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27 luglio 2008

Enel, per Endesa servono 10 miliardi e il sì di Madrid

Non sarà una passeggiata. Prima ci vorrà un accordo fra il numero uno di Enel Fulvio Conti e José Manuel Entrecanales, presidente di Acciona e di Endesa, per sbloccare l' empasse che sta paralizzando Endesa. E poi servirà, con ogni probabilità, un accordo politico che sancisca il divorzio. L' ingresso di Enel nell' azionariato dell' ex monopolista spagnolo era stato concordato da Romano Prodi con José Zapatero in persona. Ora non sarà facilissimo mettere Zapatero seduto allo stesso tavolo con Silvio Berlusconi per concordare le modalità dell' uscita di Acciona dall' azionariato Endesa ed eventualmente l' ingresso di altri garanti spagnoli. L' unica certezza è che un compromesso va trovato e presto. Entrecanales, infatti, sta piantando una grana dietro l' altra nel cda di Endesa, dove il suo voto conta il doppio e quindi rappresenta l' ago della bilancia in qualsiasi decisione, visto che Acciona ha la metà dei consiglieri, pur pesando solo per il 25% nel capitale di Endesa. È stato questo il ticket pagato da Conti per ottenere il via libera di Madrid all' acquisizione del 67% del gigante spagnolo. Ma ora la convivenza tra i due partner sta diventando davvero difficile. Prima c' è stata la frizione sulle nomine di alcuni manager, ora sulla questione della valutazione degli asset di Endesa nelle fonti rinnovabili. «Entrecanales è sotto pressione - dicono fonti interne al nucleo storico di Endesa -. Deve portare a casa un risultato in tempi brevi e sta cercando di far perdere la pazienza ai vertici Enel per giungere a un divorzio consensuale». Del resto, Enel ha un interesse strategico per Endesa e intende farla crescere ben oltre i confini spagnoli, mentre Acciona punta a liquidare al più presto l' investimento, massimizzando le plusvalenze e portandosi a casa l' unico asset che davvero le interessa: le rinnovabili di Endesa. Acciona ha un' esposizione di 18 miliardi - solo finanziamenti bancari, niente bond e quindi niente rating - contro una capitalizzazione di 6 miliardi e proprio questa settimana scade un' importante linea di credito con il Santander (1,8 miliardi di euro). Nessun problema a rinnovarla, ma un debito che è quasi 13 volte il margine operativo lordo e quasi 3 volte il patrimonio netto non fa dormire sonni tranquilli alla famiglia Entrecanales, tanto più ora, con in tassi d' interesse in ascesa. Certo, Acciona potrebbe sempre esercitare la put sul 25% di Endesa, ma l' opzione (10-12 miliardi di euro) scade a ottobre 2010 e chiedere a Enel di anticipare i termini è certo possibile, ma non metterebbe Acciona in una posizione negoziale ottimale. Per questo Entrecanales sta cercando di rendere impossibile la convivenza e arrivare alla rottura senza pagare pegno. Alla scorsa assemblea Entrecanales ha cercato di gettare acqua sul fuoco, ma è evidente che gli obiettivi dei due soci sono divergenti e che, a meno di sedersi a un tavolo negoziale, le cose non potranno che andare peggio. Finora gli spagnoli hanno nominato i manager che desideravano senza nemmeno informare Enel, hanno bloccato le nomine italiane e, soprattutto, hanno stoppato il nuovo piano industriale. Fulvio Conti sembra prendere la questione con filosofia e soprattutto non sembra disposto a strapagare la quota di Acciona, tanto più ora con i mercati ai minimi. Ma su un punto non ci saranno sconti: sulla valutazione degli asset di Endesa nelle rinnovabili Entrecanales non avrà voce in capitolo, a causa del conflitto d' interesse. In base agli accordi, questi asset verranno conferiti in ottobre, insieme agli impianti analoghi di Acciona, a una joint venture di cui Acciona avrà il controllo e che dovrebbe valere una 10 di miliardi. Entrecanales, abituato a una gestione molto padronale e poco manageriale delle sue imprese, avrebbe tutto l' interesse a trasferirli a un prezzo «conveniente», ma i rappresentanti di Acciona in cda, compreso il presidente, saranno esclusi dalla votazione. E questo - la valutazione degli impianti Endesa - è il nodo su cui si metteranno al lavoro le diplomazie parallele per trovare un compromesso soddisfacente per tutti. Ma la strada, al momento, appare ancora in salita. * * * Chi è Fulvio Conti Amm. delegato Enel Manager di lungo corso, sessantun anni a ottobre, Fulvio Conti ha messo la parola fine all' avventura telefonica dell' Enel con la vendita di Wind e ha spinto per una forte internazionalizzazione del gruppo. Dopo il tentativo frustrato di conquistare la francese Suez, Conti ha giocato tutto sulla roulette di Spagna. E ha vinto.

