Etichette: borsa elettrica
31 ottobre 2008
Prove di Borsa elettrica
Ma quale bolla, in Italia manca il gas
Etichette: gas
30 ottobre 2008
Dan Ahrens
Dopo i fondi socialmente responsabili, ecco un fondo davvero irresponsabile. Perché ha deciso di andare controcorrente? "Non abbiamo niente contro la finanza etica, in via di principio. Ma nel momento in cui i mercati andavano male, fra il 2001 e il 2002, ci siamo accorti che i titoli delle aziende attive negli alcolici, nel gioco d'azzardo, nel tabacco e nelgli armamenti, continuavano a mettere a segno performance soddisfacenti, in netta controtendenza. Così abbiamo deciso di approfondire l'argomento e da questo studio è nato il Vice Fund".
Quattro settori soltanto rappresenta un universo piuttosto limitato da cui scegliere. Saranno poche centinaia di titoli… "Non lo considero uno svantaggio. Questo ristretto numero di titoli da cui scegliere ci consente di identificare e investire nelle idee migliori sul lungo periodo. Non siamo interessati a perseguire la crescita fulminea, ma seguiamo un po' la filosofia di Warren Buffett. Siamo molto concentrati nella ricerca di aziende solide che ci sembrano sottovalutate e quando investiamo in un titolo, di solito lo teniamo per molto tempo. Al momento attuale ne abbiamo soltanto 45, distribuiti abbastanza equamente tra i quattro settori, anche se il tabacco pesa un po' meno degli altri tre".
E il sesso? "Investiremmo volentieri anche in questo settore, ma è povero di grandi aziende quotate. Molti ci hanno suggerito di comprare azioni Playboy: è un'dea divertente, ma non è un buon titolo. Quando investiamo, non andiamo mica alla ricerca del vizio in quanto tale. Anche in questo settore si puo restare con il cerino in mano se non si sta attenti. In generale il vizio è un business fiorente, ma non tutto quello che è vizio paga".
Il settore più rappresentato nel vosto fondo è la difesa, che non rientra precisamente nell'area del vizio… "Abbiamo incluso molte aziende della difesa nel nostro portafoglio proprio perché i fondi socialmente responsabili le evitano e noi puntiamo a essere identificati come un'alternativa a questi fondi. Per di più con tutti i conflitti in corso si tratta di un settore molto remunerativo. Fra i primi dieci titoli del Vice Fund ci sono ben quattro aziende di questo comparto: L-3 Communications, Northrop Grumman, United Technologies e United Defense Industries. Il nostro investimento più consistente in assoluto è L-3 Communications, un'azienda molto all'avanguardia sul fronte della guerra tecnologica. La sua specialità sono i sistemi informativi e di riconoscimento, le attrezzature per la sorveglianza e le scatole nere degli aerei, tutti dispositivi che saranno al centro di ogni azione militare nei prossimi anni. Infatti L-3 è un titolo molto dinamico".
Anche Anheuser-Busch, un'azienda molto più tradizionale, è fra i vostri investimenti principali… "E' il secondo, dopo L-3. E' un titolo che ci piace molto: stabile, remunerativo in ogni contesto. Che i mercati vadano bene o male, i tassi d'interesse siano alti o bassi, la gente continua a bere in ogni caso. Fra i nostri primi dieci titoli abbiamo anche Fortune Brands (produttore di Absolut, ma anche di altri liquori molto conosciuti negli Usa) e Constellation Brands, che produce e distribuisce 200 marche di birra. Non sono titoli molto dinamici, ma crescono sempre in maniera costante. Anheuser-Busch è il più grande produttore di birra del mondo, ha il 50% del mercato americano e sta crescendo molto all'estero con una serie di acquisizioni. Gli analisti erano convinti che avesse raggiunto il suo apice già qualche anno fa e quindi il titolo era un po' sottovalutato. Invece ha continuato a guadagnare quote di mercato, con l'aiuto di un ottimo marketing, e sta dando grandi soddisfazioni agli investitori, sia in anni di crisi che di prosperità".
Si continua anche a fumare, malgrado i rischi alla salute sempre più evidenti? "Mentre il mercato del tabacco è in declino negli Usa, nel resto del mondo sta crescendo rapidamente. Le aziende di questo settore sono sempre più ricche e pagano alti dividendi. Fra i primi dieci titoli del nostro portafoglio abbiamo sia Altria (la casa madre di Philip Morris) che British American Tobacco".
Malgrado i problemi legali e le campagne anti-fumo in tutto il mondo occidentale, lo considera un business in crescita sul lungo periodo? "I rischi legali sono già inclusi nel prezzo di questi titoli. Anzi, sono decisamente sottovalutati proprio per paura delle multe, che ormai mi sembrano vicende del passato. Non bisogna dimenticare che i problemi legali e la forte ostilità nei confronti del fumo sono concentrati perloppiù negli Stati Uniti. Il mercato globale, al contrario, cresce e i marchi più noti - come Marlboro o Davidoff - si espandono, spesso rimpiazzando marchi locali all'estero. Quindi non vedo perché considerarlo un business di corto respiro".
Il terzo titolo nel vostro portafoglio, dopo L-3 e Anheuser-Busch, è Harrah's Entertainment, il gigante dei casinò. Anche questo è un settore in crescita? "Fenomenale. Da un lato l'avvento del gioco d'azzardo online, dall'altro le leggi favorevoli ai casinò promulgate negli ultimi anni da vari Stati americani, hanno generato un boom senza precedenti. Harrah's, con 28 casinò in 13 Stati diversi, è un colosso. Ma c'è un'enorme fioritura d'iniziative in questo campo, anche piccole ma molto remunerative: scommesse sui cavalli e sui cani, giochi reali e virtuali. Tutti in grande crescita".
Ma queste attività non hanno più successo in tempi di crisi? "E' un vecchio cliché che non trova riscontri nella realtà: il vizio non è un settore difensivo. E' semplicemente scorrelato con l'andamento dei mercati. I titoli in cui abbiamo investito hanno messo a segno ottime performance nel 2000, 2001 e 2002, in tempi di crisi, ma anche nel 2003, quando i mercati andavano benissimo. Tant'è vero che nel 2003 il nostro fondo ha superato sia l'S&P 500 che il Dow Jones".
Etichette: guru
29 ottobre 2008
Ray Dalio
I rialzi dei tassi stanno mettendo a dura prova il mercato obbligazionario americano e la pressione si estende anche all'Europa. Lei cosa consiglia? "Consiglio di aspettare che il tasso sui Fed Funds arrivi al 4,25%, che sarà il suo picco, e i rendimenti dei Treasury a dieci anni al 5,75%. A quel punto si può essere sicuri che la politica monetaria della Fed avrà già raffreddato abbastanza l'economia per rendere i bond americani di nuovo attraenti. Per quanto mi riguarda, ricomincerò a comprare già quando i Treasury a dieci anni saranno arrivati al 5,25%, se l'economia mostrerà segni di rallentamento, come ad esempio due decimi di punto in più sulla disoccupazione rispetto al tasso più basso raggiunto dopo la recessione, finora il 5,6%. Nel frattempo, consiglio di andarsi a cercare altrove condizioni ambientali migliori".
Difficile, visto che l'economia americana continua a fare da traino per gran parte del mondo… "Anche questo è un mito da sfatare. L'economia mondiale, che nell'ultimo decennio sembrava sempre più sincronizzata su un'unica lunghezza d'onda - quella americana - oggi è di nuovo una cacofonia di mercati che corrono in direzioni divergenti. Merito dei banchieri centrali, che ragionano in maniera indipendente gli uni dagli altri".
Quindi? "Mentre la Fed rialza i tassi per raffreddare un'economia in crescita troppo rapida, il Giappone si è appena avviato verso un periodo di crescita sostenuta. L'Asia sta decelerando dopo una corsa a perdifiato e l'America Latina anche, dopo una modesta espansione. L'Europa invece continuerà a crescere adagio. Ma anche all'interno di queste aree ci sono singole economie nazionali che non vanno al passo con il resto: una delle Borse che ha fatto meglio quest'anno, con un balzo nell'ordine del 20%, è quella ungherese, che sta in Europa, mentre fra le peggiori c'è quella thailandese, che sta in Asia".
Lei come sfrutta questa cacofonia? "Vado in giro per il mondo a cercarmi le obbligazioni prezzate in maniera più attraente, soprattutto fra quelle dove gli emittenti hanno un profilo di rischio in via di miglioramento. Il maggior valore che si può trarre dalle obbligazioni si trova dove il rischio di credito viene prezzato in maniera inefficiente dal mercato".
Quali sono i segnali da guardare? "Bisogna combinare una visione macroeconomica globale con un minuzioso processo di selezione dei singoli titoli. La maggiore o minore volatilità dei mercati e la tenuta dei vari settori sono dati importanti di cui tener conto. Fondamentale è anche costruire un portafoglio che abbia molte parti in movimento, in modo da bilanciare le varie fasi dei cicli economici in giro per il mondo".
In pratica? "I nostri investimenti obbligazionari sono sparsi su 30 Paesi, 40 settori e 10 diverse valute. Questa diversificazione ci tiene al riparo dai problemi delle singole economie nazionali".
Che vantaggi vi ha portato? "Nel 2002, quando il dollaro è caduto, noi avevamo importanti posizioni su valute più piccole come la corona norvegese o il dollaro neozelandese, che sono andate molto bene quell'anno, con guadagni del 30-40%. Il 2002 è stato l'anno di Enron e WorldCom, la gente si è fatta prendere dal panico ed è uscita in massa dai corporate bond. Noi invece abbiamo aumentato la nostra esposizione sia sui titoli più sicuri che su quelli ad alto rendimento. E difatti nel 2003 c'è stato il rally dei corporate bond. Ora però abbiamo ridotto la nostra esposizione sui corporate, soprattutto ad alto rendimento, perché sarà difficile che continuino a correre".
Quali sono i Paesi che privilegiate? "Solo il 30% dei nostri investimenti obbligazionari sono negli Stati Uniti. Il 70% sono bond non denominati in dollari. Un altro terzo è in euro, un po' meno di un decimo in yen, il 7% in sterline e il 6% in dollari canadesi. Il resto sono spiccioli. Per quanto riguarda i Paesi, dopo gli Stati Uniti viene il Canada, poi la Germania, il Regno Unito e l'Olanda".
Etichette: guru
27 ottobre 2008
L'Orso non gioca a risiko
Il tracollo dei mercati rischia di spazzare via il risiko delle utilities. Solo A2A e Asm Brescia hanno fatto in tempo a convolare a nozze prima della bufera, anche se continuano a vivere da separate in casa. Tutte le altre, da Genova a Bologna, da Roma a Trieste, sono rimaste con il cerino in mano. A Genova, il sindaco Marta Vincenzi ha appena messo un punto finale a un processo di aggregazione che andava avanti da mesi con difficoltà: «Il comune di Genova non ritiene che il tentativo di aggregazione tra Iride, Hera ed Enìa debba protrarre tavoli di lavoro che fino a oggi non hanno prodotto alcun risultato». Il problema, oltre che politico/strategico è finanziario. Il valore dei concambi spesso viene considerato ingiusto dall' una o dall' altra parte, come nel caso di Marta Vincenzi, secondo cui la maggiore capitalizzazione di Hera non giustifica un concambio ritenuto troppo sfavorevole. «Il vero tema - sostiene Vincenzi - è quello del concambio, che non è slegato dal tema della governance e del piano industriale», dato che un rapporto di cambio sfavorevole «segna ricadute sui bilanci comunali». Più chiaro di così. In realtà lo stop del Comune non spaventa più di tanto il presidente dell' utility genovese, Roberto Bazzano, che ha continuato a trattare con i presidenti di Hera, Tomaso Tommasi di Vignano, e di Enìa, Andrea Allodi, ma è un fatto che le scadenze elettorali di Bologna e Reggio Emilia impongono tempi molto stretti. A meno che non si voglia procedere ad alleanze parziali, fra Enìa e Hera o fra Enìa e Iride. Il presidente di Enìa, Andrea Allodi, ha sostenuto che tutte le ipotesi «sono aperte». Ma con questo ritmo si rischia di rimandare il tutto alla primavera inoltrata, dopo l' insediamento dei nuovi sindaci. Con la fusione Gdf-Suez, nel frattempo, Acea è uscita dalla scena del risiko delle utilities, ma è attesa la definizione dell' intesa con il nuovo colosso post fusione. L' ipotesi più gettonata è la creazione di una holding controllata dai romani, che a sua volta deterrebbe tre società: produzione e vendita in mano al gruppo franco-belga, reti in mano ad Acea. Sempre che il neo sindaco di Roma Gianni Alemanno non decida di cavalcare l' onda liberista, cedendo una parte del proprio 51% a GdfSuez, che già controlla l' 8,6% dell' utility, anche considerando il debito di 8 miliardi di euro che grava sulle casse del comune. Sull' onda di questa eventualità, Acea è una delle poche azioni a rimanere a galla a Piazza Affari. Sembra accantonato anche il progetto del grande polo del Nord Est, malgrado gli sforzi del presidente di Ascopiave, Gildo Salton. Ma non per questo regna l' immobilismo. Anzi, proprio la necessità di trovare soluzioni alternative sta portando soprattutto le società più piccole (e vulnerabili) ad attivarsi sul fronte partnership e acquisizioni. Agsm Verona vuole trovare un alleato nella vendita di elettricità e gas, al quale cedere una quota di minoranza di Agsm Energia. Così il presidente Gian Paolo Sardos Albertini ha rilanciato l' idea della partnership, citando tra i candidati i nomi di A2A e della tedesca E.on, ma anche quello «della controllata italiana dei francesi di Gaz de France», Italcogim Energie. A Venezia, invece, oltre alle partnership si pensa anche alla Borsa. L' amministratore delegato di Veritas, Andrea Razzini, l' ha proposta ai soci e il consiglio di amministrazione avrebbe già preso contatti con Ubm (gruppo Unicredit) quale possibile candidato al ruolo di global coordinator dell' Ipo. Il progetto è però a uno stadio embrionale e la crisi dei mercati non aiuta. Spostandosi ancora più a Est, la Iris di Gorizia è corteggiata sia da AcegasAps (Trieste-Padova) che da Amga Udine, ma ha deciso di indire un bando internazionale per il settore energia, che può contare su circa 50 mila clienti. Così tra i due litiganti rischia di vincere qualche colosso nazionale o internazionale, con tempi che, a questo punto, verranno dilatati non poco. La tedesca E.on, in primis, già forte nella vendita in Italia e ora rafforzatasi notevolmente nella produzione, grazie all' acquisto degli asset della ex Endesa Italia. Una soluzione che certamente non piacerà ai vertici di AcegasAps e Amga, che avevano già reso pubbliche le loro offerte, da 100 e 92 milioni.
Etichette: utilities
Acea, il triangolo di Alemanno
Un corteggiamento lungo, ma infruttuoso. Hera, Iride, Enìa,ci hanno provato in tutti i modi a realizzare con Acea un maxi polo conepicentro romano, che facesse da contraltare a quello lombardo di A2A. Ma allafine sono rimaste al palo di fronte al peso di un azionista sempre piùingombrante: la franco-belga Suez, in via di fusione con Gaz de France. MaFrancesco Gaetano Caltagirone, uno degli azionisti chiave di Acea, con i suoi2-3 miliardi di liquidità in tasca, non considera ancora chiusa la partita. Afine estate aveva investito una piccola quota di quella liquidità per saliredal 3 al 5% di Acea e diventando così il terzo socio della multiutility,davanti a Schroder (4,9%) ma dietro a Suez (8,6%) e al Comune di Roma (51%).Oggi sembra sempre più interessato a diventare l'ago della bilancia se nonaltro per non sentirsi solo nella scomoda stretta fra socio pubblico (Comunedi Roma) e socio francese. La scelta di sostituire Fabiano Fabiani al verticedella multiutility, in anticipo di un anno sulla scadenza del mandato, conGiancarlo Cremonesi, presidente dell'associazione dei costruttori romani, èun omaggio allo spoil system ma indica anche che qualcosa si sta muovendo. Nonsfugge a nessuno, infatti, che c'è bisogno di un assetto istituzionale solidoper affrontare il discorso dell'azionariato e Alemanno non ha voluto aprire ledanze con un board nominato dall'amministrazione Veltroni. E che quindi nonrispondesse a lui.> Gli addetti ai lavori segnalano con un certo interesse la presenza in Aceadi Italcogim, una società controllata al 60& da Gaz de France e al 40% dallaCamfin di Marco Tronchetti Provera. Italcogim, secondo alcune indiscrezioni,potrebbe essere coinvolta nel riassetto societario della multiutility romana,anche se il sindaco Gianni Alemanno finora ha sempre smentito ufficialmenteogni intenzione di scendere sotto il 51% di Acea. In realtà la società suspinta di Fabiani e dell'amministratore delegato Andrea Mangoni, sta trattandoda mesi con i francesi, con contatti ad altissimo livello fino al nuovo capo,Gérard Mestrallet. Obiettivo: cedere loro una quota consistente di Acea (finoal 20%), facendoli affiancare, magari in un secondo tempo, da un altro socioitaliano.> Alemanno - sostenuto dall'ex assessore al Bilancio della Regione LazioAndrea Augello, oggi senatore di An - deve ancora decidere se fermarsi al 40 oal 30%. Ma l'ipotesi di ridare un po' di ossigeno alle casse comunali,afflitte da un debito di 8 miliardi, non gli dispiace.> La chiave di volta del riassetto sta nella fusione Suez-Gaz de France, cheha portato le due società a mettere a fattor comune i propri asset in Italiae ha costretto Suez a disfarsi della belga Distrigaz per motivi di antitrust.Per aggiudicarsi Distrigaz, l'Eni ha offerto in cambio Romanagas (gruppoItalgas), vale a dire la rete di distribuzione del gas nella capitale. Suezdovrebbe conferire Romanagas (valore preliminare 1,1 miliardi) a una dellequattro società in cui verrà articolata la nuova galassia capitolinadell'energia. Con il riassetto - su cui Acea sta lavorando da mesi insieme aDresdner Kleinwort, Lazard e allo studio Chiomenti - verrà superata l'attualestruttura, che comprende anche la joint venture Acea-Electrabel, controllataal 59/41% da Acea e Suez e azionista al 50% di TirrrenoPower, una delle gencouscite dallo spezzatino dell'Enel.> Alla fine dell'operazione - che potrebbe arrivare a maturazione nei primimesi del 2009 - la galassia romana si articolerebbe in una società diproduzione elettrica con dentro AceaElectrabel, a maggioranza francese, una didistribuzione con all'interno Romanagas, a maggioranza Acea, una per iltrading, che si dovrà occupare degli approvvigionamenti di gas, e una per lavendita di energia e gas. Alle ultime due jv verrebbero conferiti gli asset diItalcogim, attualmente controllata al 60-40 da GdF e Camfin, attraverso laholding Energie Investimenti. La maggioranza di queste due società è ancoraaperta e dipende anche dal valore attribuito a Romanagas in sede di closing,previsto per mercoledì, 29 ottobre. Sulla composizione finaledell'azionariato Acea pesano tutte queste incognite, ma è già chiaro che gliassetti finali, con i francesi decisamente rafforzati, si giocherà su untriangolo che legherà il Comune a Suez-Gdf e a Caltagirone.
Etichette: utilities
Acea, il triangolo di Alemanno
Nuove tecnologie al servizio del pianeta
Etichette: informatica
26 ottobre 2008
Euro Creativity Index: Italia ultima in creatività
Etichette: ricerca
24 ottobre 2008
Piol: "L'informatica italiana rovinata dalla politica"
Etichette: informatica
23 ottobre 2008
L'Orso non gioca a risiko
22 ottobre 2008
Scajola: prima le scorie, poi le centrali
Etichette: nucleare
Counterculture to cyberculture
Etichette: web
21 ottobre 2008
I compensi imbarazzanti dei manager strapagati
Etichette: management
17 ottobre 2008
Blog aziendali, dal marketing al knowledge management
Etichette: management
15 ottobre 2008
La strategia del dynamic pricing
Etichette: management
14 ottobre 2008
Paul Krugman
Tagliare i tassi, quindi. Non le pare un po’ tardi? “In effetti il treno della ripresa è passato da un bel po’, ma l’Europa non ci è ancora montata sopra. La crisi più nera è superata, ma la crescita non ingrana. Perché dunque insistere con una politica monetaria che chiaramente non funziona? Sembra quasi che la crescita economica europea non interessi ai banchieri di Francoforte”.
