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3 settembre 2007

Islanda e Italia, unite dalla geotermia

Un buco profondo quattro-cinque chilometri per scaldare e illuminare un' intera nazione: in Islanda, terra di vulcani, ci sono vicini. In Italia, invece, si procede a fatica. Il Paese natale dell' energia geotermica, partita con Francesco De Larderel agli inizi del Novecento, oggi fa molta resistenza, anche se l' Enel ce la mette tutta per sfruttare una delle fonti rinnovabili più ricche e promettenti che abbiamo a disposizione. I giacimenti di «petrolio bianco» sono facili da individuare, perché di solito si accompagnano a manifestazioni superficiali come fumarole, geyser o sorgenti d' acqua calda, fenomeni attribuiti dagli antichi a divinità sotterranee e utilizzati già da etruschi e romani per le loro terme. «In certe regioni della terra, dove le placche tettoniche confinano tra di loro e dove le forze geologiche spostano in superficie le masse magmatiche, il calore sprigionato dal centro del pianeta arriva a portata di mano, offrendoci una delle poche fonti rinnovabili costanti, a differenza del sole e del vento, di cui è nota l' estrema instabilità», spiega Gennaro De Michele, responsabile della ricerca Enel. Da qui il grande interesse di questa risorsa, che l' Italia possiede in quantità, soprattutto in Toscana, Lazio, Campania e Sardegna. Il centro nevralgico dello sfruttamento è nella zona boracifera di Larderello, in Toscana, dove le centrali geotermiche dell' Enel producono circa 5 miliardi di kWh l' anno, coprendo oltre un quarto del fabbisogno regionale, l' 1,5% dei consumi elettrici italiani. L' Italia è al quarto posto nel mondo - dietro a Stati Uniti, Filippine e Messico - per la produzione geotermoelettrica. Ma basta guardare al Nord Atlantico per capire quanto si potrebbe fare di più. In Islanda l' energia geotermica copre al 95% il riscaldamento delle famiglie, delle serre per la floricoltura e delle vasche per l' itticoltura, oltre a una bella fetta del fabbisogno elettrico. Ma non basta: gli islandesi hanno sviluppato nuove tecnologie per catturare il calore della terra anche là dove non arriva in superficie, trivellando a profondità di chilometri, in prossimità delle camere magmatiche. Da lì prevedono di estrarre tanta energia da liberare completamente il Paese dalla schiavitù degli idrocarburi. È questo il sogno di Gudmundur Friedleifsson, dell' Iceland GeoSurvey, il massimo esperto islandese di geotermia e responsabile del Deep Drilling Project. «L' Italia e l' Islanda - commenta Friedleifsson, che conosce bene il nostro Paese - si somigliano per l' intensa attività vulcanica, ma si differenziano per l' utilizzo delle fonti geotermiche: mentre l' Italia si trova in forte deficit energetico, l' Islanda ha eliminato il problema utilizzando a fondo questa risorsa straordinaria». «In Italia la sperimentazione è più difficile - spiega De Michele - perché i campi geotermici stanno in zone molto popolate». Ad esempio il Monte Amiata, dove lo sfruttamento di questa risorsa è bloccato dalla resistenza dei gruppi ambientalisti. Nel quinquennio 2007-2012 l' Enel progetta di costruire, con quasi 500 milioni d' investimento, cinque nuovi impianti geotermici, di cui quattro nelle zone storiche e uno sull' Amiata, dove però gli ambientalisti sostengono che la geotermia nuoce alla salute dei cittadini. «In realtà - controbatte De Michele - lo sfruttamento della geotermia non produce sostanze inquinanti né aumenta le emissioni di anidride carbonica rispetto a quelle già presenti allo stato naturale, mentre le acque reflue vengono reiniettate nel sottosuolo per mantenere stabile il ciclo e quindi non hanno alcun impatto ambientale». Non a caso il futuro della geotermia si sta giocando lontano dall' Italia: a Soulz, nella fossa tettonica del Reno fra Strasburgo e Karlsruhe, una delle zone più densamente popolate d' Europa, è in corso di realizzazione un prototipo industriale che punta a sfruttare il calore della terra anche lì dove mancano depositi naturali di acqua, allargando quindi di molto le possibilità di applicazione. L' acqua, in questo caso, viene iniettata dall' alto in pozzi profondi cinque chilometri, dove si scalda e risale in superficie lungo altri pozzi per poi venire impiegata come fluido energetico. La sperimentazione della tecnologia HDR (Hot dry rock), finanziata dall' Unione Europea e dal governo svizzero, va avanti da dieci anni e sarà completata l' anno prossimo, con l' entrata in produzione di un impianto da 6 megawatt. Da qui in poi, la strada è segnata: sfruttando questa potenzialità l' Europa potrebbe ottenere da una fonte stabile e inesauribile l' equivalente di tutta la sua produzione nucleare. Ma non sul Monte Amiata.

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