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25 febbraio 2008

Ma si arriva alla Casa Bianca passando dal web?

Si dice che per stabilire un collegamento tra ogni essere umano e ogni altro non sia necessario scalare più di sei livelli di relazioni personali. In effetti, se ogni componente di un network fosse capace di reclutare cento conoscenti, basterebbe allargarsi di tre livelli e ognuno di loro avrebbe un milione di amici. E' su questo principio che si basano i siti di social networking ed è per questo che sono diventati così importanti nella campagna elettorale americana. Nemmeno John McCain, a dispetto dell'età avanzata, è esente dall'interazione online con i potenziali elettori e in onore di MySpace ha cominciato a chiamare McCainSpace il suo sito interattivo. Sul fronte democratico, Barak Obama prevale nettamente su Hillary Clinton: sia su Facebook che su MySpace la sua pagina ha attratto molti più amici di quella della rivale. Il suo video musicale “Yes We Can” è stato visto più di un milione di volte su YouTube. Ma serve? In altre parole: vincere la battaglia del web può tornare utile nel giorno in cui è davvero importante, il giorno delle elezioni? Dalla storia delle campagne elettorali precedenti, sembrerebbe di no. Nel 2004, il passaparola sul network di Meetup e il supporto dei bloggers di sinistra avevano spinto alla ribalta della corsa alla nomination democratica un candidato pressoché sconosciuto, l'ex governatore del Vermont Howard Dean. Ma questo non lo ha salvato da un tonfo clamoroso appena si è passati dal mondo virtuale ai fatti reali: Dean è arrivato terzo in Iowa e quindi è sceso rapidamente dalla giostra. Con l'applauso della blogosfera, che in breve tempo, vista la sua totale incapacità di comunicare nel mondo reale, lo aveva abbandonato. Ne deriva la sensazione che il supporto del popolo della rete possa rivelarsi davvero molto instabile. La crescente importanza del voto giovanile, però, accentua l'interesse dei candidati per il networking online. Il vecchio adagio secondo cui i giovani non vanno a votare sembra passato di moda. Gli exit polls suggeriscono che il voto giovanile sia stato decisivo nella vittoria di Obama in Georgia: il senatore nero ha attratto oltre l'80% dei consensi dalla fascia 18-24. Ma perfino prima del Super Tuesday l'affluenza dei giovani alle urne era cresciuta drammaticamente rispetto alle consultazioni precedenti. In Iowa, ad esempio, l'affluenza dei votanti nella fascia d'età 18-24 è arrivata quest'anno al 13%, dal 3% del voto del 2000 e dal 4% del 2004. In New Hampshire l'affluenza dei giovani è stata ancora più consistente, arrivando al 43% dal 18% nel 2004. A questo boom non sono certamente estranei i siti di social networking. "Per raggiungere gli elettori più giovani è molto più efficace lanciare un messaggio su quei siti piuttosto che metterlo sulla homepage del candidato o farlo circolare per e-mail", commenta Thomas Gensemer, direttore di Blue State Digital, una società di consulenza che lavora sulla campagna elettorale dei democratici. Joe Rospars, il partner di Gensemer, ha lasciato Blue State Digital per gestire la campagna online di Obama. Peter Daou, suo omologo per Hillary Clinton, è convinto che i nuovi media stiano rivoluzionando il processo democratico: "Internet sta diventando sempre più centrale nella vita politica", dice. "Nel 2004 YouTube, Facebook, MySpace non giocavano alcun ruolo. Oggi è cambiato tutto. E chissà come sarà cambiato alle prossime presidenziali". Daou e Gensemer sono chiaramente attirati dalla dimensione di questi network. Lanciare un messaggio su MySpace significa raggiungere 300 milioni di utenti registrati, su Facebook o su orkut oltre 60 milioni, su Friendster 50, su Bebo 40 e via enumerando. Gigantesche catene di Sant'Antonio che hanno un impatto tremendo sulla vita dei ragazzi che le frequentano. Resta il fatto che la dimensione di un network non sempre risulta efficace per centrare qualsiasi tipo di obiettivo. I mercati, in cui la gente entra per mettere a segno delle transazioni, beneficiano certamente della partecipazione