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2 ottobre 2008

Dal web 2.0 all'auto 2.0

Dal web 2.0 all’auto 2.0. E’ questo il percorso di Shai Agassi, arrivato ai vertici del gigante tedesco del software gestionale Sap e passato di colpo a un altro mondo, proprio quando stava per sedersi sulla poltrona di amministratore delegato. Sembra un percorso tortuoso, ma Shai invece è convinto di essere capitato nel posto giusto al momento giusto. La gente è stanca del vecchio motore a combustione interna e infatti i tre colossi dell’auto yankee, che non l’avevano capito, stanno morendo. La risposta a questo nuovo bisogno di viaggiare senza inquinare è produrre veicoli che non brucino petrolio: l’auto elettrica. Qualche tentativo c’è già stato, senza grande successo. Da un lato i veicoli prodotti finora sono troppo costosi per diventare auto di massa, dall’altro lato manca l’infrastruttura per ricaricare le batterie. Ma le grandi rivoluzioni non vengono mai dall’interno. La svolta epocale per reinventare l’industria automobilistica dovrà venire dall’esterno: solo una mentalità da informatico potrà riuscire a soddisfare le nuove esigenze di mobilità. Se Shai ha ragione, è in arrivo la “next big thing”.
L'uovo e la gallina
Ora come ora, il problema dell’auto elettrica assomiglia a quello dell'uovo e della gallina. La domanda è: non ci sono auto perchè mancano le stazioni di ricarica, o non ci sono le stazioni perchè mancano le auto? L’hardware esiste già da decenni, non ha bisogno di grandi progressi scientifici per funzionare. Eppure non riesce a prendere piede. Che cos'è che blocca l'auto elettrica? L’alto costo della batteria e l'autonomia limitata. Come risolverli? La risposta dell’auto ibrida, spinta al massimo dell’efficienza da Toyota, non funziona: malgrado gli incentivi statali, resta troppo costosa e ancora dipendente dal petrolio. Per risolvere il problema alla radice, bisogna inventare un nuovo modello di business, che non riproponga le stesse logiche della rete di distribuzione attuale.
Chilometri al posto di minuti
Il modello inventato da Shai si rifà alla telefonia cellulare e si regge su un piano di ricarica: un contratto flat per chilometri illimitati oppure piani tariffari per numero di chilometri. Invece di comprare minuti, si comprano chilometri, sotto forma di elettroni. La rete di ricarica (Electric Recharge Grid Operator) è intelligente, riconosce la macchina in carica, il piano tariffario sottoscritto e così via. E’ diffusa in tutte le aree di parcheggio, pubbliche e private. Ricaricare la macchina però richiede tempo. E se devo uscire per un imprevisto mentre la macchina è sotto carica? Nessun problema: la batteria non è di proprietà dell’utente, ma dell’operatore ed è sostituibile automaticamente con una già carica in apposite stazioni di servizio in pochi secondi. Archiviato il sistema dell’auto di proprietà e il carburante da comprare “on demand”, il trucco è questo: dividere la macchina dalla batteria e trattarle separatamente, visto che in un’auto elettrica la batteria costa molto più di tutto il resto. In questo modo l’auto (carrozzeria + motore) può essere comprata a un prezzo ragionevolissimo e il resto, batteria compresa, rientra in un piano tariffario certamente più economico della spesa che lo stesso automobilista dovrebbe affrontare comprando benzina o gasolio.
Carlos Ghosn è della partita
In pratica, Shai vede emergere dalle macerie dell’industria automobilistica un sistema nuovo, articolato in due categorie: i produttori di auto elettriche e gli operatori di network. Come dire una categoria di Nokia e una categoria di Vodafone. Lui vuole fare il signor Vodafone, mettere su la rete di distribuzione, le “elettrostazioni” di scambio delle batterie e vendere questi servizi a chilometraggio. La sua azienda, Better Place, dovrà assicurare la forza propulsiva necessaria per circolare a tutte le auto elettriche abbonate al servizio. A prezzi modici e senza petrolio. Shai, insomma, è convinto che la storia dell’uovo e della gallina vada risolta mettendo prima la rete e poi le auto. Ma ha già un partner importante, disposto a fornire l’hardware giusto per il suo network: Carlos Ghosn, il leggendario amministratore delegato di Renault e Nissan. A partire dall’anno prossimo, le due compagnie si sono impegnate a sfornare nelle quantità necessarie una serie di modelli simili a quelli più popolari oggi, dalla Mégane in su, dotati di un motore elettrico. E come tutte le startup, che hanno bisogno di una versione beta su cui sperimentare, Shai ha anche trovato un Paese disposto a fare da collaudatore al suo network: Israele.
Il re è nudo