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21 luglio 2008

La liberalizzazione prigioniera dentro il barile

Liberalizzazione, un anno dopo. Le prime stime indicano che dal 1° luglio 2007 al 30 giugno 2008 circa 1,8 milioni di clienti, tra famiglie e piccole imprese in bassa tensione, hanno abbandonato le tariffe vincolate per muoversi nel mare aperto del mercato libero. Al 1° luglio 2007, il serbatoio protetto contava 34 milioni di clienti. Il movimento, quindi, ha interessato oltre il 5% degli utenti: sembra pochissimo, ma tecnicamente è un buon tasso di switch. A un solo anno di distanza dall' apertura del mercato, è un dato tra i più alti d' Europa, paragonabile a quanto avvenuto in Gran Bretagna. Ma è chiaro che da qui in poi la strada sarà in salita. La forte crescita del prezzo del petrolio, e la grave dipendenza del sistema elettrico italiano dagli idrocarburi, tagliano le gambe alla liberalizzazione, perché non consentono di tradurre la maggiore concorrenza in sconti significativi, che farebbero abbassare i prezzi dell' energia. Anzi. Nell' ultimo anno la bolletta media per le famiglie è aumentata del 10% abbondante. Niente in confronto al prezzo della benzina, che è quasi raddoppiato, ma comunque un bel peso invece di un alleggerimento. Il caro greggio, secondo il presidente dell' Authority per l' Energia Alessandro Ortis, è «un terremoto che rischia di distruggere anche i vantaggi iniziali delle prime liberalizzazioni e i benefici per i consumatori derivanti da una continua riduzione delle tariffe amministrate dall' Autorità, come ad esempio trasporto e distribuzione, diminuite del 20% in media negli ultimi cinque anni». Per le grandi imprese non era stato così. La liberalizzazione introdotta nel 2004 aveva dato il via a una fuga di massa dal mercato vincolato dei primi scaglioni liberalizzati, beneficiati da forti sconti, tanto che l' Enel ha mantenuto meno del 15% di quel mercato. Stavolta, invece, un' inchiesta dell' Università di Bologna ha mostrato come solo il 19% delle piccole aziende abbia approfittato della nuova opportunità per cambiare fornitore. Tra i motivi evidenziati nella ricerca, il più importante è legato alla bassa entità degli sconti, che non superano il 4%, mentre imprese e utenti si aspetterebbero vantaggi ben più consistenti, nell' ordine del 25-30%. Ma si tratta di traguardi impossibili da raggiungere, perché l' andamento dei prezzi della materia prima frenano qualsiasi beneficio. Non bisogna dimenticare che il prezzo di base del kilowattora messo in commercio è definito giorno per giorno dalla borsa elettrica, governata dal gestore del mercato elettrico. I costi comprendono una serie di aspetti strutturali, tra cui l' acquisto delle materie prime, la gestione dei macchinari, la distribuzione sulla rete e la sua manutenzione. I distributori, insomma, si trovano con un costo del kilowattora già definito per oltre il 90% da spese fisse. Il margine commerciale su cui possono modulare le loro proposte è di circa il 5%: troppo ristretto per poter formulare prezzi stracciati. Al momento, l' offerta dei fornitori di energia, come Enel, Edison, Sorgenia, Eni, Dynameeting, La220 e molti altri, comprese le grandi municipalizzate, si articola in tre diverse categorie. Quella di solito definita come «sicura» stabilisce un prezzo fisso del kilowattora e lo mantiene bloccato per un certo numero di anni, per assicurare il cliente dalle fluttuazioni dei prezzi, probabili a dir la verità in uno scenario di continua variazione delle quotazioni del petrolio. Esistono poi offerte scontate fino al 4-5% rispetto a quelle bloccate, ma variabili a seconda del valore del kilowattora acquistato sul mercato libero. Discorso a parte per le «tariffe verdi», che offrono energia prodotta completamente da fonti rinnovabili e quindi sono un pò più care, puntando sulla coscienza ambientale degli utenti. Enel infine propone anche una tariffa bioraria, con prezzi che dalle 20 alle 8 e nei weekend sono quasi la metà rispetto a quelli applicati di giorno. Ma quest' offerta diventa effettivamente interessante solo se almeno il 70% dei consumi avviene nelle fasce orarie privilegiate. Ma l' Authority insiste per stimolare la concorrenza in modo da ridurre le tariffe. Tra le ultime iniziative l' avvio di un sistema telematico di ricerca che consenta ai clienti finali di sfogliare, sul sito dell' Autorità, le varie offerte e di confrontarle. Le richieste di informazioni ai vari operatori sono già partite e il sistema dovrebbe essere attivato nel giro di qualche settimana. Sarà più facile, così, scegliere in piena libertà l' operatore più conveniente alle necessità di ognuno.

