Pagine

22 ottobre 2008

Counterculture to cyberculture

Le pagine sono ingiallite, piene di indirizzi e numeri di telefono ormai inutili, infarcite di prodotti caduti in disuso, pervase da un afflato ideale dal sapore antico. Ma il "Whole Earth Catalog" - particolarmente nella sua ultima versione del '71 ("The Last Whole Earth Catalog"), che ha venduto un milione di copie e vinto il National Book Award - potrebbe essere la via più diretta per capire il Web 2.0. Che c'entrano le giacche di renna stile cowboy, i libretti d'istruzioni per allevare api o coltivare marijuana, con le ultime sfide tecnologiche del ventunesimo secolo? Che legame può esistere fra Internet, nata dai laboratori del ministero americano della Difesa, e l'idealismo romantico degli anni Sessanta, profondamente contrario alla modernità e alle sue macchine? Il ponte che unisce l'enciclopedia della controcultura hippy e la moderna rivoluzione cibernetica si chiama Stewart Brand. E' su questa figura chiave del pensiero anarchico e comunitario americano che s'incentra il bellissimo "From Counterculture to Cyberculture" (Chicago University Press) di Fred Turner, direttore del dipartimento di Comunicazione alla Stanford University ed ex giornalista del Boston Globe. Brand e compagni, che negli anni Sessanta avevano sintetizzato lo spirito dei tempi con il loro "Whole Earth Catalog", hanno continuato a tessere la loro rete fra le comuni delle colline a Nord di San Francisco e Silicon Valley fino a ripetere il miracolo nei primi anni Ottanta, con la nascita del Whole Earth 'Lectronic Link (Well), mitico precursore di Internet. Il network elettronico consentiva ai suoi membri di discutere attraverso una forma di messaggistica istantanea tutti gli argomenti che stavano loro più a cuore, dagli sviluppi della tecnologia all'ultimo disco dei Grateful Dead. Facciamo un altro salto di vent'anni ed è facile capire che cosa ne è stato di Well: oggi è il Web 2.0. In questo vasto arco di tempo la figura di Stewart Brand emerge puntualmente al centro degli incroci più interessanti fra utopia e bit, fornendo un contributo decisivo alla visione della tecnologia come uno strumento potenzialmente controculturale. Man mano che i computer diventano più piccoli e flessibili, più diffusi e interconnessi, dal network raccolto attorno al Whole Earth Catalog si sviluppa prima il Whole Earth 'Lectronic Link, poi il Global Business Network, paladino della New Economy, infine la rivista "Wired", Bibbia della comunità open source. E Brand è sempre lì a tirare le fila sulle barricate anti-gerarchiche, impegnato a trasferire gli ideali comunitari dall'utopia sessantottarda alla realtà della comunità peer-to-peer. Non è l'unico, naturalmente. Il matematico Norbert Wiener, il designer Buckminster Fuller, il filosofo Marshall McLuhan gettano le basi teoriche del movimento. E attorno a Brand gravitano altre figure importanti, come il primo direttore di "Wired" Kevin Kelly, lo scrittore Howard Rheingold, la giornalista Esther Dyson. Theodore Roszak, guru della controcultura e dell'ambientalismo americano, diventa un acceso sotenitore della causa degli hacker come simboli del dissenso e dell'antiautoritarismo moderno. Timothy Leary, paladino delle droghe psichedeliche negli anni Sessanta, oggi definisce il pc "l'Lsd degli anni Novanta". John Perry Barlow, paroliere dei Grateful Dead, ha chiamato la comunità virtuale "l'ultimo grido delle comuni di frontiera". Lo stesso Steve Jobs ha creato e promosso Apple presso i suoi fan con l'immagine di un'impresa controculturale. E il motto di Google, "Don't be evil", è un chiaro riferimento agli ideali dei figli dei fiori. Ma il ruolo di Brand è senza dubbio il più centrale, sempre in testa rispetto agli altri per l'intero percorso. E oggi il suo messaggio è sulla bocca di tutti, dalle aule del Congresso ai piani alti delle multinazionali, dagli alberghi di Davos ai testi sacri del management. Lo stesso Turner non è l'unico ad aver esplorato le connessioni fra controcultura e cybercultura. Già un decennio fa il sociologo Mark Dery aveva suggerito nel suo libro "Escape Velocity" che la rivoluzione dei pc poteva essere chiamata anche "Counterculture 2.0". Un'altra versione della stessa storia è stata scritta da John Markoff - giornalista del New York Times famoso per una serie di articoli sulla caccia e la cattura del famoso hacker Kevin Mitnik - in "What the Dormouse Said: How the 60th Counterculture Shaped the Personal Computer" (Viking). E perfino in Italia Enrico Beltramini si è cimentato nell'arte dei paralleli con "Hippie.com" (Vita e Pensiero). Ma l'opera di Turner riesce ad esaurire l'argomento per il rigore straordinario delle argomentazioni e la dovizia di riferimenti e di particolari. Resta da chiedersi, al di là delle origini teoriche, quali sono le conseguenze pratiche di quest'associazione per noi oggi. La prima ricaduta pratica è la velocità. Alla luce di queste motivazioni, risulta molto più comprensibile il ritmo frenetico dell'innovazione nel mondo peer-to-peer. E' chiaro che diventa più facile innovare se alla base c'è una passione utopistica, non solo un generico desiderio di successo. Guidati da un ideale collaborativo, diventa più facile mettere in rete gratuitamente il proprio software. E se alla fine qualcun altro riesce ad arrivare più lontano utilizzando le nostre risorse non ci si sente defraudati. Con alle spalle un network di questo tipo, si fa meno fatica anche superare la perdita delle vecchie sicurezze: l'uomo nuovo uscito dal terremoto della New Economy non si aspetta più una vita tranquilla, da dipendente della stessa corporation dalla culla alla tomba, ma una storia professionale frammentata e flessibile, sempre in movimento, dentro e fuori da progetti e team temporanei, in un processo di constante auto-educazione. Cambiando l'ambiente imprenditoriale, cambia di conseguenza anche il ruolo del governo, cui viene affidato sempre più il ruolo di regolatore in questa ondata di liberalizzazioni. Trasformazioni che conosciamo già, ma lette attraverso la storia di Stewart Brand prendono un sapore diverso, un vago aroma di cannabis...

Etichette:


Nessun commento: