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18 luglio 2007

Terna non vuole concorrenza dai privati

All'inizio erano 42. Poi, come i piccoli indiani, si sono parecchio sfoltiti e oggi ne è rimasta una decina. Ma a cinque anni di distanza da quel primo censimento, solo uno dei progetti di linee elettriche private d'interconnessione con l'estero (le cosiddette merchant lines) sta per andare in porto, quello delle Ferrovie Nord, soggetto privato fino a un certo punto, visto che è controllato al 58% dalla Regione Lombardia. Gli altri sono ancora in alto mare. E non sembrano vicini all'approdo. Ma la spinta di queste imprese a investire negli allacciamenti della rete italiana con il resto d'Europa non è solo un interesse privato. Per l'energia, infatti, in Italia è sempre rischio blackout: due gocce di pioggia non risolvono la siccità e il caldo sempre più africano delle nostre estati, oltre a strangolare la produzione, fa volare i consumi, mettendo in crisi interi distretti produttivi del Nord Est e della Lombardia. Il mix di generazione italiano, dominato ormai per due terzi dal gas naturale, continua a tenere i prezzi alti. Il carbone e il nucleare, con il loro effetto calmieratore, restano off-limits. Sviluppare le interconnessioni con l'estero, quindi, non rappresenta solo un'opportunità di business per le imprese, ma anche un fattore di maggiore sicurezza per l'intero sistema a corto di energia e un elemento di compensazione per gli squilibri della produzione interna. Comprare kilowattora a prezzi migliori sul mercato europeo può convenire alle aziende che realizzeranno gli elettrodotti, ma è anche un modo per rivitalizzare la concorrenza sul mercato italiano. “Qui continuiamo a costruire centrali a gas, ma non dimentichiamo che il 2006 è stato caratterizzato da un notevole incremento dei prezzi del greggio e conseguentemente del gas: la bolletta pagata dall’Italia per importazioni di materie prime energetiche ha superato i 50 miliardi di euro”, spiega Alessandro Clerici, responsabile della task force di Confindustria sull'efficienza energetica. Piuttosto che importare prodotti petroliferi cari e sporchi, sostiene Clerici, perché non importare energia già bell'e fatta, possibilmente da combustibili meno cari di quelli prevalenti in Italia, come ad esempio il nucleare o il carbone? E' lo stesso ragionamento delle imprese, da una parte compagnie energetiche impegnate a ottimizzare l'attività di trading, dall'altra manifatture energivore, che sperano così di tagliare un po' i costi della bolletta. Come il gruppo Burgo. “Con un fabbisogno di punta da 500 MW e 3 terawattora di consumi annuali – precisa Roberto Manzoni, energy manager del gruppo – è ovvio che la bolletta energetica per noi sia una delle principali preoccupazioni: attingiamo a tutte le fonti possibili, dall'autoproduzione al mercato elettrico, ma ormai in Italia il prezzo è dettato dalle quotazioni del gas e continua a salire”. Da qui i progetti d'interconnessione con l'estero. “Al confine con l'Austria abbiamo proposto un semplice cavo interrato da 300 MW lungo il tracciato dell'oleodotto transalpino – fa notare Manzoni - che sfrutta una galleria di nove chilometri per scavalcare le Alpi e quindi non ha alcun impatto ambientale, tant'è vero che tutte le amministrazioni locali interessate al tracciato sono d'accordo. Ma il progetto è arenato da un anno e mezzo sul tavolo della Regione, che non dà una risposta”. Forse perché sullo stesso tracciato, tra Somplago in Carnia e Wurmlach in Carinzia, c'è anche un altro progetto sponsorizzato da due imprese regionali, i gruppi Pittini e Fantoni, su cui l'assessore Lodovico Sonego sembra particolarmente impegnato, scontrandosi però con le amministrazioni locali, contrarie all'utilizzo di un elettrodotto aereo. Al ministero dello Sviluppo Economico, che ha l'ultima parola sui progetti d'interconnessione di questa portata, non possono far altro che attendere il parere regionale, obbligatorio. “Proprio perché ci rendiamo conto dell'esigenza delle imprese di comprare energia a prezzi migliori - puntualizza Sara Romano, direttore generale del ministero dello Sviluppo Economico - abbiamo accelerato il più possibile le disposizioni attuative del decreto Scajola, che permette agli investitori privati di realizzare linee d'interconnessione con l’estero e di avvalersi dell’esenzione dell’accesso a terzi, ma ci rendiamo conto che le troppe iniziative nel Nord Est stiano portando a delle difficoltà autorizzative. Da parte nostra, consideriamo questi progetti strategici per il Paese e cerchiamo di facilitarli in ogni modo”. Non sono dello stesso parere le imprese, preoccupate dall'onerosità delle ultime disposizioni in materia, che obbligano i proponenti a ottenere tutti i permessi di costruzione prima ancora di presentare la richiesta al ministero. Un procedimento che li costringe a sostenere costi notevoli, prima ancora di sapere se potranno tirare il loro cavo. Il sospetto è che malgrado l'apertura dello Sviluppo Economico, il governo voglia proteggere la rete pubblica, di proprietà di Terna (società quotata di cui lo Stato è il principale azionista), dalla concorrenza dei privati. Sul fronte svizzero, in effetti, non va molto meglio: a parte il caso un po' particolare delle Ferrovie Nord, già in fase di realizzazione, gli altri investitori per ora sono al palo. Edison, ad esempio, sta tentando da cinque anni di tirare una linea d'interconnessione da 200 MW, fra Tirano e Campocologno nei Grigioni. “Abbiamo ottenuto tutte le licenze di costruzione – spiega il direttore sviluppo Roberto Potì - e l'impianto sarebbe realizzabile già da un po' di tempo, contavamo di cantierizzarlo in marzo, ma ci manca l'accordo fra i due gestori di rete, Terna e il suo omologo svizzero, che devono definire la capacità di trasporto della linea. E' un anno che aspettiamo una risposta, l'impressione è che la nostra richiesta non sia in cima alle loro priorità. D'altra parte per noi questa esperienza è determinante: rappresenta un banco di prova per decidere se andare avanti con gli altri progetti che avevamo avviato”. “Ma quali bastoni fra le ruote”, rispondono da Terna. “Le difficoltà autorizzative affrontate dalle compagnie private sono analoghe a quelle che siamo costretti a superare anche noi. Basti pensare che per realizzare l'elettrodotto Matera-Santa Sofia ci abbiamo messo dieci anni. Per noi la fase di concertazione con le amministrazioni locali dura minimo 2-3 anni, cui poi bisogna aggiungere almeno altri 18 mesi di per le autorizzazioni vere e proprie. Quindi 4-5 anni solo per cantierizzare un progetto. Del resto per fare una centrale elettrica ci vogliono in media 4 anni di procedure autorizzative, quindi siamo nello stesso ordine. Il business delle infrastrutture in Italia è così, bisogna che i privati se ne rendano conto”. Parola di paladino della rete pubblica.

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