18 luglio 2008

Peter Senge

La definisce una «rivoluzione necessaria». Diciott' anni dopo il suo best-seller The Fifth Discipline, Peter Senge ci regala un nuovo lavoro che promette di diventare altrettanto influente: The Necessary Revolution (Doubleday), con cui affronta il tema del degrado ambientale, offrendo diversi esempi dei modi in cui le grandi corporation possono contribuire a uno sviluppo sostenibile. Sembra strano che un guru del management si focalizzi sulla sostenibilità, ma in realtà i due libri sono la continuazione l' uno dell' altro. Nel primo descriveva un' organizzazione in cui «si sviluppano nuovi modelli di pensiero» e «si soddisfano le aspirazioni collettive». Nell' ultimo libro Senge sostiene che se le imprese non ripenseranno il rapporto con l' ambiente, questa miopia si ritorcerà contro di loro.
Nel suo libro esprime la convinzione che dobbiamo liberarci dal «credo dell' era industriale». Cosa intende?
«Il credo di base dell' era industriale consiste nel considerare il Pil la misura del progresso. Che tu sia il presidente della Cina o degli Stati Uniti, se il tuo Paese non cresce sei nei guai. Ma tutti noi sappiamo che oltre un certo livello di benessere materiale, ulteriori acquisizioni materiali non rendono la vita migliore, anzi. Così ci troviamo a praticare un modello economico di crescita ininterrotta, anche se a livello personale nessuno crede nella sua validità».
Che alternativa propone?
«Facciamo l' esempio di un prodotto di estremo successo, che ha cambiato l' approccio di un intero settore, come la Toyota Prius. Quando è uscita la Prius, ero consulente di diverse aziende di Detroit e tutti i top manager che ho interpellato mi diedero la stessa interpretazione: ' E' un prodotto di nicchià. Basavano questa idea sui gruppi di ascolto dei consumatori, a cui veniva chiesto quanto fossero disposti a pagare per un aumento di efficienza nei consumi di carburante ed erano sempre cifre minuscole. Ma le richieste latenti dei consumatori non verranno mai espresse in questi gruppi di ascolto».
E quindi?
«Le aziende non possono limitarsi a farsi trainare dai gusti dei consumatori, devono anche avere una funzione educativa. E' ampiamente dimostrato che i prodotti ecologicamente virtuosi diventano in breve prodotti trainanti, anche se nessuno li aveva chiesti prima. Così è successo con la Prius. Toyota non l' ha prodotta per andar dietro ai gruppi di ascolto, ma perché era convinta che le auto andassero ripensate. E ha fatto centro».
Altri esempi?
«Nike ha inventato la linea Considered per merito di due donne molto impegnate, convinte che produrre scarpe biodegradabili e senza adesivi tossici sia un bene anche per gli atleti, non solo per l' ambiente. Nel giro di 5 anni hanno conquistato tutti i migliori designer dell' azienda, creato una borsa del cotone biologico perché non riuscivano a trovarne abbastanza sul mercato e rivoluzionato tutti i modelli di produzione».
Perché l' ha chiamata Rivoluzione Necessaria?
«Nello stesso spirito di rivoluzione industriale. Quando ho avviato questo network, dieci anni fa, i manager che aderivano erano veramente una piccola banda di radicali, anche se si trattava di top manager. Ora è una categoria relativamente diffusa, che agisce in quasi tutte le grandi aziende e ne influenza i modelli di business. E' una nuova rivoluzione industriale, che avrà ricadute altrettanto importanti».

