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21 novembre 2008
L'Eni guiderà le major a Kashagan
Ad Astana, sulla riva del Caspio, Vittorio Mincato ha firmato il suo destino. Nei prossimi 15 anni l' Eni investirà 5 miliardi di dollari nello sviluppo di uno dei più grandi giacimenti di petrolio mai scoperti, Kashagan, nell' offshore kazako. Dai primi pozzi sgorgheranno 75mila barili di petrolio al giorno nel 2008, da aumentare gradatamente fino a 1,2 milioni di barili al giorno quando la produzione sarà a pieno regime. Ma il dato centrale, per Mincato, è un altro: «Anche qui siamo riusciti a ottenere la guida operativa, l' operatorship del progetto». Nel settore dell' esplorazione e dello sviluppo di idrocarburi, infatti, è prassi consolidata che la partecipazione a un progetto venga suddivisa fra più compagnie, al fine di ripartire il rischio. A Kashagan sono della partita anche Shell, Total, ExxonMobil, ConocoPhillips e la giapponese Inpex, ma sarà l' Eni a guidare il consorzio, un ruolo considerato un tempo quasi esclusivo dei big del petrolio britannici o americani. Perché essere operatori di un progetto è così importante? «Attraverso l' operatorship una compagnia ha la responsabilità dello sviluppo di un giacimento, perciò decide e sperimenta tecniche e tecnologie di gestione, programma la spesa e controlla direttamente l' evoluzione dei costi, è l' interlocutore diretto delle autorità che sovrintendono l' attività petrolifera. L' operatorship è l' elemento discriminante fra la cultura di una grande compagnia globale e quella di una piccola o media compagnia regionale. Con il lavoro svolto in questi anni, oggi oltre il 60% della produzione internazionale di petrolio e di gas dell' Eni nel mondo è operata direttamente dalla società. L' obiettivo è di superare il 70% nel 2006». Il vostro obiettivo di produzione, alla lunga, è di superare i due milioni di barili al giorno «Il target 2007 è di arrivare a 1,9 milioni di barili. Ma è evidente che continuando a questo ritmo prima o poi toccheremo i due milioni. Negli ultimi 4 anni, del resto, l' Eni è riuscita a fare metà di quanto aveva realizzato in quasi 50, partendo da una produzione di un milione di barili al giorno e superando più volte i target che ci eravamo prefissi. Perciò questa nuova sfida non mi spaventa. Naturalmente lo sforzo aumenta in maniera esponenziale: più si produce e più bisogna ricostituire le riserve. Una cosa è ripianare un "buco" da un milione e mezzo di barili al giorno, altra cosa è ripianare 3 o quattro milioni di barili come fanno le major». E' lo scotto da pagare diventando una società globale «Naturalmente ci sono anche le soddisfazioni. L' anno scorso un investitore americano mi ha chiesto ad esempio se abbiamo intenzione di andare negli Usa. Si tratta di una domanda molto significativa, vuol dire che ormai le resistenze del mercato a considerarci una grande compagnia sono state superate. Entrando in una logica da public company, l' opinione degli investitori per noi conta moltissimo ». Non è una logica che contrasta con l' azionista pubblico che avete ancora? «In realtà si tratta di un azionista con idee chiare e discreto, che ci ha sempre lasciato lavorare. Certo, prima di firmare un grosso contratto una frase al Tesoro va detta, ma non ci sono mai state interferenze nelle scelte aziendali. Del resto è la prima volta che nel Cda non c' è il consigliere di nomina del ministero dell' Economia». E il problema della contendibilità? «Non è il 20 o 30% in mano allo Stato che limita la contendibilità di un' azienda, come si vede in altri casi del settore energetico, ma sono le condizioni politiche generali. Se il capo azienda è imposto dall' alto, per gli altri consiglieri è molto più difficile mettere in discussione le sue decisioni. Ma finora non è stato così: sia io che l' amministratore delegato precedente siamo uomini Eni, arrivati al vertice dall' interno». Lei condivide con la sua squadra una carriera tutta interna al gruppo. Non c' è un problema di isolamento rispetto alle altre compagnie? «Non direi. L' Eni ha sempre avuto ambizioni internazionali. L' apertura al mondo l' abbiamo vissuta qui dentro». E con l' incorporazione in Eni delle principali società operative, che ha verticalizzato molto le funzioni, non si sente un po' un dittatore? «Dopo 47 anni di lavoro all' Eni, più della metà in posizioni di vertice, credo di non essere presuntuoso se penso di guidare l' azienda con autorevolezza più che con autorità. Il nostro è un lavoro di squadra: ogni strategia viene discussa e condivisa con i manager competenti. Certo abbiamo dovuto smontare una serie di autonomie che appesantivano i processi decisionali. Ma è stata una rivoluzione che è andata a tutto vantaggio dell' efficienza della compagnia e di cui oggi raccogliamo i frutti».
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