28 ottobre 2004
Le Authorities vanno a scuola a Firenze
Una piattaforma comune ai 25 Paesi dell'Unione dove mettere assieme le conoscenze delle autorità regolatorie europee con quelle dei decisori politici e industriali, degli accademici e dei ricercatori, per sviluppare un linguaggio e una cultura regolatoria comune, anticipare nuove sfide e disseminare le best practices. Sarà tutto questo e forse qualcosa in più la Florence School of Regulation, che ha appena aperto i battenti all'European University Institute di Firenze, come joint venture fra la Commissione europea, il Consiglio delle autorità europee dell'energia (Ceer) e il Centro Robert Schuman di studi avanzati sotto la direzione di Pippo Ranci. "Partiamo come punto di riferimento europeo per chi si occupa di regolamentare il mercato dell'energia, anche perché siamo sostenuti dalle imprese del settore - spiega Ranci, ex presidente dell'Autorità per l'energia - ma contiamo di allargarci agli altri mercati regolamentati, cercando di riempire un vuoto molto sentito in questo campo: non esiste un luogo in Europa dove i decisori del mercato unico possano confrontarsi con le autorità regolatrici nazionali e con gli studiosi europei, per sottoporre a un'analisi comparata i meccanismi nati dalle esigenze interne di ogni settore". A riempire questo vuoto arriva ora la Florence School of Regulation, nata da una precedente consuetudine fra il Ceer e l'European University Institute, dove insegna anche Giuliano Amato, uno dei primi presidenti dell'Antitrust. "Già da qualche anno - precisa Ranci - il Ceer tiene qui i corsi di formazione per i dipendenti delle diverse Autorità europee dell'energia. La scuola parte da questo nucleo già esistente per allargare il suo campo d'azione a seminari più articolati e più aperti, ma anche a corsi brevi più avanzati, pensati per far incontrare i vertici delle Autorità con rappresentanti della Commissione, accademici e imprese". La missione della scuola fiorentina si ferma qui: non è stata pensata per arrivare a veri e propri corsi universitari strutturati, già offerti da altri istituti europei. "Cercheremo di fare quello che le altre università non fanno - commenta Ranci - muovendoci fra iniziative più ristrette e grandi conferenze di alto livello, come quella che stiamo già organizzando per la prossima primavera". L'interesse per l'iniziativa, del resto, già oggi non manca: i dieci nuovi membri dell'Unione sono i più attivi sul fronte dell'apprendimento, ma arrivano segnali anche dall'esterno. "Abbiamo avuto richieste di partecipare ai nostri corsi anche da Paesi non ancora aderenti, come la Romania e la Turchia", fa notare Ranci. Segno che la scuola fiorentina ha molto lavoro da fare.
22 ottobre 2004
Gli operatori wireless hanno scoperto Dio
Lo strumento più diabolico del creato si converte sulla via di Damasco. Sms pubblicitari, musica da scaricare o tv sul telefonino non bastano più: ora gli utenti dei cellulari hanno trovato Dio. Dalla cupola di San Pietro alle atmosfere New Age, dai minareti di Dubai ai templi indù di Bombay, dalle guglie metodiste di Manchester al Muro del tempio di Gerusalemme, la svolta spirituale degli operatori wireless si percepisce a tutte le latitudini. Per soddisfare le esigenze di ogni fede, servizi di messaggistica religiosa spuntano come funghi ai quattro angoli del globo.
Per i seguaci dell'Islam, che già da anni hanno imparato a sfruttare in chiave ideologica i potenti mezzi della tecnologia, saranno disponibili entro la fine dell'anno in India, Bangladesh, Indonesia e Malesia dei telefonini prodotti dalla società LG Electronics, insieme all'operatore Ilkone Mobile Telecom di Dubai, che ricordano le ore delle cinque preghiere quotidiane, contengono in memoria il calendario lunare, oltre a una serie di versetti del Corano, e indicano la direzione della Mecca. Ma anche gli islamici che non vogliono cambiare il telefonino possono utilizzare i servizi di diverse società specializzate per “islamizzarlo”: ad esempio con il “muezzin digitale” della MyAdhan, che manda a chiunque lo richieda un sms con gli orari giusti per pregare nella sua area geografica, o attraverso il portale francese MobIslam, che offre loghi e suonerie islamiche, oltre al solito servizio di segnalazione degli orari di preghiera.
Il Vaticano non è da meno: Verizon ha appena lanciato il Pensiero del giorno del Papa – già disponibile da tempo in Irlanda e Regno Unito attraverso Vodafone - che arriva sul telefonino ai suoi utenti americani per la modica cifra di 30 cent a messaggino. Il Vaticano partecipa all'affare confezionando gli sms attraverso il provider italiano Acotel. Ora si sta pensando anche alla diffusione di mms con le immagini della messa domenicale in San Pietro. Sempre negli Stati Uniti, da settembre la californiana SMS Media Group offre il servizio Mfaith, che invia ogni giorno verso le 11 un sms con un versetto del Nuovo Testamento. Un servizio analogo è già disponibile da tempo in Australia, attraverso la locale Bible Society. In Russia la diocesi di Voronezh ha lanciato una “scuola di Bibbia” gratuita per sms, inviando ogni giorno, a chiunque lo chieda, qualche frase dell'Antico Testamento con allegati i compiti per casa.
Nelle Filippine, la società Smart Communications ha inventato un “rosario mobile” per aiutare a tenere il conto delle preghiere: ogni volta che si clicca sul telefonino si avanza di un grano. E' disponibile anche una “Via Crucis mobile” con delle immagini adatte a ognuna della 14 stazioni, che servono d'ispirazione all'utente in preghiera. Le autorità cattoliche filippine hanno vietato invece le confessioni per sms, che cominciavano a diffondersi. In Olanda l'episcopato locale offre 15 diverse suonerie con inni cattolici a 1,15 euro ciascuno. Nel Regno Unito l'Unione delle chiese metodiste ha lanciato qualche mese fa una campagna per chiedere ai giovani d'inventare un nuovo comandamento per il 21° secolo, da aggiungere ai dieci già noti, ed è stata sommersa da migliaia di sms con i suggerimenti più svariati. "Non devi adorare falsi idoli pop" è il comandamento che ha vinto il concorso, guadagnandosi in premio un videotelefonino.
Anche in India si può trovare l'ispirazione religiosa via cellulare attraverso l'operatore BPMobile, che invia le preghiere dei suoi utenti, mandate per sms, a un tempio di Bombay dove vengono offerte al Dio indù Ganesh. Lo stesso procedimento viene usato da una società israeliana per soddisfare l'antica usanza ebraica di infilare le proprie preghiere scritte su un bigliettino nelle fessure tra le antiche pietre del Muro del tempio di Salomone a Gerusalemme: un rabbino s'incarica di trascrivere gli sms e piazzarli nel luogo più sacro all'ebraismo mondiale.
Perfino gli insegnamenti New Age del guru Deepak Chopra si possono ricevere quotidianamente, abbonandosi per 3,25 dollari al mese a un servizio chiamato le Sette Leggi Spirituali, dal titolo del suo libro più famoso. Il servizio, disponibile solo negli Stati Uniti attraverso due operatori telefonici, fornisce un aforisma quotidiano e una serie di consigli dietologici. "E' straordinario - ha commentato recentemente lo stesso Chopra - che la gente possa trovare sollievo in frasi così brevi. Forse basta un piccolo richiamo quotidiano per non dimenticare il senso profondo della vita".
