29 settembre 2004
Il nucleare italiano passa per l'Europa
La via italiana al nucleare passa per l'Europa.
Con il via libera concesso dalla riforma Marzano, le aziende italiane possono ora gestire e produrre energia nucleare all'estero, riallacciando così quel filo spezzato dal referendum dell'87, che ha portato l'Italia a uscire da un settore dov'era all'avanguardia e alla nota inadeguatezza del sistema di generazione elettrica nazionale. Certo sarà impossibile ritornare nella situazione degli anni Cinquanta e Sessanta, quando l'Italia era il terzo produttore mondiale di energia atomica dietro agli Stati Uniti e alla Gran Bretagna. Ma i progetti sono molti: dall'ingresso di Enel nelle attività nucleari del colosso francese Edf alle acquisizioni in Est Europa (dove sta per assumere il controllo dei due reattori di Slovenske Elektrarne), dalla partecipazione di Ansaldo Energia nella costruzione dei tre reattori di Cernavoda in Romania all'appalto per l'assistenza tecnica nella centrale della penisola di Kola, vinto pochi giorni fa dalla Sogin insieme alla spagnola Iberdrola. "In un mercato unico dell'energia come sarà presto quello europeo - spiega Sergio Garribba, direttore generale responsabile per l'energia del ministero delle Attività Produttive - non è più molto importante su quale territorio sono situate le centrali nucleari che verranno gestite da imprese italiane. L'importante è riprendere in mano l'argomento in tempi brevi, in modo da non restare completamente tagliati fuori dalle decisioni comunitarie".
Di nucleare, infatti, si sta riprendendo a parlare in tutto il mondo, Europa compresa. Loyola de Palacio, vicepresidente e commissaria all'Energia, sostiene da tempo che il nucleare è l'unica via per contenere i prezzi e tutelare la sicurezza dell'approvvigionamento: "Cinque anni fa nessuno ne parlava, ma oggi il dibattito sull'energia nucleare è sul tavolo... L'Europa è destinata ad aumentare i suoi consumi di energia, specialmente di elettricità, e al momento attuale non ci sono fonti alternative cui ricorrere per coprire questo fabbisogno". L'aumento del prezzo del petrolio, che sembrerebbe strutturale, e l'instabilità politica dei Paesi produttori, insieme alle esigenze ambientali di limitare la combustione di idrocarburi sollevate dal protocollo di Kyoto, che escluderebbero un ritorno massiccio al carbone, ci spingono inevitabilmente verso l'energia atomica, malgrado gli incidenti di percorso, che hanno profondamente eroso il supporto dell'opinione pubblica occidentale a questa fonte di energia generata dalla mente di Enrico Fermi. Ecco perché prima della scadenza del suo mandato, alla fine di ottobre, la commissaria spagnola si è prefissa di arrivare all'approvazione della legislazione comunitaria sulla sicurezza degli impianti nucleari e sulla gestione delle scorie, a suo parere premessa indispensabile per lo sviluppo del nucleare in Europa: la versione riveduta e corretta del trattato Euratom, uno dei punti di riferimento cardinali dell'Unione, è in dirittura d'arrivo.
Il ritorno d'interesse per l'energia atomica parte dagli Stati Uniti, dove l'ultima delle 103 centrali attive è entrata in funzione nel '96. L'amministrazione Bush ha avviato un nuovo programma nucleare e ha spinto la Nuclear Regulatory Commission ad alleggerire il pesantissimo regime di permessi introdotto dopo l'incidente del '79 a Three Mile Island: il primo impianto di ultima generazione dovrebbe entrare in funzione nel 2010. Ma anche il resto del mondo si muove. In luglio, al congresso mondiale dell'Aiea a Obninsk, vicino a Mosca, la Russia ha annunciato di voler triplicare la produzione di energia nucleare nel giro di cinque anni. In Cina si stanno costruendo 2 reattori, in India 8, in Sud Corea 6, in Giappone 2, a Taiwan 2, in Sud Africa 1.
