31 marzo 2008
Tentazione italiana: rompere il tabù nucleare
Gli inglesi vanno pazzi per il vento italiano
In Spagna il primo impianto acchiappa-fumi
A Bruxelles non piacciono le maxi sovvenzioni
21 marzo 2008
Robert Kaplan
Se le istituzioni finanziarie avessero seguito i suoi consigli, forse la crisi dei subprime si sarebbe evitata? «La Balanced Scorecard induce certamente una visione di lungo termine che le istituzioni finanziarie non hanno saputo mantenere in questi ultimi anni. Ma non si può dire che seguendo il mio modello la crisi si sarebbe evitata. Anzi, direi che alla luce di questa esperienza dovrò dare più peso alla gestione del rischio».
Il suo sistema ha retto bene a fenomeni più recenti come la globalizzazione o la diffusione della web economy? «La base del modello è rimasta sempre valida, ma nel corso del tempo abbiamo aggiornato una serie di dettagli».
Di solito si compete crescendo, con fusioni e acquisizioni... «Strutture nuove creano problemi organizzativi nuovi, difficoltosi quanto quelli che cercano di risolvere. Nel tentativo di cambiare paradigma si creano e si lasciano in eredità sistemi che poi si rifiutano di morire, mentre una grande quantità di conoscenza implicita viene persa strada facendo. Troppo spesso manca un efficace coordinamento tra i diversi settori della stessa azienda».
Gli insuccessi delle aziende non derivano solo da strategie sbagliate... «Le strategie possono anche essere sbagliate, ma molto più spesso i problemi derivano dalla mancata attuazione della strategia. In molte aziende la strategia non è condivisa, il suo grado di attuazione non è misurabile, i processi non sono progettati in linea con le priorità strategiche e le risorse non sono allocate in loro funzione. L' organizzazione, la formazione e i sistemi di incentivazione sono sviluppati a compartimenti stagni. Troppe imprese hanno una strategia formale, ma nessun modo pratico per esprimerla ai dipendenti, oppure non hanno gli obiettivi della strategia collegati al budget. Le domande che bisogna farsi sono ovunque le stesse».
Quale consiglio darebbe all' amministratore delegato di una grande impresa? «Gli direi semplicemente di andare da uno dei suoi dipendenti e di fargli questa domanda: "Per favore, può spiegarmi la mia strategia?". Se è in grado di spiegargliela, vuol dire che la sua gestione funziona».
17 marzo 2008
La carta di E.on spariglia il risiko dell'energia
14 marzo 2008
Jim Collins
Le imprese gestite bene non devono aver paura delle crisi globali come quella che stiamo attraversando oggi. Per Jim Collins - autore di due classici del management come «Good to Great» e «Built to Last» - è proprio nei tempi difficili che si distinguono meglio le imprese buone da quelle cattive. «Il mio messaggio ai bravi leader è: abbracciate i tempi difficili come buoni amici, non respingeteli come un nemico». Il tono messianico tradisce la ricerca dell' assoluto, che Jim Collins persegue meticolosamente fin dai tempi in cui insegnava a Stanford, vent' anni fa. Ma le argomentazioni sono solidamente piantate in anni e anni di analisi gestionale. Nei suoi libri si descrive un metodo universale che dovrebbe servire per arrivare alla gestione ottimale.
Ma è una visione apparentemente statica: resta valida anche nei periodi di grande turbolenza?
«Al contrario, proprio nei periodi turbolenti il mio metodo diventa particolarmente utile. In epoche come queste è ancora più importante avere un leader di alto livello, quello che ho chiamato "Livello 5", che non sia focalizzato sulla sua carriera ma solo sugli interessi dell' azienda, che persegua lealmente il bene comune senza perdersi nei giochetti di potere o farsi distrarre dagli interessi clientelari dei gruppi che gli gravitano intorno».
Talvolta venire a patti con il potente di turno può portare vantaggi all' azienda...