21 ottobre 2004
Utilities, aggregazioni a rilento
"Aggregazioni secondo logiche industriali, non politiche. E privatizzazioni vere, non di facciata". Questo - secondo Renato Brunetta, consigliere economico di Palazzo Chigi - è l'obiettivo del governo nella battaglia delle utilities, che "rischia di finire come quella fra i capponi di Renzo", se non si darà un colpo di acceleratore ai processi di fusione in corso. La spinta a cui pensa il governo consiste in uno sconto fiscale sulle cessioni di quote delle ex-municipalizzate e in altri meccanismi per incentivare le privatizzazioni. "Stiamo inserendo nella finanziaria - spiega Brunetta - una serie di premi e punizioni per indurre gli enti locali a vendere quote, senza se e senza ma. La trasformazione delle ex-municipalizzate in Spa è stata un passo avanti, ma non si capisce perché i Comuni debbano restare proprietari delle Spa". Il forte divario fra la privatizzazione formale e sostanziale delle utilities è sottolineato anche dall'ultimo rapporto di Confservizi: le Spa, che erano 650 all'inizio del 2003, sono oggi 710, ma gli enti locali prevalgono di gran lunga come unici proprietari (73%) o come azionisti di maggioranza (23,6%), mentre solo una piccola percentuale (3,4%) ha optato per una quota minoritaria. E l'identificazione fra Comuni e aziende dei servizi pubblici fa da barriera alle aggregazioni: "La frammentazione degli operatori italiani è la più elevata in Europa - commenta Brunetta - e se non ci sbrighiamo a privatizzare fra di noi, arriverà qualcun altro di dimensioni ben più consistenti che lo farà a nostre spese".
Fra le norme che Brunetta vuole ribaltare c'è anche il famigerato provvedimento, inserito nella finanziaria dell'anno scorso, che consente alle società pubbliche l'affidamento degli appalti senza gara. Sullo stesso punto batte anche Pier Luigi Bersani: “Prima di privatizzare bisogna liberalizzare, correggendo le norme illiberali che favoriscono le aziende pubbliche invece di stimolare la concorrenza. Prima viene la liberalizzazione, che spinge alla crescita e alle aggregazioni, poi la privatizzazione. Altrimenti si finisce per privatizzare i monopoli”. Secondo Bersani, il processo di liberalizzazione e privatixzzazione avviato con la riforma del mercato elettrico che porta il suo nome, “sta andando indietro, non avanti”.
In effetti il processo di aggregazione delle utilities italiane, per ammissione di tutti gli attori interessati, fa fatica a scaricare la pesante zavorra del campanilismo e dei contrasti ideologici. Dopo l'aggregazione di Hera nel 2002 e la fusione fra Acegas (Trieste) e Aps (Padova) nel 2003, nel settore c'è sempre molto movimento, ma di accordi nero su bianco se ne vedono pochi. Comincia appena a prendere forma il maxi-polo delle utilities lombarde, promosso dal governatore Roberto Formigoni: le 21 aziende coinvolte nel progetto-pilota costituirebbero da sole il quarto operatore nazionale nel gas, il terzo nell'energia elettrica e il primo nel settore idrico e nell'igiene urbana. Per ora il modello Formigoni punta a una holding leggera e non coinvolge operatori nazionali come Edison, che invece rientrerebbe nella vecchia idea del “polo elettrico” alternativo a Enel con Aem Milano e Asm Brescia, su cui sta lavorando anche Mediobanca. Sul progetto, caldeggiato dal presidente della commissione Attività Produttive della Camera Bruno Tabacci, pesa però l'incognita Edf, che in primavera potrebbe diventare la padrona assoluta del secondo operatore elettrico italiano. E nel frattempo su Edison ha messo gli occhi anche il gruppo Endesa, il gigante spagnolo dell'energia - già alleato ad Asm Brescia nella conquista di Elettrogen - che considera l'Italia il suo principale mercato d'espansione. Mentre gli ex-monopolisti europei si danno da fare, sulla via Emilia la trattativa fra Meta (Modena) e le utilities di Piacenza, Parma e Reggio Emilia, sembrerebbe naufragata. E l'alternativa dell'alleanza con Hera ancora distante. Nel Nord-Est, la voglia di Nes (che doveva raccogliere otto municipalizzate partecipate da oltre 130 Comuni veneti e friulani) sta incontrando parecchie resistenze. Il tandem fra Vesta e Iris - le utilities di Venezia e Gorizia, forze trainanti del progetto - si scontra con le aspirazioni di crescita di Acegas-Aps, rivolte sia verso il Friuli che verso il Veneto. Dai friulani di Cafc, una pedina importante nel gioco di Nes, agli udinesi di Amga, dai veronesi di Agsm a Asco-Piave, le alleanze restano così in bilico. Continua invece il processo di avvicinamento fra l'Aem di Torino e l'Amga di Genova e sembrerebbe in dirittura d'arrivo il matrimonio fra Asm (Brescia) e Bas (Bergamo). Ma non è mai detta l'ultima parola. Bas sembrava già convolata a giuste nozze con l'Acsm di Como, quando un ribaltone politico ha rimesso tutto in discussione. E da qui emerge la debolezza di fondo di queste alleanze: finché si tratterà di imparentamenti basati sulle affinità elettive dei sindaci di questo o quel colore e non sulle logiche industriali, sarà difficile approdare a risultati seri e duraturi.
