18 luglio 2007
Locatelli: "E' guerra contro le merchant lines"
Arenati sul Carso della burocrazia, in una guerra di trincea dove tutti si sparano addosso, ma non riescono ad avanzare di un millimetro. Nemmeno le merchant lines di Gianni Locatelli, giornalista di lungo corso (negli anni Ottanta diresse il “Sole 24 Ore”) e oggi presidente di Trafigura Italia, filiale italiana di un gruppo inglese da 30 miliardi di dollari specializzato nel trading dei combustibili e sbarcato a Milano con la liberalizzazione.
A cosa servono delle linee d'interconnessione?
"Ad arricchire l'offerta, aumentare la concorrenza e importare energia un po' più conveniente della nostra. Sulle Borse estere l'energia costa il 20-30% in meno rispetto all'Italia, comprarla lì è un bell'affare. Per di più, importando energia già pronta, in genere con cavi invisibili su tracciati di pochi chilometri, si evita di costruire in Italia impianti che qui non si riescono a fare, come le centrali nucleari".
Va bene, sono utili al Paese. E a voi?
“Siamo dei trader, compriamo e vendiamo energia sulla Borsa elettrica italiana e su quelle straniere come Powernext. Ma per ridurre i rischi un trader deve verticalizzare la sua attività, con un po' di produzione o una linea d'importazione dedicata, senza oneri di trasmissione. Una centrale a ciclo combinato a gas l'abbiamo già vicino a Gorizia, un'altra la stiamo costruendo a Greve in Chianti. In contemporanea lavoriamo sulle linee d'interconnessione”.
Ma...
“Siamo alle prese con gli ostacoli più incredibili. Abbiamo in piedi tre progetti diversi, tutti sul confine orientale che è il più attraente dal punto di vista dei prezzi: due con la Slovenia e uno con la Croazia, con cavi interrati o sottomarini, quindi l'impatto ambientale è minimo. Eppure non andiamo né avanti né indietro”.
In che senso?
“I rapporti con il territorio sono buoni, i Comuni interessati al tracciato sono d'accordo, ma abbiamo grosse difficoltà con la Regione e con i gestori della rete. Fra Terna e Eles, il gestore sloveno, è in corso un rimpallo kafkiano, in cui ognuno dice: non ti possiamo dare il via se non hai avuto prima il via dal nostro omologo. E noi lì a cercare di farli parlare fra di loro. Sembra quasi che facciano apposta a non tirare su il telefono per mettere i bastoni fra le ruote”.
E va avanti così da molto tempo?
“Siamo stati fra i primi a proporre delle linee d'interconnessione con la Slovenia e la Croazia, i nostri sono fra quei 42 progetti autorizzati con la prima normativa, nel 2002. Quindi è cinque anni che ci lavoriamo”.
E la Regione?
“Anche dalla Regione ci sono fortissime resistenze. Fino a un paio di anni fa, sembrava tutto tranquillo: il presidente Riccardo Illy si era dimostrato addirittura favorevole e ci aveva ricevuti insieme ad Acegas, l'utility triestina con cui siamo in partnership. Poi si è arenato tutto. Non riusciamo nemmeno a farci rispondere dall'assessore competente, Lodovico Sonego: gli ho scritto due lettere, una a metà marzo e una a metà aprile, per chiedere un incontro. Non ha risposto a nessuna delle due. Se andiamo avanti così perderemo un'altra estate. Bisognerebbe vincolare gli enti locali a dare il loro parere in tempi congrui”.
Non è un problema solo vostro...
“Me ne rendo conto, ma non mi consola. Se almeno dicessero chiaro che queste linee non si possono fare, rivolgeremmo i nostri investimenti da un'altra parte. Non si può bloccare delle imprese per anni senza spiegare perché”.
E' così per tutte le infrastrutture.
“A maggior ragione dovrebbero essere contenti di avere una linea elettrica, con un bassissimo impatto ambientale, piuttosto che una centrale a carbone. Cosa c'è di più pulito di una linea ad alta tensione? Non sporca, non comporta l'importazione di carburante, diminuisce l'impatto degli impianti di produzione. Mi sembra che dovrebbe suscitare solo reazioni positive”.
Terna non vuole concorrenza dai privati
All'inizio erano 42. Poi, come i piccoli indiani, si sono parecchio sfoltiti e oggi ne è rimasta una decina. Ma a cinque anni di distanza da quel primo censimento, solo uno dei progetti di linee elettriche private d'interconnessione con l'estero (le cosiddette merchant lines) sta per andare in porto, quello delle Ferrovie Nord, soggetto privato fino a un certo punto, visto che è controllato al 58% dalla Regione Lombardia. Gli altri sono ancora in alto mare. E non sembrano vicini all'approdo.