«Sono sempre vantaggi di corto respiro. Dalle mie ricerche ho capito che scendere a compromessi, anche per motivi che lì per lì possono sembrare validi, alla lunga mina la solidità dell' impresa».
Quindi l' integrità fa premio sul resto. E la competenza?
«Un buon leader deve conoscere il settore in cui si muove, ma i dettagli tecnici sono irrilevanti. Le doti di carattere sono molto più importanti: dev' essere testardo ma umile, ambizioso ma disciplinato. Malgrado le differenze tra i diversi settori e i mutamenti introdotti dalle nuove tecnologie, dalla globalizzazione o dalle strette regolatorie, ci sono alcuni fatti fondamentali che non cambiano mai nella gestione aziendale. E' di quelli che si deve occupare».
Qual è il segreto delle aziende che riescono a superare la mediocrità e a entrare nei libri di storia?
«L' importanza essenziale del fattore umano emerge sempre in tutte le aziende di successo, da P&G a General Electric, da Philip Morris a Microsoft. Un' azienda che ha gli uomini giusti nei posti giusti può superare brillantemente qualsiasi sfida e qualsiasi imprevisto, dall' esaurimento del petrolio alla terza guerra mondiale. Per questo un buon leader deve modellare tutte le sue strategie sul "chi", non sul "cosa" o sul "come"».
Dovrebbe occuparsi solo di risorse umane?
«Questa è la sua prima responsabilità. Se riesce ad assumere le persone giuste nel team di comando e a schierarle nelle mansioni che sono più portate a fare è già a metà dell' opera. D' altra parte non deve avere tentennamenti nel licenziare: quando capisce che un suo collaboratore non è adatto a quel ruolo, deve rimuoverlo».
Etichette: guru
Jim Collins
Ma è una visione apparentemente statica: resta valida anche nei periodi di grande turbolenza? «Al contrario, proprio nei periodi turbolenti il mio metodo diventa particolarmente utile. In epoche come queste è ancora più importante avere un leader di alto livello, quello che ho chiamato "Livello 5", che non sia focalizzato sulla sua carriera ma solo sugli interessi dell' azienda, che persegua lealmente il bene comune senza perdersi nei giochetti di potere o farsi distrarre dagli interessi clientelari dei gruppi che gli gravitano intorno».
Talvolta venire a patti con il potente di turno può portare vantaggi all' azienda... «Sono sempre vantaggi di corto respiro. Dalle mie ricerche ho capito che scendere a compromessi, anche per motivi che lì per lì possono sembrare validi, alla lunga mina la solidità dell' impresa».
Quindi l' integrità fa premio sul resto. E la competenza? «Un buon leader deve conoscere il settore in cui si muove, ma i dettagli tecnici sono irrilevanti. Le doti di carattere sono molto più importanti: dev' essere testardo ma umile, ambizioso ma disciplinato. Malgrado le differenze tra i diversi settori e i mutamenti introdotti dalle nuove tecnologie, dalla globalizzazione o dalle strette regolatorie, ci sono alcuni fatti fondamentali che non cambiano mai nella gestione aziendale. E' di quelli che si deve occupare».
Qual è il segreto delle aziende che riescono a superare la mediocrità e a entrare nei libri di storia? «L' importanza essenziale del fattore umano emerge sempre in tutte le aziende di successo, da P&G a General Electric, da Philip Morris a Microsoft. Un' azienda che ha gli uomini giusti nei posti giusti può superare brillantemente qualsiasi sfida e qualsiasi imprevisto, dall' esaurimento del petrolio alla terza guerra mondiale. Per questo un buon leader deve modellare tutte le sue strategie sul "chi", non sul "cosa" o sul "come"».
Dovrebbe occuparsi solo di risorse umane? «Questa è la sua prima responsabilità. Se riesce ad assumere le persone giuste nel team di comando e a schierarle nelle mansioni che sono più portate a fare è già a metà dell' opera. D' altra parte non deve avere tentennamenti nel licenziare: quando capisce che un suo collaboratore non è adatto a quel ruolo, deve rimuoverlo».