20 luglio 2005
Utilities a caccia di tecnologia
Liberalizzazione significa competizione. Un cambiamento epocale per le utilities italiane, ben sottolineato dai dati: dal 1995 al 2003, le ex-municipalizzate diventate società per azioni sono passate da 12 a 448, la maggior parte di esse mantengono una partecipazione pubblica più o meno consistente, otto sono quotate in Borsa, e ben 274 sono finora gli accordi strategici che coinvolgono aziende multiutility. Un fenomeno nel fenomeno: la liberalizzazione del mercato dell'energia prevede la separazione societaria tra azienda di vendita e azienda di distribuzione. Tutto questo obbliga aziende che fino a qualche anno fa hanno operato in regime protetto a misurarsi in un'area competitiva e a ragionare in termini di utili e di produttività interna, cosa che genera forti esigenze in tema di innovazione tecnologica e naturalmente grandi opportunità per i fornitori It. In particolare si aprono prospettive per tutte le tecnologie di telelettura, destinate a rivoluzionare il mercato dell'energia elettrica, consentendo una diversificazione delle tariffe che indurranno una rimodulazione dei consumi e, alla lunga, un progressivo livellamento dei picchi di domanda, quelli che oggi mettono tanto in difficoltà il sistema elettrico nazionale, fino a causare occasionali blackout. Non a caso è la stessa Authority per l'energia, guidata da Sandro Ortis, a spingere le aziende elettriche verso i contratti flessibili e multiorari, istituendo l'obbligo di completare l'installazione dei nuovi contatori digitali entro il 2008 per i distributori di elettricità che servono più di 50mila clienti, entro il 2009 per quelli di minori dimensioni.In realtà, per quanto riguarda Enel la gigantesca operazione è già a uno stadio avanzatissimo. L'ex ad Paolo Scaroni, infatti, ha annusato l'affare per tempo e ha stretto un accordo con Ibm per concepire insieme un contatore intelligente e, ancora più importante, un sistema di "governo" totalmente remotizzato, che consente (con collegamenti telematici realizzati attraverso la stessa rete elettrica) non solo la lettura istantanea ma anche le operazioni più disparate: maggiore o minore potenza, sospensioni, riattivazioni e appunto il più volte annunciato contratto "multiorario", che è già in sperimentazione su milioni di utenze. Una volta a regime, la rete di distribuzione avrà 30 milioni di contatori che "dialogheranno" con 350 mila concentratori, a loro volta collegati al centro di controllo. Dal contatore alla prima centralina di zona i segnali vengono modulati sullo stesso cavo che porta la corrente. La centralina di zona comunica poi con i centri amministrativi attraverso linee cellulari Gsm. Quali sono i vantaggi? Oltre al pieno prelievo della potenza massima disponibile, il cliente può controllare in tempo reale l'energia consumata sia nel bimestre in corso che in quello precedente, conoscere la tariffa in atto, conoscere in ogni momento l'effettivo consumo e ottenere l'attivazione o la modifica del contratto. Con l'avvio della telelettura è inoltre possibile ottenere la bolletta calcolata sulla base dell'energia effettivamente utilizzata, senza pagare più acconti né conguagli.L'ex monopolista ha già piazzato, gratis, il contatore digitale a tre quarti dei suoi utenti, che rappresentano circa l'85% degli allacci elettrici italiani, e dovrebbe completare l'opera entro la fine del 2005. Per sostituire i 30 milioni di contatori italiani la spa elettrica spenderà alla fine 2,1 miliardi di euro. Ma dal 2006 prevede di risparmiarne, grazie alla maggiore efficienza e ai minori costi di gestione, almeno 500 l'anno. Le municipalizzate che gestiscono i clienti delle grandi città (come Milano, Torino e Roma) faranno, gioco forza, lo stesso. Asm Brescia ha già stretto un accordo con Enel per usare lo stesso sistema sui suoi 200mila utenti entro la fine del 2006. Non solo: Ibm adatterà e venderà l'apparecchio e la soluzione di controllo remoto, con un primo contratto di esclusiva di 12 anni, sui mercati mondiali. Per un affare che vale, si stima, fino a 120 miliardi di euro per 700 milioni di contatori, di cui 200mila in Europa. Sul mercato cinese c'è già un primo contatto: sulla base di una commessa del valore di 50 milioni di euro, il colosso cinese National Machinery and Equipment Import sta fornendo i componenti nevralgici per 6 dei 30 milioni di super-contatori che si stanno installando in Italia, guadagnandosi una posizione di primo piano tra la platea dei fornitori. Ma in un secondo tempo, in base agli accordi, le sue linee di montaggio lavoreranno a tutto vapore per equipaggiare con il nuovo contatore anche un gran numero di impianti elettrici cinesi.