15 ottobre 2004
La via lituana alla liberalizzazione
E-government: fino a due anni fa in Lituania era una parola quasi sconosciuta. Ma con l'avvicinamento del piccolo Paese baltico all'Unione europea, sfociato in maggio nell'adesione, l'interesse per l'argomento cresce rapidamente. La penetrazione di Internet nelle case è aumentata del 15% nell'ultimo anno, riguadagnando il terreno perduto ai tempi della dominazione sovietica. La spinta commerciale ha causato una crescente diffusione dei computer nelle famiglie e un forte investimento del settore pubblico sui livelli formativi della popolazione sta facendo il resto. Ha trovato quindi terreno fertile lo sforzo italiano di portare a Vilnius un po' di e-government.
Nell'ambito del processo di adeguamento agli standard europei, infatti, il ministero italiano dell'Economia si è fatto carico di sostenere l'Authority lituana dell'energia nello sviluppo e l'articolazione delle attività regolatorie, comprese le necessità di comunicazione con i cittadini e le imprese locali. Il progetto, durato due anni, rientra nel concetto di "gemellaggio amministrativo", uno strumento di assistenza a favore dei nuovi Paesi membri e dei candidati all'adesione che si è rivelato fondamentale per il rafforzamento delle istituzioni locali, ma anche dei rapporti fra i nuovi aderenti e il nucleo originale dei Quindici. Negli ultimi tre anni, amministrazioni ed enti italiani hanno realizzato 46 progetti di gemellaggio. I progetti nascono da richieste del Paese beneficiario interessato ad accrescere le proprie capacità istituzionali in un determinato settore: sulla base di queste richieste ogni Paese membro può elaborare una proposta. Alla "gara" per l'Authority lituana dell'energia hanno partecipato anche i tedeschi e i danesi: "Ma gli italiani - spiega Vidmantas Jankauskas, presidente dell'Autorità - sono quelli che ci hanno fatto l'impressione migliore". Così per due anni una piccola truppa di 54 esperti italiani in otto diversi ambiti si sono trasformati in pendolari, passando circa una settimana al mese a Vilnius sotto la guida di Francesca Davoli, delegata dal ministero a coordinare la missione in loco.
La presenza italiana ha avuto notevoli ricadute sul quadro istituzionale, il sistema tariffario, i controlli di qualità, la riduzione delle controversie, le relazioni internazionali e i sistemi informatici dell'Authority lituana. Ma fra i risultati più interessanti saltano all'occhio quelli ottenuti nell'ambito della comunicazione. "Per un Paese uscito di recente da cinquant'anni di dittatura, la trasparenza nei rapporti istituzionali è un obiettivo particolarmente difficile da capire e da raggiungere", commenta Daniele Comboni, docente allo Iulm ed esperto di comunicazione d'impresa, che ha curato quest'area insieme ad Alessandro Papini, ricercatore allo Iulm ed esperto di e-government. "All'inizio c'è stata un po' di resistenza - precisa Papini - ma col tempo le acque si sono calmate e quando siamo arrivati all'inaugurazione del sito dell'Authority erano tutti entusiasti". La reticenza dello spirito nordico ha ceduto all'espansività mediterranea. Il risultato è un sito costruito sulla base dei più moderni standard di e-government, in cui cittadini e imprese possono trovare ogni tipo di informazioni sull'Authority, le tariffe, i contratti di licenza, gli atti legali, possono scaricare documenti e possono aprire un dialogo interattivo con gli esperti. "Quando sono arrivati i primi quesiti - ricorda Papini - c'è stato un attimo di sbandamento. Poi abbiamo messo in piedi una procedura standard, in cui ogni domanda dev'essere evasa entro cinque giorni: chi la riceve deve girarla al funzionario più competente in materia, che poi la restituisce all'area comunicazione, dove si controlla che la risposta sia comprensibile anche a un cittadino comune e la si mette in rete".Ora che il dialogo con la gente è avviato, starà alle autorità lituane mantenerlo vivo.
