Il 9 marzo del 2000, in un famoso discorso pronunciato alla Johns Hopkins University di Baltimora sull'evoluzione politica cinese, Bill Clinton proclamava: “Nel nuovo secolo, la libertà si diffonderà attraverso i cellulari e i modem. E' indubbio che la Cina stia tentando d'imbavagliare Internet. Buona fortuna. E' come tentare d'inchiodare al muro un budino di gelatina”.
UNA STORIA CINESE
Il 24 novembre del 2004, nella città di Taiyuan, nella provincia di Shanxi, il giornalista Shi Tao veniva arrestato dagli uomini della polizia politica, con l'accusa di aver passato segreti di Stato ad agenti stranieri, una formula standard con cui il governo di Pechino usa incastrare i dissidenti. L'accusa si basava su una mail inviata da Shi Tao all'Asia Democracy Foundation, partendo dal suo indirizzo registrato su Yahoo, con cui illustrava nei dettagli le limitazioni imposte delle autorità ai media cinesi sulla copertura dell'anniversario della strage di Tiananmen. Come aveva fatto la polizia politica a trovare Shi? Semplicissimo: aveva chiesto a Yahoo di consegnare tutti i suoi dati personali, compreso l'indirizzo, che Yahoo aveva prontamente rivelato. Il 27 aprile 2005, all'età di 37 anni, Shi veniva condannato a 10 anni di prigione dal tribunale del popolo. Il 2 giugno l'appello presentato da Shi veniva respinto dalla corte di secondo grado senza concedergli udienza. Da allora Shi marcisce in prigione. Insieme ad altri 42 colleghi che hanno fatto la stessa fine in circostanze analoghe.
Il 28 agosto 2007 la madre di Shi, Gao Qinsheng, denunciava il comportamento di Yahoo al tribunale di San Francisco.
Il 6 novembre 2007 la Commissione Esteri del Congresso convocava il numero uno di Yahoo, Jerry Yang, per chiedergli conto del suo operato, definito da Tom Lantos, il presidente della Commissione, “codardo e irresponsabile”. Lantos chiedeva poi a Yang di scusarsi pubblicamente con la madre di Shi, presente all'audizione.
Il 13 novembre Yahoo raggiungeva un accordo extragiudiziale con la famiglia di Shi, i cui termini non sono pubblici. Ma tutti i soldi di Yang non tireranno Shi fuori di prigione.
LA FINE DI UN'UTOPIA
Oggi sappiamo che le speranze di democratizzazione dei regimi totalitari attraverso il web, ottimisticamente riassunte da Clinton nel suo discorso di Baltimora, sono miseramente naufragate in un mare di filtri censori sempre più sofisticati. Il caso cinese prova senza ombra di dubbio che la forza liberalizzatrice della tecnologia può essere inchiodata al muro – se si hanno gli strumenti giusti - molto meglio di un budino di gelatina. E i cinesi li hanno, così come i birmani, i vietnamiti, i sauditi, gli iraniani o i siriani, poiché nessuna azienda occidentale vuole mettersi contro le autorità dei Paesi con cui fa affari, come ha dichiarato recentemente John Chambers di Cisco mentre annunciava l'intenzione di investire 16 miliardi di dollari in Cina nei prossimi cinque anni: “Se c'è una cosa che le aziende tecnologiche non possono fare è lasciarsi coinvolgere nelle controversie politiche di un Paese”. Ha ragione, quindi, Yang a protestare quando i difensori dei diritti umani se la prendono con Yahoo, solo perché è stata beccata con le mani nel sacco. Nel mondo di Yang, quasi nessuno è senza peccato.
LA GRANDE MURAGLIA DI FUOCO
In pratica, la censura è intrecciata nel tessuto stesso del web cinese, un'isola collegata alla rete globale tramite nove accessi attentamente sorvegliati dall'occhio governativo. Questi nove accessi vengono comunemente soprannominati "Great Firewall" o GFW da chi se ne intende. Come il firewall installato sui pc, il GFW si attiva per bloccare minacce specifiche, ma non è dato sapere quali. Dai vari studi sulla complessa materia si deduce che viene eliminata tutta una serie di informazioni "indesiderate", contenute in migliaia di siti, da quello dei Falun Gong ormai inaccessibile da anni alle pagine cinesi della Bbc, spesso impossibili da aprire. La caratteristica particolare della censura cinese è che non avviene mai alla luce del sole. Pechino nega da sempre di esercitare qualsiasi sorveglianza. Le autorità ripetono continuamente che filtrare i contenuti del web è impossibile. Di conseguenza, se le pagine che si cercano sono irraggiungibili non si può mai sapere se è colpa della censura o di un sovraccarico delle linee. Altri regimi totalitari utilizzano delle "pagine di blocco" a cui gli utenti vengono rimandati quando cercano di accedere alle informazioni censurate. La Cina no. Per cui i blocchi sono del tutto imprevedibili e talvolta solo temporanei o parziali. I siti in lingua cinese, ovviamente, hanno più problemi degli altri e quelli che mettono direttamente in discussione il regime comunista sono i più sorvegliati.