E l'Europa non è da meno. Nel Regno Unito (con 27 centrali il Paese più "nuclearizzato" d'Europa dopo la Francia e la Lituania) Tony Blair ha espresso in luglio, davanti alla commissione parlamentare competente, l'intenzione di avviare un nuovo programma nucleare per rimpiazzare i reattori che diventeranno obsoleti da qui al 2020. La Francia (che soddisfa con l'atomo il 75% del suo fabbisogno energetico) ha deciso di prolungare di altri vent'anni la vita delle proprie centrali e comunque progetta la costruzione in Normandia di un reattore di ultima generazione in consorzio con la Germania per fornire a Edf una tecnologia nuova quando dovrà rimpiazzare le prime centrali nel 2015. La joint-venture Framatome-Siemens, intanto, sta già costruendo un European Pressurized Water Reactor (Epr) da 1.600 MW a Olkiluoto, in Finlandia: un progetto da 3 miliardi di euro. In Germania, dove il governo Schroeder ha accettato sotto pressione degli alleati Verdi l'uscita dal nucleare entro il 2021, i leader cristiano democratico Angela Merkel e cristiano sociale Edmund Stoiber hanno messo in chiaro l'intenzione di fare marcia indietro, in caso vincessero le elezioni. Perfino in Svezia, uno dei primi Paesi a optare per una moratoria nucleare nell'80, quando decise di chiudere tutti i reattori entro il 2010, l'opinione pubblica sta tornando indietro: un recente sondaggio dell'università di Goteborg ha scoperto che solo l'11% degli svedesi concorda ancora con la decisione presa nell'80, mentre il 46% vorrebbe mantenere in vita gli 11 reattori attivi e il 15% addirittura costruirne degli altri.
Ma il nucleare di cui si parla oggi non è più lo stesso di una volta. Dai tempi in cui sono entrate in servizio la prime centrali nucleari utilizzate a scopi commerciali, come quella inglese di Calder Hall nel '56 - o quella di Latina nel '63, di Garigliano nel '64 e di Trino Vercellese nel '65 - la tecnologia si è notevolmente evoluta. Quasi tutti i reattori di prima generazione, costruiti poco dopo la fine della seconda guerra mondiale, sono stati già chiusi e la maggior parte di quelli ancora in funzione - detti di seconda generazione - risale alla fine degli anni Sessanta. In questo tipo di reattori si utilizza l'acqua come mezzo principale di raffreddamento, il che comporta una quantità di valvole, sensori, pompe e circuiti di grande complessità per rispettare le norme di sicurezza. "Ora l'industria nucleare ha sviluppato dei reattori di terza generazione - spiega William Magwood, responsabile dei programmi nucleari al dipartimento dell'Energia di Washington - che dipendono meno da sistemi di sicurezza meccanici e molto di più da strutture basate sulla forza di gravità o sulla convezione termica naturale: questo li rende più semplici e più sicuri".I primi due reattori di terza generazione, costruiti da un consorzio nippo-americano (General Electric insieme a Hitachi e Toshiba), sono entrati in funzione nel '97 nella centrale giapponese di Kashiwazaki. Il più avanzato è l'AP1000 di Westinghouse, l'impianto più piccolo e semplice mai concepito finora, sul cui modello si stanno costruendo due reattori in Sud Corea, che entreranno in produzione nel 2010. Ma il futuro sta nelle mani della quarta generazione, a cui lavora da anni una partnership di dieci Paesi (inclusi la Francia, il Regno Unito, la Svizzera e il Giappone), guidata dagli Stati Uniti: i sei reattori studiati dal consorzio, che intende arrivare alla fase di realizzazione entro il 2015, opereranno ad altissime temperature (500-1000°), per ottenere la massima efficienza e ridurre al minimo la produzione di scorie, incapsulando le convenzionali pasticche di uranio in sfere delle dimensioni di palle da biliardo e sostituendo all'acqua elio o sale fuso nel circuito di raffreddamento. "L'Italia - precisa Garribba - per ora è esclusa dal gioco perché non ha centrali attive. Ma abbiamo chiesto di partecipare, almeno come osservatori".
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