14 ottobre 2004
Liberalizzazione, indietro tutta
Liberalizzazione, indietro tutta. Stretto fra l'incudine del caro-greggio e il martello della scarsa competizione, il mercato libero dell'energia muore stritolato. E il ministero dell'Economia, che con una mano mette in vendita da oggi la terza tranche di Enel, con l'altra si assicura la pace sociale rimandando di un trimestre i rincari sulle tariffe per le famiglie. Ma intanto la bolletta elettrica sta diventando una questione di vita o di morte per migliaia di italiani. Nel Sulcis, milleduecento buste paga sono appese da mesi al filo del costo dell'energia: la più importante azienda italiana trasformatrice di piombo e di zinco, la Portovesme, fatica a star dietro alla concorrenza mondiale con una bolletta elettrica doppia rispetto ai rivali spagnoli e quasi tripla di quelli tedeschi. Gli utenti domestici, invece, pagano tariffe ragionevolmente vicine alla media europea, che privilegiano i consumi molto bassi - come quelli dei single che mandano le camicie in lavanderia - e penalizzano le famiglie numerose. Uno strabismo tariffario che alla lunga non conviene né agli uni né agli altri. Già oggi, tra gli utenti che hanno scelto il mercato libero serpeggia l'inquietudine e qualcuno confessa la tentazione di tornare al mercato vincolato. Se questo accadesse, la liberalizzazione italiana sarebbe fallita. E le conseguenze, dalla fuga degli investimenti alla perdita di competitività, ricadrebbero su tutto il Paese, famiglie comprese.
"Per ora riusciamo a reggere perché l'acciaio vende bene - commenta Antonio Gozzi, a.d. del gruppo Duferco e presidente dell'Associazione italiana elettrosiderurgici - ma sui contratti per l'anno prossimo, in discussione in questi giorni, si profilano aumenti del 20%, che si assommeranno ai rincari del 10% sofferti quest'anno. Considerando che la bolletta elettrica rappresenta il 25-30% dei nostri costi produttivi, non c'è da stupirsi se la siderurgia italiana, seconda in Europa dopo quella tedesca, abbandona il campo per produrre sempre di più all'estero, con conseguente perdita di posti di lavoro". Analogo grido di dolore viene dalle piccole e medie imprese: non divorano energia come l'industria siderurgica, ma la bolletta la pagano anche loro. E non fanno mistero di considerarla una delle ragioni principali per cui la delocalizzazione conviene. I grossisti, che hanno appena ricevuto le offerte di Enel per il 2005, si torcono le mani: dai 52 euro a megawattora di quest'anno, l'ex monopolista è passato a chiederne 62 per l'anno prossimo, il 16% abbondante in più. Carlo Tortato, presidente del Consorzio Unindustria Multiutilities, che acquista altrove l'energia per le imprese della provincia di Treviso, prevede "almeno una stangata del 10-12%". E' fra i più fortunati.
