29 maggio 2006
Kyoto, Enel presenta il conto
Il mercato delle quote di anidride carbonica non è ancora partito in Italia, ma l' Enel già presenta il conto di Kyoto ai suoi grandi clienti, con una maggiorazione del 2% sul prezzo dell' elettricità. La richiesta di pagare un addizionale di 1,67 euro al megawattora colpisce tutte le imprese energivore che avevano firmato contratti diretti con l' ex monopolista, compreso l' Acquirente Unico che rifornisce di energia le famiglie italiane, già salassate da un prezzo dell' energia superiore di un terzo rispetto al resto d' Europa. «Nel 2005 - dice l' Enel - l' onere sopportato per l' acquisto di quote e già iscritto a bilancio è stato pari a circa 180 milioni di euro». La compagnia elettrica guidata da Fulvio Conti, infatti, ha sforato di ben 8,6 milioni di tonnellate le emissioni di anidride carbonica assegnate alle sue centrali dal Piano nazionale di allocazione, appena varato in applicazione del protocollo di Kyoto, contro gli 1-2 milioni previsti inizialmente. E se quest' anno è andata così, le prospettive per l' anno prossimo non sono certo rosee, calcolando la crisi del gas che nei primi mesi del 2006 ha costretto gli operatori elettrici italiani a far andare diverse centrali a olio combustibile invece che a metano, con un aggravio notevole sul bilancio dell' anidride carbonica. Le emissioni in eccesso vanno compensate, comprando una quantità corrispondente di permessi sul mercato, altrimenti si rischiano multe salatissime. Ed è quello che Enel ha fatto, come del resto era previsto: sin dal settembre 2004 il gruppo aveva avvertito gli operatori che i prezzi dell' energia elettrica avrebbero potuto inglobare i costi dell' acquisto dei permessi. Resta da chiedersi, come ha scritto Emma Marcegaglia in una lettera di protesta a Fulvio Conti, se è corretto scaricare in toto questi extra-costi sui clienti e quindi, in ultima analisi, sulle bollette. L' Enel non ha alcun dubbio: i costi di Kyoto vanno spalmati sulla comunità. E ci è andata pure bene: in Germania - precisa il gruppo - «l' incremento imputabile al costo della CO2 nel 2005 è stimato attorno ai 13 euro al megawattora». Ma i rincari lasciano lo stesso perplessi tutti quanti, anche perché altri operatori, come Edison, hanno presentato un conto più modesto o addirittura, come Electrabel, hanno deciso di non trasferire questi costi sui consumatori. Soltanto per le 520 mila imprese riunite in Confartigianato gli oneri aggiuntivi sono stati stimati in 20 milioni di euro. Un esborso particolarmente fastidioso se si considera che ogni anno i consumatori versano circa 2 miliardi di euro, attraverso le tariffe stabilite dall' Authority, per incentivare la produzione di energia pulita. «Che fine hanno fatto queste risorse - si chiede il presidente Giorgio Guerrini - dal momento che non hanno consentito di abbattere le quote di anidride carbonica?». La domanda è legittima, tanto più che le imprese italiane non brillano certo per la loro lungimiranza in tema di applicazione del protocollo. «A meno di un mese dalla definizione dei nuovi piani di assegnazione delle quote per il periodo 2008-2012 in Italia permane una situazione di caos: solo il 20% degli impianti ha provveduto alla restituzione delle emissioni nei tempi previsti (in buona parte per colpa del malfunzionamento del registro nazionale) e il 5% non ha ancora attuato la verifica, con il risultato che il deficit di emissioni salirà ancora», spiega Michele Villa, partner del gruppo Environmental Resources Management ed esperto del protocollo di Kyoto. «Tra i grandi produttori - fa notare Villa - pochi sembrano guadagnare dal sistema, alcuni registrano un forte bilancio negativo tra emissioni effettive e quote assegnate. È il segnale di una capacità ancora ridotta di valutare il proprio contributo alle emissioni e quindi di definire strategie vincenti sui mercati di scambio». Mentre la macchina europea dell' Emissions Trading esce in questi giorni dalla fase di rodaggio, infatti, il sistema italiano non ha ancora nemmeno gettato le basi per negoziare gli scambi. Con la prospettiva di forti squilibri competitivi per le imprese italiane sul mercato europeo.
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