Tutto ciò è stato fatto in meno di un anno. Fino al marzo 2007, Agassi era ancora il responsabile della strategia esecutiva di Sap e il delfino dell’amministratore delegato Henning Kagermann. In maggio, si era dimesso per lanciare il progetto Better Place. In pochi mesi, il progetto ha raccolto 200 milioni di dollari di finanziamento. Nel gennaio successivo, l’annuncio in Israele, con il primo ministro Ehud Olmert e il presidente Shimon Peres. Per consentire un lancio in grande stile dell’auto elettrica - che faciliterebbe l’affrancamento del Paese dalla pesante tassa agli sceicchi - Israele ha introdotto un incentivo fiscale che abbassa le imposte sui veicoli a emissioni zero dall’80 al 10%. Alla conferenza stampa Peres, il primo dei suoi fan, ha paragonato Agassi alla figura del bambino nella favola dei vestiti nuovi dell’imperatore. “Per introdurre questo drammatico cambiamento, abbiamo bisogno di un bambino che ci dica: guardate, l’imperatore è nudo! Noi tutti lo vediamo da soli, eppure nessuno lo dice. Ci vuole un bambino per mettere in moto la ribellione. Il bambino di questa storia, naturalmente, è Shai Agassi”.
Dopo Israele, la Danimarca
Un piano folle? Tutt'altro. Poco dopo aver convinto Israele, Better Place ha attirato l'interesse di una grossa utility danese, alla ricerca di un modo per sfruttare il surplus di energia prodotta dal vento. In quattro e quattr’otto, Agassi ha già stretto con il governo di Copenhagen un accordo analogo a quello firmato in Israele. La rete israeliana sarà operativa già l’anno prossimo e quella danese nel 2011. Poi si sono aggregate le Hawaii, il primo degli Stati americani a rompere il ghiaccio: molto adatte, essendo uno Stato-isola. Nel 2012 dovrebbe essere la volta dell'Australia e ci sono già trattative avanzate con il Giappone, dove la Subaru si è fatta avanti come partner per fornire le auto. L'impresa di Agassi è decollata perché la sua idea ha convinto finanziatori, governi, compagnie automobilistiche, ma anche molti ingegneri e manager, che hanno lasciato posti sicuri per tentare la nuova avventura senza nemmeno conoscere il business plan della società, che si è installata a Palo Alto, a fianco dei giganti della Silicon Valley che la considerano una di loro. Divenuto ormai una celebrità — per gli analisti di Deutsche Bank il suo sistema rivoluzionerà l'industria dell'auto e potrebbe portare addirittura all'estinzione del motore a benzina — Agassi affronta ora la sfida più dura: quella del mercato americano. Le sue missioni a Washington non hanno dato grandi frutti: i politici sono sensibili alle energie alternative che riducono la dipendenza Usa dal petrolio d'importazione, ma temono che la schiavitù della benzina sia sostituita da quella delle batterie, visto che l'America oggi non produce questo tipo di accumulatori. Il buco nell'acqua a livello federale, però, è compensato dall'attenzione dei sindaci, che vogliono sperimentare il nuovo sistema a New York, a San Francisco, a Los Angeles e in alcune città del Michigan.
Sarà davvero energia pulita?
Qualcuno potrà obiettare: mettendo in giro milioni di auto elettriche si smetterà forse di bruciare petrolio in ogni singolo motore a cambustione interna, ma la stessa energia dovrà pur essere prodotta da qualche altra parte e non sarà certo più pulita di prima. Anche su questo, Agassi non ha risposte dirette. Così come non vuole produrre auto, non vuole nemmeno produrre energia. Ma vuole stringere accordi di fornitura “il più possibile” con produttori di energia da fonti rinnovabili, così come si vede nell’esempio danese. In Israele, si è messo d’accordo con un imprenditore che sta costruendo una grande centrale solare termodinamica nel deserto del Negev, offrendo di ritirare tutta l’energia che sarà capace di produrre. Lo stesso sta facendo alle Hawaii. Per un operatore elettrico, ovviamente, è molto conveniente sapere già dove andrà a finire la sua produzione. Elimina un fattore di rischio insito nella costruzione di qualsiasi infrastruttura: l’incertezza dell’utenza. In ogni Paese dove stenderà la sua rete, Better Place tenterà di trovare forniture di energia verde. La presenza di Agassi, quindi, dovrebbe funzionare da catalizzatore per la produzione di energia da fonti rinnovabili.
Sarà la community a fare il grosso del lavoro
E’ chiaro che ogni modello ha tanti punti deboli e anche Better Place mostrerà i suoi non appena verrà applicato nella pratica. Ma resta il fatto che Agassi ha colto un’esigenza ormai molto marcata nella società industriale e sta raccogliendo attorno a sé una community sempre più vasta, animata dalla speranza di emanciparsi da un’abitudine sporca e costosa senza dover per forza tornare indietro al carro a cavalli o alla bicicletta. Uno dei suoi discorsi preferiti, quando parla ai suoi collaboratori, suona così: “Continuiamo a pensare che siamo noi a vendere qualcosa a loro, ma non è vero. Non siamo noi che diamo loro qualcosa, sono loro che la danno a noi. La gente vuole che questo accada, noi ci troviamo solo sul loro percorso, più o meno per caso, e cerchiamo di assecondarli. Non stiamo creando niente di nuovo. Siamo dei facilitatori, non dei creatori. Sarà la community a fare il grosso del lavoro. Saranno loro a spingere sui politici. Saranno loro a vendere le auto. Noi dobbiamo solo accompagnarli e farci da parte al momento giusto”.

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