UN'ISOLA CON 162 MILIONI DI ABITANTI
Mentre il GFW protegge l'isola cinese dagli assalti esterni, il sistema applicato per la censura interna è completamente diverso. Qui i principali censori sono gli stessi provider, che rischiano la chiusura se non applicano rigorosamente i filtri imposti dalle autorità. Ogni singola pagina presente in rete viene attentamente setacciata dal provider che la ospita, sia un sito o un blog, uno spazio autogestito tipo YouTube o addirittura un videogioco online. Una schiera di controllori da far impallidire la Stasi passa tutto il suo tempo a sorvegliare il materiale immesso in rete per bloccare le informazioni proibite. Che non sempre sono le stesse. Le indicazioni delle autorità sono volutamente vaghe, in modo da indurre all'autocensura. I tabù principali sono incentrati sulle tre T: Tibet, Taiwan e Tiananmen. Su questi tre temi non passa uno spillo. Ma le indicazioni possono diventare anche molto dettagliate nei momenti più delicati, in occasione di anniversari, di grandi happening politici come il Congresso del partito o di eventi internazionali come le Olimpiadi che si avvicinano. Le punizioni per gli utenti che si avventurano ripetutamente fuori dal seminato o per i provider che non filtrano abbastanza variano molto. I blogger possono ritrovarsi disabilitati da un momento all'altro, i post cancellati, i manager di un portale licenziati, il portale chiuso. La sorveglianza si estende agli Internet Café, dove gli operatori sono spinti dalle autorità a controllare attentamente gli utenti usando tecnologie che registrano ogni parola scambiata online. Ma come si vede dal caso iniziale, i censori ricorrono spesso anche a metodi molto più tradizionali, arrestando i trasgressori e condannandoli a lunghe detenzioni.
VARCHI NEL MURO
Gli unici canali di cui ci si può fidare sono quelli che passano attraverso le aziende che non fanno affari con la Cina, spiega Rebecca MacKinnon, ex capo dell'ufficio di Pechino della CNN, fondatrice di Global Voices Online, oggi docente di nuovi media all'Università di Hong Kong e blogger appassionata su RConversation. Dall'alto della sua esperienza cinese, Rebecca sconsiglia a chiunque abbia opinioni poco ortodosse di usare qualsiasi provider, anche americano, che abbia una sede in Cina. Stesso discorso vale per i blogger. Nello specifico, Rebecca consiglia di usare Hushmail per la posta elettronica, mentre per aprire un blog indica Civilblog, che ha sede in Canada ed è molto impegnato sul fronte dei diritti civili. Sul resto non si sente di mettere una mano sul fuoco. Ma sono ben pochi i cinesi tanto gelosi della propria privacy da arrivare così lontano.
UN SISTEMA EFFICACE
Il risultato di quest'opera ciclopica di manipolazione della realtà è sotto gli occhi di tutti: la vasta maggioranza dei 162 milioni di internauti cinesi risulta efficacemente schermata da qualsiasi opinione che le autorità potrebbero considerare politicamente problematica. In pratica, il partito è riuscito a creare una "memoria collettiva", soprattutto fra i giovani, in cui la versione governativa dei fatti non viene mai messa in discussione, anche quando è distante anni luce dalla realtà storica. Un esempio classico è la foto del ragazzo davanti al tank nei disordini di Piazza Tiananmen: quella che per l'Occidente è l'immagine-simbolo del massacro, in Cina è stata accuratamente erasa dal web, tanto che mostrandola a un cinese oggi, nessuno la riconosce. Consciamente o inconsciamente, gli internauti cinesi hanno interiorizzato i limiti oltre i quali è meglio non spingersi e preferiscono tenersi all'interno della linea rossa tracciata dal partito. Questo è uno dei motivi per cui la Repubblica Popolare rimane stabile anche in presenza di enormi problemi irrisolti.
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