Risultato: tutti gli svantaggi si accumulano su chi ha scelto la strada del mercato libero, già un'infima minoranza di 20-25mila utenti consumatori rispetto alla grande platea del mercato libero potenziale, da luglio arrivato teoricamente alla soglia di 7 milioni. Mentre gli utenti vincolati per ora si salvano sotto l'ala protettrice dell'Authority. Ma non per molto. Con l'attuale mix italiano di combustibili - frutto di gravi errori strategici compiuti al tempo del monopolio - ogni dollaro in più sul barile di greggio fa aumentare il costo di generazione di un euro, producendo con un aggravio di almeno il 2% sui prezzi lordi del megawattora, quasi il doppio rispetto al Regno Unito, due volte e mezzo la Spagna, oltre sei volte la Germania, oltre 12 volte la Francia nuclearista. E allora com'è possibile che in un'annata in cui il greggio prezzo del petrolio è aumentato del 40%, il prezzo amministrato dell'energia sia sceso dello 0,4%? Com'è possibile che nell'ultimo trimestre dell'anno l'Authority di Alessandro Ortis abbia alzato le tariffe solo dello 0,7%, quando tutti gli operatori si attendevano rincari ben più salati? "E' un miracolo - ha detto il ministro delle Attività produttive Antonio Marzano" - contenere le bollette in questo limite, molto al di sotto del tasso d'inflazione".
Il miracolo di cui parla Marzano ha un nome e un cognome: si chiama Nando Pasquali, presidente e a.d. dell'Acquirente Unico, la società creata dal Grtn che da qualche mese è subentrata a Enel per garantire le forniture del mercato vincolato. Il contenimento delle tariffe per il mercato vincolato dipende dalle operazioni di trading su energia Cip6 attuate da Pasquali nel primo trimestre dell'anno e dall'assegnazione diretta della convenientissima energia francese disponibile su base giornaliera, che prima veniva messa correttamente all'asta fra tutti gli operatori. In questo modo, al momento di stabilire le tariffe per il trimestre in corso, il responsabile degli acquisti per il mercato vincolato si è trovato in tasca - toh! - ben 84,7 milioni di euro, che ha buttato zitto zitto sulla bilancia per contenere i rialzi. Operazione una tantum del tutto legittima, ma molto poco pubblicizzata.
Il che ci rimanda all'antico dirigismo energetico - quando il governo tamponava l'emergenza prendendo dall'uno per trasferire all'altro senza dare spiegazioni - incompatibile con le regole di trasparenza e con l'esigenza di certezze del mercato libero. "Per consentire agli operatori di fare le valutazioni necessarie alla stipula dei contratti 2005 e al buon funzionamento del mercato libero, è essenziale che le informazioni 'sensibili', come le assegnazioni asimmetriche di energia Cip6 o d'importazione, ma anche il quadro tariffario che l'Authority ha in mente, siano rese tempestivamente disponibili al mercato", ammonisce Antonio Urbano di Dynameeting, grossista indipendente. Resta da chiedersi che cosa succederà l'anno prossimo alle bollette delle famiglie, dopo questa provvidenziale abbondanza di mezzi, scoperta con sei mesi di ritardo proprio al momento giusto. C'è chi prevede rincari del 10-15%. “E' presto per fare previsioni”, risponde lapidario Alessandro Ortis.
6 ottobre 2004
Operazione verità sul Cip6
Con il caro energia eletto a emergenza nazionale, la corsa a tagliare i sussidi inutili, che poi pesano sulla bolletta, diventa prioritaria. Da qui il voto unanime della commissione Attività produttive della Camera a favore di un emendamento alla legge comunitaria - ormai in dirittura d'arrivo - per cancellare ogni agevolazione alla produzione elettrica che, pur non derivando da fonti rinnovabili, è stata “assimilata” a queste fonti verdi da una famigerata delibera del Comitato interministeriale prezzi, varata nel lontano 1992, la cosiddetta Cip6. Gli oneri derivanti dagli incentivi all'energia “Cip6” pesano sulle bollette degli italiani per oltre due miliardi di euro all'anno e sussidiano per la maggior parte fonti molto poco ecologiche, come i residui della raffinazione e di altri processi industriali. Risultato: le fonti veramente rinnovabili ricevono solo una minima parte dei fondi a loro destinati (oggi non più del 20% degli incentivi Cip6), contribuendo per un magro 4% alla produzione elettrica italiana complessiva, mentre le “assimilate” (spesso altamente inquinanti) arrivano al 15%. Domanda: “Se è vero che in base alle direttive europee l'Italia dovrà arrivare entro il 2012 a produrre oltre il 20% della sua energia da fonti rinnovabili, che cosa faremo quando si scoprirà il trucco?”, si chiede il diessino Erminio Quartiani, primo firmatario dell'emendamento. Risposta: “Forse faremmo meglio a fermare questa truffa il prima possibile e a usare i due miliardi all'anno risparmiati per sostenere le vere rinnovabili, oltre che per alleggerire le bollette degli italiani”, rileva Quartiani.
