6 ottobre 2004
Operazione verità sul Cip6
Con il caro energia eletto a emergenza nazionale, la corsa a tagliare i sussidi inutili, che poi pesano sulla bolletta, diventa prioritaria. Da qui il voto unanime della commissione Attività produttive della Camera a favore di un emendamento alla legge comunitaria - ormai in dirittura d'arrivo - per cancellare ogni agevolazione alla produzione elettrica che, pur non derivando da fonti rinnovabili, è stata “assimilata” a queste fonti verdi da una famigerata delibera del Comitato interministeriale prezzi, varata nel lontano 1992, la cosiddetta Cip6. Gli oneri derivanti dagli incentivi all'energia “Cip6” pesano sulle bollette degli italiani per oltre due miliardi di euro all'anno e sussidiano per la maggior parte fonti molto poco ecologiche, come i residui della raffinazione e di altri processi industriali. Risultato: le fonti veramente rinnovabili ricevono solo una minima parte dei fondi a loro destinati (oggi non più del 20% degli incentivi Cip6), contribuendo per un magro 4% alla produzione elettrica italiana complessiva, mentre le “assimilate” (spesso altamente inquinanti) arrivano al 15%. Domanda: “Se è vero che in base alle direttive europee l'Italia dovrà arrivare entro il 2012 a produrre oltre il 20% della sua energia da fonti rinnovabili, che cosa faremo quando si scoprirà il trucco?”, si chiede il diessino Erminio Quartiani, primo firmatario dell'emendamento. Risposta: “Forse faremmo meglio a fermare questa truffa il prima possibile e a usare i due miliardi all'anno risparmiati per sostenere le vere rinnovabili, oltre che per alleggerire le bollette degli italiani”, rileva Quartiani.
I contratti Cip6, che dal '92 a oggi sono costati alle famiglie italiane circa venti miliardi di euro, furono avviati per incentivare le fonti rinnovabili, ma anche per promuovere una produzione di energia alternativa al monopolio allora vigente, nel primo tentativo di liberalizzazione di un mercato completamente dominato da Enel. Ma in questo modo si creò una situazione di mercato assistito: l'elettricità Cip6 è acquistata dal Gestore della rete a un prezzo molto più alto (0,9 euro a chilowattora) di quello corrente ed è rivenduta ai consumatori liberi tramite aste, in cui la base d'asta è molto più bassa del prezzo di acquisto (0,5 euro a chilowattora). In pratica, si tratta di un sussidio ai grandi consumatori. Le utenze vincolate, cioè le famiglie, oltre a pagare l'incentivo ai produttori di energia "verde" (la differenza fra energia Cip6 e prezzo corrente) attraverso una voce della bolletta, reintegrano anche il sussidio ai grandi consumatori, che spesso sono gli stessi produttori originari. Nel 2003, i beneficiari dell'incentivo per la produzione di energia da fonti "assimilate" sono stati Edison (41,2%), Sarlux (10,8%), Erg (10,2%), Acea (6,3%), Foster Wheeler (5,1%), Enipower (4,3%) e Apienergia (3,4%).Ma l'"operazione verità", sollecitata a lungo dal presidente della commissione Attività produttive Bruno Tabacci, non può essere portata a termine immediatamente: "Bisogna attendere che i contratti Cip6 scadano", spiega Quartiani. Questione di pochi mesi per alcuni, di qualche anno per altri. Entro il 2008-2009 la "truffa legalizzata" del Cip6 - com'è stata definita da Tabacci - potrebbe essere eliminata e le bollette degli italiani parecchio alleggerite. Basterebbe infatti trasferire soltanto una modesta parte di questi incentivi alle energie effettivamente "verdi" per raggiungere risultati strabilianti, che metterebbero l'Italia sulla buona strada per raggiungere l'obiettivo fissato da Bruxelles. Secondo i calcoli di Legambiente, sui due miliardi di euro all'anno attualmente sborsati dalle famiglie italiane per il Cip6, basterebbe destinarne 70 milioni all'energia fotovoltaica per centrare l'obiettivo di 300 MW installati nel 2012, contro i 26 attuali. In questo modo si potrebbe finanziare il famoso incentivo "in conto energia" per i pannelli fotovoltaici, varato l'anno scorso con un decreto del Consiglio dei ministri e mai tradotto in pratica. Con il decreto, che doveva essere finanziato entro il giugno scorso, si modifica l'attuale meccanismo d'incentivazione dei pannelli fotovoltaici seguendo il modello della Germania, leader europeo con 400 MW di potenza installata. I tedeschi hanno introdotto da qualche anno il "contatore che torna indietro": chi installa i pannelli sul tetto, quando immette nella rete elettrica l'elettricità che produce, riceve un incentivo congruo al chilowattora. A differenza del contributo all'acquisto dell'impianto attualmente vigente - una tantum legata ai tempi e alla disponibilità della burocrazia - questo meccanismo incentiva la scelta di pannelli più efficienti e spinge alla loro manutenzione per non perdere chilowattora di produzione. In sostanza, com'è successo in Germania, spinge allo sviluppo di un vero e proprio business sull'energia solare, che l'attuale meccanismo d'incentivazione dei "Tetti Fotovoltaici" in Italia non è riuscito a creare: gli impianti installati con i finanziamenti pubblici non sono andati oltre i 4-5 MW complessivi. Per un Paese dove l'impiego del solare potrebbe coprire il 90% del consumo elettrico residenziale nelle città del Centro-Sud, è lecito parlare di fallimento.
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