3 luglio 2006
Serve un campione o gli asiatici ci mangeranno
Mittal-Arcelor, non è che l' inizio. «Dopo tre anni filati di boom dell' acciaio, gran parte della liquidità in eccesso sui mercati finanziari tende a incanalarsi verso la siderurgia e quindi le acquisizioni continueranno», prevede Antonio Gozzi, presidente degli elettrosiderurgici e amministratore delegato di Duferco Italia. Ma gli acciaieri europei restano deboli e in difesa: «Non siamo stati capaci di mettere in moto un processo di aggregazione interno, realizzando così un campione europeo: perciò continueremo a essere mangiati dai nostri rivali dei Paesi emergenti, com' è stato per Severstal con Lucchini e ora per Mittal con Arcelor». Diagnosi La diagnosi di Gozzi parte da lontano, da una serie di errori di valutazione dell' industria nostrana e dagli innegabili vantaggi competitivi di cui godono gli acciaieri orientali e asiatici. «Per capire il mercato dell' acciaio bisogna seguire l' andamento globale degli investimenti in attività fisse, come infrastrutture e impianti: l' indice che le quantifica è cresciuto dello 0,4% l' anno dal 1996 alla fine del 2002, mentre dal 2003 alla fine del 2005 è aumentato del 14% l' anno. In pratica, questo dato ci dice che siamo nel bel mezzo della più forte crescita dell' economia mondiale del secondo dopoguerra. Ma la corsa è molto sbilanciata: da un lato ci sono i Paesi emergenti, che corrono come lepri, dall' alto lato c' è l' Europa quasi ferma». Qui non riusciamo a percepire il ritmo tumultuoso a cui viaggia il resto del mondo e per questo l' industria europea dell' acciaio ha sbagliato i suoi calcoli. «Mentre Mittal nei primi anni Duemila rastrellava acquisizioni in tutto il mondo, scommettendo su una crescita di lungo respiro, Arcelor era tutta concentrata sui tagli, con lo sguardo fisso a un' imminente caduta della tensione. Che invece non c' è stata». Gozzi ammette di averci creduto anche lui: «Da quando faccio questo mestiere, ho sempre visto dei cicli di domanda lunghi circa cinque anni, con 2 anni e mezzo tremendi, uno e mezzo mediocre e uno buono. Ma dal giugno 2003 il mondo dell' acciaio ha vissuto tre anni praticamente ininterrotti di prezzi in tensione. E continueranno così: i timori di una battuta d' arresto nel 2006 si sono rivelati infondati e con ogni probabilità non ci sarà nemmeno nei primi mesi del 2007. Questo significa quattro anni di boom senza soluzione di continuità. Si tratta di un cambiamento strutturale del ciclo della domanda rispetto ai vent' anni precedenti». Nessuno se l' aspettava, in Europa. «Gli asiatici, invece, l' avevano capito». Da qui deriva la prognosi riservata per l' Europa: «Di fronte a questa emergenza, assistiamo a un' insipienza totale dell' industria e della politica europea». L' unica difesa per resistere agli assalti dall' esterno sarebbe la costruzione di un campione europeo. «Ma una fusione, ad esempio, fra Arcelor e Krupp Thyssen è stata duramente scoraggiata dalle nostre normative antitrust. Normative - fa notare Gozzi - del tutto inadatte a un mercato che va ormai pensato in termini mondiali, non europei. In questo modo i nuovi signori della guerra russi, ucraini, cinesi, indiani e brasiliani vanno nel burro. E ora che Arcelor non c' è più, ci manca il pivot delle possibili aggregazioni interne». Nel caso italiano, poi, il gioco è stato ancora più semplice per i russi della Severstal: «Qui le aggregazioni sono rese difficili dall' isolazionismo delle famiglie, che preferiscono regnare da sole su un piccolo impero piuttosto che insieme ad altri su un impero più grosso». Prospettiva Sull' Europa incombe perciò la prospettiva della deindustrializzazione galoppante. «Il capitalismo nascente - precisa Gozzi - è sempre brutale e in questa fase i nostri rivali asiatici godono di redditività e cashflow sistematicamente più elevati perché dispongono di vantaggi competitivi naturali, come le materie prime e l' energia a buon prezzo, basso costo del lavoro, dumping sociale e ambientale». Per gli europei, sempre più timorosi di difendere i propri valori di funzione sociale dell' impresa, non c' è gara. «I nostri competitor non hanno paura di difendere con forza i propri interessi strategici. La commissaria europea Neelie Kroes insiste ad esaminare il dossier Mittal-Arcelor solo del punto di vista delle regole della concorrenza e non anche rispetto alle ricadute sull' occupazione. Benissimo, ma mi pare che in questo modo si dimentichi di notare che mentre Arcelor ha una struttura azionaria liberamente scalabile, Mittal non è contendibile, perché il suo padrone Lakshmi Mittal ne tiene in tasca l' 88%. E allora, come la mettiamo con la libera concorrenza?».
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