I contratti Cip6, che dal '92 a oggi sono costati alle famiglie italiane circa venti miliardi di euro, furono avviati per incentivare le fonti rinnovabili, ma anche per promuovere una produzione di energia alternativa al monopolio allora vigente, nel primo tentativo di liberalizzazione di un mercato completamente dominato da Enel. Ma in questo modo si creò una situazione di mercato assistito: l'elettricità Cip6 è acquistata dal Gestore della rete a un prezzo molto più alto (0,9 euro a chilowattora) di quello corrente ed è rivenduta ai consumatori liberi tramite aste, in cui la base d'asta è molto più bassa del prezzo di acquisto (0,5 euro a chilowattora). In pratica, si tratta di un sussidio ai grandi consumatori. Le utenze vincolate, cioè le famiglie, oltre a pagare l'incentivo ai produttori di energia "verde" (la differenza fra energia Cip6 e prezzo corrente) attraverso una voce della bolletta, reintegrano anche il sussidio ai grandi consumatori, che spesso sono gli stessi produttori originari. Nel 2003, i beneficiari dell'incentivo per la produzione di energia da fonti "assimilate" sono stati Edison (41,2%), Sarlux (10,8%), Erg (10,2%), Acea (6,3%), Foster Wheeler (5,1%), Enipower (4,3%) e Apienergia (3,4%).Ma l'"operazione verità", sollecitata a lungo dal presidente della commissione Attività produttive Bruno Tabacci, non può essere portata a termine immediatamente: "Bisogna attendere che i contratti Cip6 scadano", spiega Quartiani. Questione di pochi mesi per alcuni, di qualche anno per altri. Entro il 2008-2009 la "truffa legalizzata" del Cip6 - com'è stata definita da Tabacci - potrebbe essere eliminata e le bollette degli italiani parecchio alleggerite. Basterebbe infatti trasferire soltanto una modesta parte di questi incentivi alle energie effettivamente "verdi" per raggiungere risultati strabilianti, che metterebbero l'Italia sulla buona strada per raggiungere l'obiettivo fissato da Bruxelles. Secondo i calcoli di Legambiente, sui due miliardi di euro all'anno attualmente sborsati dalle famiglie italiane per il Cip6, basterebbe destinarne 70 milioni all'energia fotovoltaica per centrare l'obiettivo di 300 MW installati nel 2012, contro i 26 attuali. In questo modo si potrebbe finanziare il famoso incentivo "in conto energia" per i pannelli fotovoltaici, varato l'anno scorso con un decreto del Consiglio dei ministri e mai tradotto in pratica. Con il decreto, che doveva essere finanziato entro il giugno scorso, si modifica l'attuale meccanismo d'incentivazione dei pannelli fotovoltaici seguendo il modello della Germania, leader europeo con 400 MW di potenza installata. I tedeschi hanno introdotto da qualche anno il "contatore che torna indietro": chi installa i pannelli sul tetto, quando immette nella rete elettrica l'elettricità che produce, riceve un incentivo congruo al chilowattora. A differenza del contributo all'acquisto dell'impianto attualmente vigente - una tantum legata ai tempi e alla disponibilità della burocrazia - questo meccanismo incentiva la scelta di pannelli più efficienti e spinge alla loro manutenzione per non perdere chilowattora di produzione. In sostanza, com'è successo in Germania, spinge allo sviluppo di un vero e proprio business sull'energia solare, che l'attuale meccanismo d'incentivazione dei "Tetti Fotovoltaici" in Italia non è riuscito a creare: gli impianti installati con i finanziamenti pubblici non sono andati oltre i 4-5 MW complessivi. Per un Paese dove l'impiego del solare potrebbe coprire il 90% del consumo elettrico residenziale nelle città del Centro-Sud, è lecito parlare di fallimento.
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