Ma la spinta di queste imprese a investire negli allacciamenti della rete italiana con il resto d'Europa non è solo un interesse privato. Per l'energia, infatti, in Italia è sempre rischio blackout: due gocce di pioggia non risolvono la siccità e il caldo sempre più africano delle nostre estati, oltre a strangolare la produzione, fa volare i consumi, mettendo in crisi interi distretti produttivi del Nord Est e della Lombardia. Il mix di generazione italiano, dominato ormai per due terzi dal gas naturale, continua a tenere i prezzi alti. Il carbone e il nucleare, con il loro effetto calmieratore, restano off-limits. Sviluppare le interconnessioni con l'estero, quindi, non rappresenta solo un'opportunità di business per le imprese, ma anche un fattore di maggiore sicurezza per l'intero sistema a corto di energia e un elemento di compensazione per gli squilibri della produzione interna. Comprare kilowattora a prezzi migliori sul mercato europeo può convenire alle aziende che realizzeranno gli elettrodotti, ma è anche un modo per rivitalizzare la concorrenza sul mercato italiano.
“Qui continuiamo a costruire centrali a gas, ma non dimentichiamo che il 2006 è stato caratterizzato da un notevole incremento dei prezzi del greggio e conseguentemente del gas: la bolletta pagata dall’Italia per importazioni di materie prime energetiche ha superato i 50 miliardi di euro”, spiega Alessandro Clerici, responsabile della task force di Confindustria sull'efficienza energetica. Piuttosto che importare prodotti petroliferi cari e sporchi, sostiene Clerici, perché non importare energia già bell'e fatta, possibilmente da combustibili meno cari di quelli prevalenti in Italia, come ad esempio il nucleare o il carbone? E' lo stesso ragionamento delle imprese, da una parte compagnie energetiche impegnate a ottimizzare l'attività di trading, dall'altra manifatture energivore, che sperano così di tagliare un po' i costi della bolletta.
Come il gruppo Burgo. “Con un fabbisogno di punta da 500 MW e 3 terawattora di consumi annuali – precisa Roberto Manzoni, energy manager del gruppo – è ovvio che la bolletta energetica per noi sia una delle principali preoccupazioni: attingiamo a tutte le fonti possibili, dall'autoproduzione al mercato elettrico, ma ormai in Italia il prezzo è dettato dalle quotazioni del gas e continua a salire”. Da qui i progetti d'interconnessione con l'estero. “Al confine con l'Austria abbiamo proposto un semplice cavo interrato da 300 MW lungo il tracciato dell'oleodotto transalpino – fa notare Manzoni - che sfrutta una galleria di nove chilometri per scavalcare le Alpi e quindi non ha alcun impatto ambientale, tant'è vero che tutte le amministrazioni locali interessate al tracciato sono d'accordo. Ma il progetto è arenato da un anno e mezzo sul tavolo della Regione, che non dà una risposta”. Forse perché sullo stesso tracciato, tra Somplago in Carnia e Wurmlach in Carinzia, c'è anche un altro progetto sponsorizzato da due imprese regionali, i gruppi Pittini e Fantoni, su cui l'assessore Lodovico Sonego sembra particolarmente impegnato, scontrandosi però con le amministrazioni locali, contrarie all'utilizzo di un elettrodotto aereo. Al ministero dello Sviluppo Economico, che ha l'ultima parola sui progetti d'interconnessione di questa portata, non possono far altro che attendere il parere regionale, obbligatorio.
“Proprio perché ci rendiamo conto dell'esigenza delle imprese di comprare energia a prezzi migliori - puntualizza Sara Romano, direttore generale del ministero dello Sviluppo Economico - abbiamo accelerato il più possibile le disposizioni attuative del decreto Scajola, che permette agli investitori privati di realizzare linee d'interconnessione con l’estero e di avvalersi dell’esenzione dell’accesso a terzi, ma ci rendiamo conto che le troppe iniziative nel Nord Est stiano portando a delle difficoltà autorizzative. Da parte nostra, consideriamo questi progetti strategici per il Paese e cerchiamo di facilitarli in ogni modo”. Non sono dello stesso parere le imprese, preoccupate dall'onerosità delle ultime disposizioni in materia, che obbligano i proponenti a ottenere tutti i permessi di costruzione prima ancora di presentare la richiesta al ministero. Un procedimento che li costringe a sostenere costi notevoli, prima ancora di sapere se potranno tirare il loro cavo. Il sospetto è che malgrado l'apertura dello Sviluppo Economico, il governo voglia proteggere la rete pubblica, di proprietà di Terna (società quotata di cui lo Stato è il principale azionista), dalla concorrenza dei privati.
Sul fronte svizzero, in effetti, non va molto meglio: a parte il caso un po' particolare delle Ferrovie Nord, già in fase di realizzazione, gli altri investitori per ora sono al palo. Edison, ad esempio, sta tentando da cinque anni di tirare una linea d'interconnessione da 200 MW, fra Tirano e Campocologno nei Grigioni. “Abbiamo ottenuto tutte le licenze di costruzione – spiega il direttore sviluppo Roberto Potì - e l'impianto sarebbe realizzabile già da un po' di tempo, contavamo di cantierizzarlo in marzo, ma ci manca l'accordo fra i due gestori di rete, Terna e il suo omologo svizzero, che devono definire la capacità di trasporto della linea. E' un anno che aspettiamo una risposta, l'impressione è che la nostra richiesta non sia in cima alle loro priorità. D'altra parte per noi questa esperienza è determinante: rappresenta un banco di prova per decidere se andare avanti con gli altri progetti che avevamo avviato”.