8 luglio 2008

Wildcatters

Li chiamano wildcatters. Spuntano come funghi dopo la pioggia quando il prezzo del petrolio sale e la ricerca di nuovi giacimenti diventa remunerativa anche per i piccoli esploratori, che non possono usufruire di economie di scala, ma hanno la flessibilità del mordi e fuggi. Di solito è gente del mestiere, che ha fatto esperienza nelle grandi compagnie petrolifere e ora cerca la fortuna in proprio, come ai tempi della corsa all'oro. In Europa, il loro Eldorado è l'Italia, molto meglio del Mare del Nord, dove la trivellazione in acque profonde ha costi proibitivi.

Glenn McCarthy è il capostipite della categoria: un mito texano. Nato a Beaumont pochi mesi dopo la leggendaria scoperta di Spindletop - primo pozzo di petrolio degno di questo nome perforato sul suolo americano - McCarthy è stato un rabdomante dell'oro nero che tra il 1930 e il '40 ci ha preso 38 volte, ha costruito un impero e lo ha sperperato al gioco. La sua figura è stata interpretata da James Dean nel film “Giant”, con Elizabeth Taylor e Rock Hudson, uscito nel '56 quando ormai Dean si era già schiantato con la sua Spider.

I suoi emuli moderni sono meno tragici. Sono prevalentemente australiani, britannici, canadesi o texani, ma sempre coadiuvati da una quinta colonna locale. Le loro società si chiamano Northern Petroleum o Petroceltic, Mediterranean Gas o Po Valley, a seconda delle zone in cui operano. In Italia ce ne sono una cinquantina, che trivellano allegramente sotto i nostri piedi senza che nessuno se ne accorga. Nel 2006 sono stati perforati ben 49 pozzi, di cui 34 per raggiungere giacimenti già scoperti e 15 per cercare nuove riserve. Nel 2007 altri 37, di cui 10 in località non ancora sfruttate.

Il territorio italiano è sbucherellato da quasi settemila pozzi (6955 per la precisione) alla ricerca di metano e di greggio. Al momento attuale ce n'è una sessantina in attività, per un'area complessiva di quasi ventimila chilometri quadri: questa è l'estensione delle concessioni governative, ma naturalmente non significa che si cerchi in tutta l'area. Negli anni '50 e '60 si perforavano più di cento pozzi l'anno, ma erano sterili tre trivellazioni su quattro. Oggi invece, grazie ai sistemi di prospezione più avanzati, vanno quasi tutte a buon fine. La maggior parte delle riserve scoperte finora sono nel sottosuolo di una specie di mezzaluna che percorre l'area padana, la costa adriatica per poi tagliare la Puglia e l'Appennino lucano (dove ci sono le Arabie d'Italia, la Val d'Agri e Tempa Rossa) fino alla Sicilia. Ma ci sono nuove zone interessanti: le più appetitose per le future scoperte di giacimenti sono al largo della costa ionica della Calabria, la Sicilia occidentale, il braccio di mare tra la Sicilia e Malta.

Le perforazioni esplorative si concentrano in Emilia Romagna, Basilicata, Abruzzo, Lombardia e Piemonte. In mare, si cerca soprattutto in Adriatico, Ionio e nel Canale di Sicilia. Ma pozzi, perloppiù esauriti, se ne trovano nelle zone più impensate. Basta un po' d'occhio e si scoprono facilmente: dal terreno esce un tubo d'acciaio alto un metro e mezzo con un paio di grosse valvole, di solito recintato in qualche modo per difenderlo dalle macchine agricole o dai vandalismi. Come nel caso del giacimento di Villafortuna, sotto il Parco del Ticino, che è stato raggiunto perforando orizzontalmente per sbucare lontano dalle zone protette. Ma non mancano pozzi neanche nel pieno degli insediamenti urbani: nel quartiere milanese di Lambrate ci sono quattro pozzi di metano trivellati dall'Agip, che arrivano fino a 1.700 metri di profondità. Due sono considerati ancora validi e attingono a un giacimento di gas che si estende sotto i piedi dei milanesi, fra il quartiere dell'Ortica, lo stabilimento dell'Innocenti e la tangenziale.