In effetti il loro compito si limita a garantire la stabilità dei prezzi… “Ma com’è possibile impostare una politica monetaria solo sulla difesa dall’inflazione? Se la minaccia viene da una direzione diversa che cosa si fa, si guarda da un’altra parte?”
C’è sempre la politica fiscale… “Anche su quella la libertà di manovra è molto limitata dal Patto di stabilità, concentrato a regolare il deficit su base annuale, che tutto sommato conta poco. Sarebbe molto più sensato prendere in considerazione il peso complessivo del debito e limitare quello, o tenere sotto controllo il deficit dando un lasso di tempo più lungo di un anno per rientrare. Da quando sono entrate in vigore, le restrizioni imposte alla politica monetaria e alla politica fiscale europea hanno sicuramente aggravato la crisi, anziché alleviarla”.
Quindi via con i tagli alle tasse? “E’ un buon sistema per rimettere in moto la domanda, ma va usato con giudizio, altrimenti si rischia di accumulare troppo debito”.
Preferisce altre misure di stimolo, come l’aumento della spesa pubblica? “Fra le due possibilità nel caso italiano preferirei senz’altro tagliare le tasse, che da voi sono molto alte. I tagli fiscali non possono sostituire del tutto una politica monetaria espansiva, ma sono la misura che più le si avvicina. La spesa pubblica, invece, andrebbe semmai alleggerita ulteriormente, riformando il sistema pensionistico, che è troppo pesante”.
C’è già stato un tentativo in questo senso… “Resta un sistema eccessivo, che incide troppo sul Pil. Non bisogna dimenticare che la popolazione europea – e in particolare quella italiana – sta invecchiando molto più rapidamente della popolazione americana. In queste condizioni un sistema pensionistico come il vostro non è più sostenibile. Non si può caricare sulle spalle dei giovani un peso di queste dimensioni e poi pretendere anche che si mettano a correre per far crescere l’economia”.
Quindi riforme strutturali… “Sì, le riforme strutturali sono il segreto dei pochi Paesi europei, come il Regno Unito o la Spagna, che sono riusciti a mantenere un buon ritmo di espansione anche negli anni più difficili. La Germania invece è ferma, perché non ha messo a segno le riforme più urgenti, come quella del mercato del lavoro”.
E’ un problema anche italiano… “Certo. Se si vuole stimolare la competitività dell’Italia bisognerebbe intervenire anche sul mercato del lavoro”.
In che modo? “Bisogna essere chiari su un punto: la correlazione fra domanda e offerta vale anche per il mercato del lavoro. Se il governo riuscisse a far scendere i costi delle nuove assunzioni, le aziende assumerebbero di più e la disoccupazione scenderebbe”.
Quindi maggiore flessibilità? “Maggiore flessibilità e maggiori incentivi alla mobilità. Assumere e cambiare lavoro deve diventare più facile, più naturale. Anche la contrattazione sui salari dovrebbe essere più flessibile. Queste sono le ragioni per cui negli Stati Uniti si creano più posti di lavoro che in Europa”.
Ma così non si rischia d’importare in Europa anche i problemi di povertà che lei tanto critica nel suo Paese? “La disoccupazione è il male maggiore. Le disuguaglianze sono il male minore. Prima bisogna combattere la disoccupazione, poi le disuguaglianze, applicando misure che non interferiscano troppo con il mercato del lavoro. Quando i sussidi sono talmente alti da disincentivare la gente a trovarsi un lavoro, come in Germania, le ricadute sono devastanti”.
Etichette: guru
13 ottobre 2008
Pubblicità in fuga dal piccolo schermo?
Etichette: management