“Ma quali bastoni fra le ruote”, rispondono da Terna. “Le difficoltà autorizzative affrontate dalle compagnie private sono analoghe a quelle che siamo costretti a superare anche noi. Basti pensare che per realizzare l'elettrodotto Matera-Santa Sofia ci abbiamo messo dieci anni. Per noi la fase di concertazione con le amministrazioni locali dura minimo 2-3 anni, cui poi bisogna aggiungere almeno altri 18 mesi di per le autorizzazioni vere e proprie. Quindi 4-5 anni solo per cantierizzare un progetto. Del resto per fare una centrale elettrica ci vogliono in media 4 anni di procedure autorizzative, quindi siamo nello stesso ordine. Il business delle infrastrutture in Italia è così, bisogna che i privati se ne rendano conto”. Parola di paladino della rete pubblica.
16 luglio 2007
Nucleare? Il modello giusto è finlandese
Nucleare, sì grazie. Nel dibattito sempre più acceso sull' eccessiva dipendenza del nostro Paese dagli idrocarburi, si stacca dal rumore di fondo una proposta: consorziamoci. Di fronte alle riserve del ministro dello Sviluppo economico Pier Luigi Bersani, che invita i nuclearisti a «fare due conti» invece di dare tutte le responsabilità agli ostacoli politici, per la prima volta alcuni industriali italiani scendono sul piano pratico, ispirandosi al modello finlandese, dove la corsa al nucleare è già ripresa da anni con un reattore in costruzione e altri due in progetto. «Un intervento di consorzio su uno o due impianti nucleari di nuova generazione in Italia mi sembra fattibile - propone Giuliano Zuccoli, presidente di Edison e capo operativo di Aem Milano, oltre che della nuova superutility del Nord insieme ad Asm Brescia -. Il mio gruppo - sostiene Zuccoli - sta cercando di raccogliere le compagnie elettriche su questo progetto. La logica suggerisce di unire le forze: ma ci vuole un consenso generalizzato, perché se qualcuno resta fuori si metterà a fare opposizione». Gli fa eco Giuseppe Pasini, amministratore delegato del gruppo Feralpi e presidente di Federacciai: «Qualsiasi iniziativa si apra sul nucleare, noi acciaieri saremo disponibili a partecipare, per abbattere i costi del kilowattora e aumentare la sicurezza degli approvvigionamenti». «Non si può puntare solo sulle fonti rinnovabili, ancora troppo poco efficienti - fa notare Pasini -. Ma per smussare l' opposizione dell' opinione pubblica al nucleare, basata su informazioni sbagliate, ci deve venire incontro la politica». La politica, per ora, sta a guardare. «Cominciare oggi da zero un programma nucleare - ipotizza Bersani - significherebbe mettere in bolletta una quota di prezzo molto alta: non si può discutere di nucleare, come di qualsiasi altro progetto, senza conti alla mano». È proprio questo che le imprese elettriche italiane e le industrie più energivore stanno facendo, insieme. Zuccoli vede bene il modello finlandese proprio per il vasto consenso che è riuscito a raccogliere nel Paese, dove le comunità locali si contendono i nuovi impianti, considerati un volano per lo sviluppo tecnologico del territorio. Un' alleanza di sessanta produttori, distributori e consumatori di elettricità ha consentito di finanziare la nuova centrale, che entrerà in funzione nel 2010, senza alcun costo aggiuntivo sulla bolletta elettrica e senza sussidi statali. «Solo un sodalizio di questo tipo può far uscire l' Italia dal vicolo cieco in cui si è cacciata, ma la scelta va fatta oggi, se non vogliamo che domani i nostri figli ci maledicano», insiste Zuccoli, che prevede uno scenario devastante per l' Italia da qui a dieci anni senza l' opzione nucleare: «Avremo molto più inquinamento che all' estero, l' energia sarà più cara e l' approvvigionamento più incerto». Per realizzare il suo progetto, Zuccoli punta alla collaborazione con partner internazionali: il pensiero è alla svizzera Atel, di cui Aem detiene il 5,8%, ma anche ai francesi di Edf, attraverso Edison. «Bisogna inserirsi nella rinascita del nucleare - sottolinea Zuccoli - ora che l' industria europea si sta muovendo per rimpiazzare le centrali obsolete, come in Francia o in Finlandia». La novità del modello finlandese sta nella capacità di coniugare i costi del nucleare con un sistema elettrico europeo pienamente liberalizzato, senza favoritismi da parte dello Stato o pianificazioni di stile sovietico. «L' esperienza finlandese - spiega Alessandro Clerici, presidente del gruppo di lavoro del World Energy Council sul futuro del nucleare in Europa e coordinatore della task force confindustriale sull' efficienza energetica - parte dalla fondazione di Tvo, formazione di una società senza scopo di lucro cui partecipano 60 imprese della domanda e dell' offerta, impegnandosi a prelevare ciascuna pro quota tutta l' energia prodotta dal nuovo impianto di Olkiluoto con dei contratti take or pay di lungo termine».
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