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30 gennaio 2006

Con il petrolio in orbita, si scava sotto il mare

Una torta da 240 miliardi di dollari: è questa la cifra che verrà destinata nel 2006 all' esplorazione e produzione, finalmente in crescita dopo anni di stasi. Il caro-greggio, così sgradito quando pesca nei nostri portafogli, ha almeno questa ricaduta positiva: le compagnie si stanno muovendo di nuovo. Da qualche anno, ormai, per ogni due barili di petrolio consumati se ne rimpiazza solo uno con le nuove scoperte. Era ora, quindi, che le major si dessero una mossa. Ma attenzione: se è vero che il budget complessivo dedicato all' esplorazione ha ripreso a crescere, è anche vero che la natura degli investimenti è completamente cambiata. «I forzieri delle compagnie si sono aperti e la cifra dedicata all' esplorazione è destinata a raddoppiare ancora se si vuole tener dietro alla domanda, ma già nel giro di un quinquennio ben 50 miliardi di dollari di quel budget saranno riversati nell' esplorazione in acque profonde, un campo finora molto limitato», spiega Zeno Soave, fondatore di Socotherm, azienda leader nel rivestimento e isolamento dei tubi per petrolio e gas, che ha le mani in pasta dovunque si trivelli oltre i mille metri di profondità. «Nel deepwater - osserva Soave - l' estrazione avviene a 50-100 chilometri dalla costa, oltre il bordo della piattaforma continentale: il fondo da perforare sta sotto di due-tre chilometri e ci vuole ancora qualche chilometro per arrivare alle sacche petrolifere. I costi, come si può immaginare, sono molto più elevati rispetto ai sistemi tradizionali: per estrarre un barile di greggio in queste condizioni si spendono circa 15 dollari, rispetto ai 2-3 dollari delle zone più facili, come il deserto arabico. Una spesa, peraltro, che le compagnie possono ampiamente permettersi». L' International Energy Agency calcola che il costo medio di perforazione sia più che raddoppiato, in termini reali, dall' inizio degli anni ' 90. Ma con un prezzo del petrolio ampiamente triplicato, si può fare. Chevron prevede per quest' anno un incremento del 30% degli investimenti in esplorazione e anche Lukoil punta in alto (+28%), mentre Petrobras batte tutti i record con un balzo che sfiora il 70%. L' Eni si difende, alzando la posta del 10%. Del resto, non c' è altra scelta. La domanda cresce costante dal 3 al 5% all' anno e l' oro nero non si trova più nel cortile di casa. Come dimostra la difficile perforazione offshore dell' Eni a Kashagan o il gigantesco progetto Shell a Sakhalin, le major devono abituarsi ad andarlo a cercare in condizioni sempre più estreme. E la nuova frontiera della ricerca è il deepwater: «Le major - commenta Soave - fanno a gara per accaparrarsi i lotti migliori. I giacimenti del Mare del Nord ormai non coprono che il 10% del mercato. Il Golfo del Messico conta per il 15-20%. Ma i pozzi più ricchi, quelli dove c' è greggio da estrarre ancora per molti anni, sono al largo dell' East Africa e del Brasile». La produzione mondiale nel deepwater è balzata dal milione di barili al giorno del ' 98 ai 4 milioni dell' anno scorso ed è destinata a raddoppiare entro la fine del decennio. A tutto vantaggio delle aziende come Socotherm, che domina sul mercato dei tubi per le estrazioni in acque profonde con una quota del 60%. «Una volta trovata la vena giusta - dice Soave - per far risalire il petrolio in superficie da quelle profondità bisogna attraversare strati di acqua talmente fredda che il greggio tende a congelarsi nei tubi. I nostri rivestimenti termici sono essenziali per portare a buon fine l' estrazione». Tanto che ormai l' azienda di Adria è presente in tutte le zone calde: dal Brasile con Petrobras al largo della Nigeria con ExxonMobil e Shell, passando per l' Angola con Bp e Chevron.

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