A Roma, a due passi dal Vaticano, ci sono due pozzi di petrolio che si spingono fino a 3mila metri. E di lato al Viale Cristoforo Colombo, non lontano dal raccordo anulare, è stato avviato un pozzo esplorativo dall'Italmin. I britannici di Ascent Resources hanno appena cominciato a trivellare alla ricerca di gas accanto all'aeroporto di Fiumicino: il loro obiettivo sono gli strati sabbiosi del Pliocene a circa mille metri di profondità.

La produzione domestica di petrolio, stando ai dati del ministero dello Sviluppo Economico, si è attestata nel 2007 a 42,6 milioni di barili. La Basilicata continua a farla da padrone, arrivando a coprire il 74% della produzione petrolifera nazionale con i suoi 3,2 milioni di barili. A seguire, i campi offshore (con un peso del 13%), la Sicilia (9%) e il Piemonte (2%). Considerando un prezzo medio annuo di 51 euro a barile per il greggio italiano, il valore complessivo del bottino supera i 2,17 miliardi. Quanto al gas naturale, la produzione italiana è stata di 9,6 miliardi di metri cubi. Considerando un prezzo medio di 24,5 eurocent al metro cubo, il valore complessivo arriva a 2,33 miliardi di euro. Il bilancio 2008 sarà ovviamente molto più interessante, visto il raddoppio delle quotazioni del greggio.

7 luglio 2008

Enel, per Endesa servono 10 miliardi e il sì di Madrid

Non sarà una passeggiata. Prima ci vorrà un accordo fra il numero uno di Enel Fulvio Conti e José Manuel Entrecanales, presidente di Acciona e di Endesa, per sbloccare l' empasse che sta paralizzando Endesa. E poi servirà, con ogni probabilità, un accordo politico che sancisca il divorzio. L' ingresso di Enel nell' azionariato dell' ex monopolista spagnolo era stato concordato da Romano Prodi con José Zapatero in persona. Ora non sarà facilissimo mettere Zapatero seduto allo stesso tavolo con Silvio Berlusconi per concordare le modalità dell' uscita di Acciona dall' azionariato Endesa ed eventualmente l' ingresso di altri garanti spagnoli. L' unica certezza è che un compromesso va trovato e presto. Entrecanales, infatti, sta piantando una grana dietro l' altra nel cda di Endesa, dove il suo voto conta il doppio e quindi rappresenta l' ago della bilancia in qualsiasi decisione, visto che Acciona ha la metà dei consiglieri, pur pesando solo per il 25% nel capitale di Endesa. È stato questo il ticket pagato da Conti per ottenere il via libera di Madrid all' acquisizione del 67% del gigante spagnolo. Ma ora la convivenza tra i due partner sta diventando davvero difficile. Prima c' è stata la frizione sulle nomine di alcuni manager, ora sulla questione della valutazione degli asset di Endesa nelle fonti rinnovabili. «Entrecanales è sotto pressione - dicono fonti interne al nucleo storico di Endesa -. Deve portare a casa un risultato in tempi brevi e sta cercando di far perdere la pazienza ai vertici Enel per giungere a un divorzio consensuale». Del resto, Enel ha un interesse strategico per Endesa e intende farla crescere ben oltre i confini spagnoli, mentre Acciona punta a liquidare al più presto l' investimento, massimizzando le plusvalenze e portandosi a casa l' unico asset che davvero le interessa: le rinnovabili di Endesa. Acciona ha un' esposizione di 18 miliardi - solo finanziamenti bancari, niente bond e quindi niente rating - contro una capitalizzazione di 6 miliardi e proprio questa settimana scade un' importante linea di credito con il Santander (1,8 miliardi di euro). Nessun problema a rinnovarla, ma un debito che è quasi 13 volte il margine operativo lordo e quasi 3 volte il patrimonio netto non fa dormire sonni tranquilli alla famiglia Entrecanales, tanto più ora, con in tassi d' interesse in ascesa. Certo, Acciona potrebbe sempre esercitare la put sul 25% di Endesa, ma l' opzione (10-12 miliardi di euro) scade a ottobre 2010 e chiedere a Enel di anticipare i termini è certo possibile, ma non metterebbe Acciona in una posizione negoziale ottimale. Per questo Entrecanales sta cercando di rendere impossibile la convivenza e arrivare alla rottura senza pagare pegno. Alla scorsa assemblea Entrecanales ha cercato di gettare acqua sul fuoco, ma è evidente che gli obiettivi dei due soci sono divergenti e che, a meno di sedersi a un tavolo negoziale, le cose non potranno che andare peggio. Finora gli spagnoli hanno nominato i manager che desideravano senza nemmeno informare Enel, hanno bloccato le nomine italiane e, soprattutto, hanno stoppato il nuovo piano industriale. Fulvio Conti sembra prendere la questione con filosofia e soprattutto non sembra disposto a strapagare la quota di Acciona, tanto più ora con i mercati ai minimi. Ma su un punto non ci saranno sconti: sulla valutazione degli asset di Endesa nelle rinnovabili Entrecanales non avrà voce in capitolo, a causa del conflitto d' interesse. In base agli accordi, questi asset verranno conferiti in ottobre, insieme agli impianti analoghi di Acciona, a una joint venture di cui Acciona avrà il controllo e che dovrebbe valere una 10 di miliardi. Entrecanales, abituato a una gestione molto padronale e poco manageriale delle sue imprese, avrebbe tutto l' interesse a trasferirli a un prezzo «conveniente», ma i rappresentanti di Acciona in cda, compreso il presidente, saranno esclusi dalla votazione. E questo - la valutazione degli impianti Endesa - è il nodo su cui si metteranno al lavoro le diplomazie parallele per trovare un compromesso soddisfacente per tutti. Ma la strada, al momento, appare ancora in salita. * * * Chi è Fulvio Conti Amm. delegato Enel Manager di lungo corso, sessantun anni a ottobre, Fulvio Conti ha messo la parola fine all' avventura telefonica dell' Enel con la vendita di Wind e ha spinto per una forte internazionalizzazione del gruppo. Dopo il tentativo frustrato di conquistare la francese Suez, Conti ha giocato tutto sulla roulette di Spagna. E ha vinto.

