5 febbraio 2007
Acqua: Milano prima o poi in mani straniere
I consulenti sono al lavoro per raggiungere l' equilibrio fra le partecipazioni azionarie di Milano e Brescia nella grande multiutility del Nord, che si va formando con la promessa di nozze entro l' autunno fra Aem e Asm. Un rompicapo non da poco, visto che Brescia controlla quasi il 70% della sua ex-municipalizzata, mentre Milano solo il 42,2% della sua. «La soluzione migliore - spiega Luigi Prosperetti, economista della Statale e consulente del primo governo Prodi sulla liberalizzazione dei servizi pubblici locali - sarebbe l' incorporazione nella nuova società anche della gestione dei rifiuti e del ciclo idrico milanese, che darebbe più peso al Comune nella fusione e maggiore omogeneità alle attività delle due utility». Prosperetti era vice presidente di Aem quando fu avviata la sua privatizzazione, nel lontano ' 93, e fin da quel momento aveva caldeggiato insieme a Marco Vitale, allora assessore al Bilancio, l' incorporazione del ciclo idrico in Aem. Quattordici anni dopo A quattordici anni di distanza si continua a parlarne, malgrado la rapida evoluzione del quadro competitivo a livello nazionale ed europeo. Oggi si tratterebbe di trasferire a un' azienda quotata la proprietà di due Spa a capitale interamente pubblico: l' Azienda Milanese Servizi Ambientali (Amsa) e la Metropolitana Milanese (MM), cui la giunta Albertini ha affidato nel 2003 la gestione del ciclo idrico. «Speriamo che stavolta il sindaco Letizia Moratti ce la faccia», si augura Prosperetti. Ma non sembra probabile. A livello comunale infuriano le accuse di voler «privatizzare l' acqua». E i gendarmi comunitari della concorrenza non vedrebbero certamente di buon occhio, oggi, un conferimento del ciclo idrico senza gara. Lanfranco Senn, economista della Bocconi e nuovo presidente della Metropolitana Milanese, se ne rammarica. Cicli Si è perso molto tempo? «Troppo. Oggi l' assegnazione del ciclo idrico ad Aem senza metterlo in gara sarebbe impensabile. E al di là delle risse ideologiche che ne deriverebbero, mettendo sul mercato l' acqua di Milano, considerata un fiore all' occhiello delle utilities italiane, non è affatto detto che l' Aem vinca la gara». Del resto le gare si fanno apposta perché vinca il migliore... «Il problema è che ormai siamo entrati in un circolo vizioso. Da un lato è evidente che i servizi locali dalla gestione privata hanno tutto da guadagnare: così si evitano, almeno in parte, le faide di carattere personale, le appartenenze ideologiche, le protezioni clientelari tipiche del pubblico. I privati sono molto più bravi ad applicare la best practice nella gestione: le economie di scala, il controllo di qualità, la selezione del personale, il livello del management sono quasi sempre migliori. Quindi per gli utenti il cambio è vantaggioso e alla lunga è lì che andremo a parare, alla privatizzazione». E allora perché non farla subito? «Ci sono ostacoli politici e c' è appunto il circolo vizioso di cui parlavo. Se è vero che il punto d' arrivo è la privatizzazione, è anche vero che in Italia abbiamo perso una ventina d' anni per far crescere dei player capaci di competere a livello europeo e globale. Mentre noi dormivamo, i francesi, gli inglesi e i tedeschi andavano avanti. Ora giocano sulle eccellenze che hanno sviluppato e sono capaci di muovere grandi interessi finanziari: le banche scommettono su di loro, non su di noi. In Italia non è remunerativo scommettere sulle utility e così mancano fondi per fare investimenti. Insomma, tutto il sistema è bloccato. C' è poco da stupirsi, poi, se sono sempre loro a vincere le gare». Lei mi sta dicendo che non possiamo mettere i nostri servizi locali sul mercato perché finirebbero per essere mangiati dai francesi o dai tedeschi? E quindi, dopo aver perso vent' anni nelle dispute ideologiche, ora ne perdiamo altri venti perché gli altri sono diventati più bravi di noi? «In pratica, oggi il problema da porsi è: arrivati a questo punto, la strada per la riqualificazione dei servizi passa attraverso fasi o bisogna fare un salto?» Me lo dica lei... «Dal punto di vista giuridico, la privatizzazione non è strettamente necessaria. Ma è anche vero che se non diamo uno scossone la via all' efficienza sarà molto lunga...». Quindi? «Il primo passo è politico. Per noi esperti è facile indicare la strada, ma è la politica che deve tradurre la teoria in pratica. Il caso del ddl Lanzillotta è un classico esempio di un Paese che fa ancora dell' ideologia il criterio delle sue scelte. L' esclusione dell' acqua dalle liberalizzazioni dei servizi locali è un passo anacronistico, un cedimento politico che ci costerà caro. Inglesi, tedeschi, francesi e perfino gli spagnoli sono più pragmatici. Per riuscire a competere sul piano internazionale, bisogna uscire dall' approccio ideologico e far crescere un approccio pragmatico alla gestione del patrimonio pubblico». Come risolvere questo blocco? «Bisogna sfatare il mito del privato assetato di guadagni e dedito di principio al ladrocinio. È evidente che l' acqua è un bene pubblico e devono averla tutti, così come l' energia devono averla tutti. Ma non è detto che un ente pubblico sia più efficace di un privato a soddisfare questa legittima esigenza dei cittadini, così come non è detto che lo sia per l' energia, per il gas, per il telefono, per i treni o per gli aerei. Capisco che sull' acqua possa insorgere qualche timore in più, ma basta mettere in piedi dei contratti di gestione fatti bene, sotto rigoroso controllo pubblico, per garantire a tutti che al centro del processo ci sia l' interesse dell' utente». Ora però lei non è più solo un esperto, ha anche un incarico operativo... «Sempre all' interno di un' azienda che è al cento per cento del Comune di Milano». Avrà ben riflettuto sulle linee strategiche da prendere... «Per dare un ritorno agli investimenti, bisogna alzare il livello della gestione. Ed è quello che cercheremo di fare. Ma la buona volontà a livello locale non basta. È Roma che deve darsi il più velocemente possibile un percorso pragmatico che ci consenta di crescere a livello di sistema, come hanno fatto gli inglesi e i francesi. Altrimenti sarà inutile lamentarsi se l' acqua di Milano passerà prima o poi in mani straniere».
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