10 ottobre 2005
Il conto di Kyoto lo pagano gli elettrici
Mezzo miliardo all' anno per Kyoto: questo è il conto, euro più euro meno, che le compagnie elettriche italiane dovranno pagare per rispettare le regole del protocollo. Tanto costano, alle quotazioni correnti, i 23 milioni di tonnellate di anidride carbonica che Bruxelles ci chiede di tagliare e che il sistema industriale italiano dovrà comprare sul mercato, se non vuole chiudere gli impianti incriminati. Centrali elettriche, ma anche acciaierie e cementifici, cartiere e vetrerie. Sono 1.240 in tutto le imprese che già nel triennio 2005-2007 devono ridurre le loro emissioni di gas serra. Eppure chi si aspetta che i tagli vengano distribuiti qua e là, pro quota, si sbaglia. I costi di Kyoto graveranno sulle spalle del sistema elettrico, con il rischio di un aumento delle bollette, già salatissime, che l' Authority ha quantificato in un 5-10%. «Abbiamo deciso di non distribuire i tagli a pioggia, ma di legarli all' andamento della produzione industriale, scegliendo i settori dove ci sono più margini d' intervento» spiega Corrado Clini, direttore generale del ministero dell' Ambiente, alla vigilia della pubblicazione del Piano nazionale di assegnazione (Pna) delle quote di anidride carbonica, da cui le imprese italiane apprenderanno quanti fumi può emettere ciascun impianto e quanto devono tagliare o comprare sul mercato dalle aziende più virtuose. Così potrà partire anche in Italia il meccanismo europeo dell' Emissions Trading, il mercato dei fumi, che si basa come dato di partenza su un tetto massimo di emissioni cui ogni membro dell' Ue doveva adeguarsi, fornendo le quote di assegnazione della CO2 impianto per impianto già nel lontano marzo 2004. L' Italia ha consegnato il piano con mesi di ritardo e i negoziati con Bruxelles si sono prolungati fino a quest' estate: in conclusione, al nostro Paese è stato chiesto di abbassare il tetto complessivo da 255,5 a 232,5 milioni di tonnellate di CO2 all' anno. I ritardi accumulati potrebbero costare cari alle imprese italiane, che entrano nel meccanismo dell' Emissions Trading quando le quotazioni dell' anidride carbonica sono già schizzate alle stelle: dai 7-8 euro a tonnellata del gennaio di quest' anno ai 23,9 euro di oggi. «Per fortuna - prevede Clini - è probabile che il governo finisca per offrire alle imprese più penalizzate permessi di emissione a basso costo acquisiti attraverso l' Italian Carbon Fund, il fondo istituito dall' Italia presso la Banca Mondiale per sostenere progetti di riduzione delle emissioni nei Paesi in via di sviluppo». In questo caso, il costo complessivo si ridurrebbe a un quarto, perché le quotazioni di anidride carbonica su quei mercati non superano i 5-6 euro. «Poteva andare ben peggio - commenta Clini - considerando il fatto che inizialmente l' Italia si era impegnata a ridurre del 6,5% le emissioni complessive rispetto ai valori del ' 90. In realtà abbiamo spuntato un aumento del 10%». Eppure le imprese non sono soddisfatte: «Il rischio - fa notare Annalisa Oddone, responsabile ambiente di Confindustria - è di dover sostenere costi marginali molto elevati per ottenere modesti risultati nella riduzione delle emissioni, perché si va ad incidere su un sistema produttivo che presenta già un' altissima efficienza energetica». «Ma questi tagli - precisa Clini - derivano proprio dall' inesattezza dei dati che ci sono stati forniti dai diversi settori industriali. Prima siamo stati un anno fermi per colpa delle imprese, che non ci davano i numeri per stilare il piano. Poi, quando siamo andati a discuterli a Bruxelles, ci siamo accorti di avere in mano un quadro sovrastimato, soprattutto nel settore elettrico, rispetto a quel che risultava dalle statistiche europee. Non è colpa nostra se i consumi elettrici l' anno scorso sono cresciuti dell' 1,6%, contro il 3% previsto dai produttori».
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