di massa: i venditori vogliono raggiungere il maggior numero possibile di compratori e i compratori vogliono scegliere dal maggior numero possibile di offerte. Meg Whitman insegna. Ma non è detto che il processo elettorale funzioni allo stesso modo. Per dare fiducia e condividere i valori degli amici che partecipano a un network ci vuole il senso della comunità. E per soddisfare il bisogno di comunità, un social network non dovrebbe assomigliare a una metropoli anonima che si estende fino all'orizzonte, ma piuttosto - come dice Hillary - a un villaggio. I network online, invece, tendono ad inflazionare il termine "amico" fino a farlo annegare in una massa sterminata. Provare per credere. Aprendo una pagina su Facebook, nel giro di una settimana si può essere sommersi da duecentomila contatti. Fine del gioco. A me è capitato e non sono l'unica. Solo pochissimi network online, come ad esempio aSmallWorld, puntano a mantenere la cerchia il più possibile ristretta per evitare di annacquare il target. La dimensione di un network - insegna Esther Dyson - diventa un vantaggio soltanto nel caso in cui tutti i partecipanti siano interessati alla stessa cosa. Conoscere l'anima gemella. Condividere film o musica. Scambiare manga. Organizzare attivismo sociale, ambientale, religioso. Ricerca scientifica o medica. Giochi di ruolo. Investimenti finanziari. Viaggi. Libri. Ricette. Come diceva Robert Putnam, nel suo libro Bowling Alone: "La persone, che siano proprietari di Chihuahua o azionisti della Walt Disney, si organizzano in gruppi". Poi però ci sono i gruppi che parlano chiaro e quelli che mica tanto. Prendiamo LinkedIn, un social network su cui gravitano 19 milioni di abitanti di questo pianeta e che mette l'accento sulla posizione professionale dei componenti. Essere iscritti facilita molto le relazioni paritarie fra professionisti dello stesso settore o gli scambi fra settori diversi. Ma LinkedIn (come molti altri network) consente alle persone di allargare i propri contatti di lavoro fino a quattro livelli. Un "leverage" degno di un hedge fund. In pratica, se qualcuno vuole entrare in contatto con una persona che figura nella cerchia di conoscenti di un altro, può chiedergli di presentargliela. E questo fino a quattro livelli di distanza. Reid Hoffman, fondatore di LinkedIn, sostiene che la libertà di passare in rassegna i contatti dei tuoi conoscenti e dei loro conoscenti e così via semplifica molto la possibilità di gettare ponti in una certa direzione. Nessuno ne dubita. Il problema è che spesso la gente si iscrive a un network di questo tipo proprio perché vuole ottenere un certo contatto. Tanto che gli iscritti ai network cominciano a sentire il peso di una variante dello spam, chiamata in gergo snam (da "social network"), ovvero un fiume in piena di richieste di favori di vario tipo da parte di altri membri del loro network. E cominciano a sorgere barriere per mantenere il fenomeno entro limiti accettabili. La tecnologia, evidentemente, non può eliminare frizioni e disagi tipici della socializzazione di massa. Assemblare una collezione di migliaia di "amici" può risultare divertente per un po', ma alla lunga stanca. L'audience di MySpace si è ridotta del 9% nel 2007 in base a un'indagine Nielsen, dopo anni di tassi di crescita fenomenali. Facebook ha vissuto il primo mese di declino in gennaio, con una contrazione del 5% rispetto a a dicembre 2007. Tanto che qualcuno comincia a mettere in dubbio il luminoso futuro dei network online, oltre alla loro efficacia in campagna elettorale. E definire il valore di mercato di queste aziende è sempre meno agevole. La piccola partecipazione appena comprata da Microsoft in Facebook (1,6%), ad esempio, conferisce al sito un valore teorico di 15 miliardi di dollari. Ma il prezzo pagato dal gigante di Redmond è stato criticato da molti come assolutamente esagerato, per una società di appena tre anni di vita che genera un giro d'affari da meno di cento milioni di dollari all'anno. Azionisti di network, che sia arrivato il momento di vendere?

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