11 luglio 2005
L'Acquedotto Pugliese e i deliri di Petrella
Chi si ricorda di Cochabamba? Arroccata in una vallata andina a 2.400 metri d' altezza, la terza città della Bolivia ebbe il suo quarto d' ora di notorietà cinque anni fa, quando si trovò in prima linea nella battaglia anti-globalizzazione: di fronte all' aumento delle tariffe seguito alla privatizzazione dei servizi idrici, la popolazione scese in piazza contro la società californiana cui era stato appaltato il servizio, la Bechtel, mettendo a ferro e fuoco la cittadina per mesi, con morti e feriti, fino alla ri-pubblicizzazione del servizio. Per tutti i combattenti no global, quella sanguinosa battaglia è la tappa centrale nella guerra per l' acqua come bene comune. Da Cochabamba a Bari: «Il mio Acquedotto Pugliese nasce sotto la bandiera della ri-pubblicizzazione», annuncia il governatore Nichi Vendola. Ad agitare quella bandiera, Vendola ha messo Riccardo Petrella, l' economista spezzino docente di Mondializzazione all' Università cattolica di Lovanio e «no global dell' acqua», come si definisce lui stesso, cui viene affidata la presidenza del più grande acquedotto d' Europa, il terzo del mondo. Un grosso ente con 20mila chilometri di tubi attraverso quattro regioni e quasi 5 milioni di utenti, diventato società per azioni nel 1999, grazie a un mutuo ventennale di 392 miliardi a carico dello Stato, concesso dal governo D' Alema. L' acquedotto è ritornato in utile da tre anni, grazie alla cura impartitagli dall' industriale della pasta Francesco Divella, chiamato a gestirlo dall' allora governatore di centro-destra Raffaele Fitto, nella prospettiva di una futura privatizzazione. Ora il professore no-global è stato espressamente incaricato di fare marcia indietro, mettendo fine alla «gestione economicistica» di Divella, che Vendola ha rimproverato a Fitto durante tutta la campagna elettorale, anche se la privatizzazione dell' Acquedotto Pugliese è un obbligo di legge posto in capo alla Regione all' atto stesso del trasferimento della proprietà e la sua inadempienza potrebbe essere sanzionata dal governo. Punto e a capo, dunque. Ma siamo davvero davanti a un' «ubriacatura da privatizzazione», come la chiama Vendola? A una «mercificazione» dei diritti fondamentali, come la chiama Petrella? «Mi sembra che il dilemma pubblico-privato sia un' alternativa mal posta», commenta Nicola Rossi, ordinario di Economia politica a Tor Vergata, che è stato il consigliere economico del governo D' Alema. Per il deputato diessino, il punto fondamentale è un altro: qual è la missione che si vuole dare all' Acquedotto? «Il primo obiettivo è senz' altro portare a termine il massiccio programma d' investimenti che ci si è prefissi», puntualizza Rossi. E aggiunge con aria scettica: «Mi auguro che il nuovo consiglio sia in grado di farlo». In effetti l' Acquedotto è un' azienda molto complessa, con un giro d' affari di oltre 300 milioni e duemila dipendenti: chi l' amministra dovrà realizzare il piano d' investimenti da oltre 3,2 miliardi di euro, programmato fino al 2017, per eliminare il più possibile le perdite dalle reti idriche (49,5% in Puglia, contro una media del 29% a livello nazionale), riammodernarle, realizzare i potabilizzatori e altre infrastrutture. «Per realizzare un piano di questa portata ci vuole una governance chiara, lineare, non complicata come quella che si va costruendo», specifica Rossi. Il secondo obiettivo, secondo l' economista diessino, «dovrebbe essere di far uscire l' Acquedotto dalla nicchia provinciale», che gli va stretta. Anche questa non è una missione facile, soprattutto se finisce ingarbugliata nelle pastoie ideologiche. «Spetta ora alla Regione Puglia - ammonisce Rossi - l' onere della prova che un acquedotto pubblico funzioni bene quanto uno privatizzato». E la dimostrazione potrebbe avere conseguenze di vasta portata, se la generica impostazione «pubblico è bello» - che Vendola vuole applicare anche alla società di gestione degli aeroporti (Seap) e al settore sanitario - dovesse influenzare le future scelte dell' Unione sulle liberalizzazioni. «Come tutte le questioni serie - fa notare Antonio Massarutto, uno dei massimi esperti italiani di acqua, docente all' università di Udine e ricercatore dello Iefe-Bocconi - la questione idrica va affrontata seriamente, al riparo dalle frasi fatte, dalla demagogia e dai condizionamenti ideologici». E' ovvio ad esempio che quando si parla di privatizzazione non è certo la proprietà pubblica delle risorse idriche che si vuol mettere in discussione, come sembrerebbe dagli slogan no global sul «diritto all' acqua». «L' acqua è e resta una risorsa di proprietà comune e come tale inalienabile, semmai è in discussione la necessità d' introdurre un po' di logica economica nella pianificazione degli interventi e nei diritti di utilizzo», specifica Massarutto. «Chi teme che la privatizzazione porti a un business dell' acqua sulla pelle dei consumatori e dell' ambiente - argomenta Massarutto - dovrebbe forse riflettere sul fatto che il vero business, nel modello basato sulla gestione pubblica, lo hanno fatto i costruttori di opere e impianti spesso inutili, a spese dei contribuenti. Per non parlare dei signori delle autobotti siciliane, che sfruttano proprio le inefficienze del servizio pubblico per vendere a peso d' oro l' acqua agli utenti lasciati a secco».
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