,64%. Fra la trentina di Paesi dell'Ocse, solo Polonia, Grecia e Turchia stanno peggio. "La quota di brevetti depositati dall’Italia presso l'ufficio europeo di Monaco è solo il 3,5% contro il 6,9% della Francia e il 19,6% della Germania. D’altro canto l’Italia è tra i maggiori acquirenti di brevetti stranieri", spiega il presidente dell'Istituto di promozione industriale Riccardo Gallo. In questi numeri ci sono tutti i limiti della ricerca italiana, compresa quella fatta al Cnr. "E' mancata l'attenzione dello Stato, ma anche del Paese reale, nei confronti della ricerca scientifica", fa notare Luciano Caglioti, ordinario di Chimica alla Sapienza, consulente del Cnr e coordinatore del Comitato per il trasferimento tecnologico dell'Ipi. "Le carenze che troviamo oggi nel Cnr sono le stesse che affliggono l'università, dove negli ultimi cinquant'anni sono stati scoraggiati in tutti i modi i rapporti dei professori con il mercato", precisa Caglioti. Ci vuole uno sforzo ciclopico e collettivo per invertire una tendenza così radicata. Ammesso che basti.
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