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14 novembre 2008
I capitali di ventura cercano la Microsoft dell'energia
Le fonti rinnovabili sono più costose delle fonti fossili, nonostante il caro greggio. Da qui la spinta degli Stati a incentivarne lo sviluppo, andando a pescare direttamente nelle tasche dei cittadini, per dare alle aziende un supporto mirato a compensare il rischio di mercato. Nel 2006, la componente della bolletta elettrica destinata alla promozione delle fonti pulite è costata agli italiani 1 miliardo e 270 milioni di euro. Che prospettive ci sono per queste tecnologie di diventare competitive e reggersi sulle proprie gambe? «Non mi sembra corretto fissare il quadro al momento attuale, parlerei piuttosto di competitività dinamica», dice Luigi Paganetto, presidente dell' Enea, l' Ente per le nuove tecnologie, l' energia e l' ambiente, che ha appena firmato un accordo con le autorità cinesi per esportare il know-how italiano sulle fonti rinnovabili, in particolare sullo sviluppo del solare termodinamico, la nuova frontiera del solare introdotta in Italia dal suo predecessore Carlo Rubbia con il progetto Archimede a Priolo. Cosa intende per competitività dinamica? «Il processo aperto in Europa dal pacchetto 20-20-20, che prevede una riduzione del 20% delle emissioni di gas serra rispetto ai livelli del 1990 e un aumento non inferiore al 20% della quota di fonti rinnovabili nel mix energetico europeo entro il 2020, ci pone degli obiettivi che implicano un costo, ma offrono una grande opportunità di sviluppo tecnologico. Il commissario Andris Piebalgs ha parlato di una nuova rivoluzione industriale e credo che abbia ragione». Quindi è prevedibile una maggiore efficienza in tempi relativamente brevi? «Una rapida espansione del mercato come quella a cui stiamo assistendo porta a un' ondata d' innovazione e a un rapido recupero di efficienza. La spinta europea ad arrivare al 20% di fonti rinnovabili da una media attuale del 7% scatenerà una gara tecnologica in cui alcuni Paesi sono già in vantaggio, come la Germania, che ha concentrato da anni un costante flusso di incentivi sul fotovoltaico, oppure la Danimarca sull' eolico. Per capire dove vanno gli investimenti basta seguire i capitalisti di ventura, che sono a caccia della nuova Microsoft del settore. Se gli altri Paesi non vogliono restare indietro devono mettersi a correre». Chi vince? «Vincono le aziende che arrivano per prime alla fine del processo innovativo, portando una certa tecnologia a livelli ottimali di efficienza. Ma per fare questo bisogna sperimentare diverse strade. Prendiamo ad esempio il fotovoltaico, che al momento ha un grado di competitività molto basso. Si può puntare a costruire pannelli sempre più sofisticati, migliorando i risultati per centimetro quadrato ma alzando i costi, oppure si può puntare a un abbattimento dei costi sperimentando materiali diversi dal silicio. Più si allarga la base di sperimentazione e prima si arriva alle soluzioni ottimali, che poi diventano il modello standard». Lo Stato dovrebbe favorire l' allargamento della base di sperimentazione... «Esattamente. Ragionare solo sui costi in questo caso non ha senso, perché in un clima da rivoluzione industriale bisogna cercare di parametrarsi rapidamente sugli altri, altrimenti si resta tagliati fuori. Senza trascurare le proprie specificità, naturalmente. Ad esempio a Roma stiamo lavorando al progetto di rivestire il vecchio gasometro di celle fotovoltaiche, trasformandolo in un oggetto di arredo urbano, nella tradizione del design italiano. L' aspetto estetico è un fronte di ricerca che non andrebbe trascurato...» Resta il fatto che se si vuole spingere le aziende a migliorare l' efficienza di una tecnologia, l' eccessiva incentivazione può avere effetti controproducenti. «Non c' è dubbio. Bisogna trovare un equilibrio fra la necessità di stimolare la ricerca e il pericolo che le aziende si siedano su un incentivo che man mano diventa troppo comodo. Per questo la Germania ha studiato un sistema di riduzione progressiva delle sovvenzioni e anche l' Italia ha seguito il suo esempio».
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