E.on, l'outsider di lusso che spiazza i grandi

Per l' Enel si prospetta un autunno difficile, e non solo in Spagna. Sul mercato domestico irrompe E.on, il maggior gruppo privato dell' energia a livello mondiale: 90 mila dipendenti, 30 milioni di clienti e 70 miliardi di fatturato. Il colosso tedesco guidato da Wolf Bernotat non ha conquistato Endesa, ma ha portato a casa un bel po' di polpa, specie in Italia: oltre a due centrali spagnole e agli impianti di Viesgo (ceduti da Enel per motivi di Antitrust), anche il tesoro di Endesa Italia, terzo player della penisola, gestito insieme a Asm Brescia (ora A2A). L' operazione ha portato complessivamente 11,5 miliardi nelle casse di Enel - di cui 8,4 per Endesa Italia - con cui la compagnia italiana ha ridotto l' indebitamento finanziario a 49 miliardi, contro un patrimonio di 24. Ora però si ritrova in casa un temibile avversario, già forte nella distribuzione del metano, che al termine dell' operazione di spacchettamento degli asset Endesa con A2A controllerà un parco centrali da 7.000 megawatt, da aggiungersi ai 600mila clienti gas che già serve in Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna. A fine giugno E.on ha preso possesso dell' 80% di Endesa Italia, rinominata E.on Produzione, che sarà guidata da Klaus Schaefer. Entro il 20 luglio, quando A2A avrà definito con precisione quali centrali scorporare, entrerà in possesso della restante quota. Per lo scorporo si parla della centrale di Tavazzano, più l' idroelettrico calabrese, l' impianto a turbogas di Trapani e l' eolico delle isole: in tutto una potenza di circa 2.400 MW. La centrale a carbone di Fiumesanto, in Sardegna, da sempre al centro della trattativa, potrebbe invece restare a E.on, insieme alle centrali di Ostiglia, Monfalcone, Scandale, al nucleo idroelettrico di Terni e all' eolico della dorsale appenninica. Ma la scelta di A2A non è ancora definita con certezza. Certo è che a E.on resterà un terzo del rigassificatore in costruzione al largo di Livorno. Un asset di non poco conto, visto che già oggi E.on importa 2,5 miliardi di metri cubi di gas e ne dovrà utilizzare altrettanti per far girare le sue nuove centrali. E dal prossimo autunno ci sarà in Italia un nuovo operatore integrato con offerte competitive e innovative. Sarà una bella battaglia.