5 gennaio 2005
Un bosco italiano sull'Orinoco
Lungo il basso corso dell'Orinoco, là dove le acque dell'immenso fiume venezuelano scorrono in mezzo alla savana dopo generazioni di deforestazione, sta nascendo un bosco italiano. "Per ora sono 1.500 ettari, su cui abbiamo avviato l'estate scorsa un progetto pilota di riforestazione, ma ci sono altri 10.000 ettari disponibili, dove incominceremo a piantare in primavera", spiega Luca Cidonio, finora l'unico imprenditore italiano sceso in campo sui "meccanismi flessibili" del protocollo di Kyoto, che con la ratifica del Parlamento russo sta per entrare in vigore.
Uno dei meccanismi flessibili previsti dal protocollo, il Clean Development Mechanism (Cdm), consente alle imprese dei Paesi industrializzati di realizzare progetti che mirano alla riduzione delle emissioni di gas serra nei Paesi in via di sviluppo. Le emissioni tagliate grazie alla realizzazione dei progetti generano dei crediti, che possono essere utilizzati per l'osservanza degli impegni di riduzione assegnati a ogni impianto produttivo. Ma il requisito essenziale per partecipare a questo meccanismo è la definizione di un piano delle quote di emissione da assegnare a ogni stabilimento, che in Italia non è ancora finalizzato: il nostro piano, presentato a Bruxelles in luglio con tre mesi di ritardo, giace all'esame della Commissione europea, che la settimana scorsa ne ha autorizzati altri otto arrivando a quota sedici, corrispondenti a oltre 7.000 impianti produttivi (sui 12.000 europei). Il piano italiano è considerato molto controverso dalla direzione generale dell'Ambiente, perché sfora di circa cento milioni di tonnellate di anidride carbonica (575 milioni di tonnellate contro i 475 previsti) gli obiettivi prefissati. L'unico mezzo per rientrare nei limiti senza prendere la multa, sarà l'acquisto di quote di emissione all'estero. Ma non è ancora chiaro se e quando le imprese italiane potranno accedere agli scambi europei, che partiranno il 1° gennaio 2005 per i Paesi in regola con i piani di allocazione.
I progetti di riforestazione sono fra i più tipici utilizzati per mettere in moto questo meccanismo e nei Paesi in via di sviluppo - dal Brasile alla Tanzania, dall'Indonesia all'Ecuador - ne sono già partiti parecchi. "Naturalmente l'impresa che si occupa della riforestazione – spiega Cidonio - deve rispettare una serie di parametri per generare crediti validi: da un lato la quantità di gas serra, in questo caso anidride carbonica, abbattuta nel corso del progetto dev'essere precisamente misurata e dall'altro lato dev'essere chiaro che il progetto, senza l'incentivo dei crediti, non sarebbe realizzabile”. In pratica, non si possono generare crediti semplicemente come effetto collaterale di una riforestazione che avverrebbe comunque per altri scopi commerciali.
Per Cidonio, un ingegnere meccanico cresciuto nel gruppo Cir, la decisione di dedicarsi completamente a questo progetto è arrivata nel 2002, quando si sono chiariti i dettagli operativi per l'utilizzo della riforestazione nella generazione di carbon credits e si è cominciata a vedere una certa vitalità nello scambio di emissioni a livello mondiale. Appoggiandosi sulle attività del padre Pierfilippo a Caracas, dove opera da tempo nel settore alberghiero, Cidonio ha fondato in loco la Carbon Sinks de Venezuela e ha cominciato nel giugno 2003 a piantare i primi alberi vicino a Mapire, sull'Orinoco. “Qui la savana ha rimpiazzato ormai da anni le foreste, ricacciate indietro dalla pressione dell'uomo che taglia gli alberi per usarli come combustibile o per far pascolare il bestiame: ora noi abbiamo avviato la riforestazione con metodi molto diversi dalle piantagioni commerciali, cercando di rispettare la biodiversità. L'arco di crescita di queste piante sono 15 anni, nel corso dei quali vengono assorbite annualmente 400 tonnellate di anidride carbonica per ettaro, che generano 400 crediti di emissione”, precisa Cidonio. In accordo con la Banca Mondiale, che ha creato quattro diversi fondi per sostenere questo tipo di progetti (fra cui l'Italian Carbon Fund, finanziato dal governo italiano con 40 milioni di euro), la Carbon Sinks de Venezuela allargherà fra qualche mese la sua piantagione a circa 12mila ettari complessivi, un progetto di dimensioni ragguardevoli in confronto agli altri già in corso. L'anidiride carbonica assorbita da questi alberi, alle quotazioni attuali, costa circa 5 dollari a tonnellata. “Ma nei prossimi anni – sostiene Cidonio, confortato dal parere degli esperti in materia – le quotazioni sono destinate a salire parecchio”.Già oggi in Europa una tonnellata di anidride carbonica costa circa il doppio (10 dollari), mentre il governo russo ha più volte dichiarato di voler vendere i propri diritti di emissione a 70-100 dollari la tonnellata. Basta fare due conti per rendersi conto che lo sforamento previsto dal governo italiano potrebbe costare alle nostre imprese attorno ai 5 miliardi l'anno. Per i pionieri come Cidonio, tanto di guadagnato.
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