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7 gennaio 2009

L'Italia appesa a quattro tubi

L'Italia divora gas naturale al ritmo vertiginoso di quasi 300 milioni di metri cubi al giorno, più di tutti gli altri partner europei. Ma per approvvigionarsi si basa solo su quattro tubi: dall'Algeria, dalla Libia, dalla Russia e dell'Olanda. I rigassificatori, unica alternativa ai gasdotti per diversificare i fornitori, da noi non si costruiscono. O meglio, si costruiscono con grandissima fatica. Il rigassificatore al largo di Rovigo (Edison, ExxonMobil, Qatar Petroleum) sarà il primo a tagliare il traguardo dell'operatività dopo il piccolo dinosauro di Panigaglia (Eni), che risale agli anni Sessanta. Ma non ci aiuterà in questa crisi del gas: "Le verifiche sul consolidamento meccanico della struttura sono ancora in corso - spiega un portavoce di Edison - e poi ci vorrà il collaudo". In breve, l'impianto non sarà operativo prima del secondo trimestre dell'anno, quando la crisi tra Russia e Ucraina sarà ampiamente conclusa. Per realizzarlo, ci saranno voluti ben 12 anni: i primi studi sono stati avviati nel '97, la valutazione d'impatto ambientale è stata ripetuta tre volte e nel maggio 2005 finalmente sono partiti i lavori, interrotti da diversi bracci di ferro con le autorità locali fino alla conclusione quest'autunno. Ora siamo al collaudo. Eppure, fanno notare all'Edison, si tratta di una struttura piuttosto banale, che in media ha bisogno di 24-30 mesi per essere realizzata. Un rigassificatore non è una centrale nucleare: se è onshore, si tratta di uno scatolone cilindrico di trenta metri per trenta, con uno scambiatore di calore per restituire il gas liquido alla sua forma gassosa e poi immetterlo in rete. Se è offshore ci vuole anche una piattaforma di cemento armato per sostenerlo (nel caso di Rovigo i serbatori sono due). In altri casi, come quello in via di realizzazione al largo di Livorno, si tratta semplicemente una nave gasiera riadattata. Ancora più semplice. In teoria, se venisse realizzata la quindicina di rigassificatori proposti da diversi operatori, l'Italia potrebbe godere di un import aggiuntivo di circa cento miliardi di metri cubi di gas l'anno, pari a tutti i consumi attuali. E diventare l'hub del gas del Mediterraneo, come vorrebbe l'Authority. Ma le resistenze locali mettono talmente tanti bastoni fra le ruote alle procedure autorizzative, che gli impianti non giungono mai a realizzazione. Basta prendere in considerazione la storia del terminale di Brindisi: un impianto già autorizzato e i cui lavori di costruzione erano già stati avviati, che si è arenato sulle contestazioni dei brindisini e le inchieste della magistratura, finite con il sequestro del sito nel febbraio 2007. British Gas, uno dei primi operatori mondiali nel mercato del gas, ha già speso 200 milioni di euro sui 500 previsti inizialmente: per sbloccarlo era dovuto intervenire anni fa addirittura Tony Blair, ma invano. Gli altri due investimenti proposti in Puglia sono di Sorgenia (Gruppo Cir) a Trinitapoli (Foggia) e della catalana Gas Natural a Taranto. Nessuno di questi trova un forte consenso locale.Alcuni progetti sono molto avanti. È il caso di Gioia Tauro (primo proponente, di nuovo Sorgenia), un impianto colossale da 12 miliardi di metri cubi. Hanno ottime speranze anche l'Enel a Porto Empedocle (Agrigento) e il progetto che E.on ha ereditato dalla madrilena Endesa al largo di Livorno. In altri casi si delineano alleanze possibili per dare più forza all'investimento. Si parla ad esempio di una possibile alleanza con l'Eni sul rigassificatore che Gas Natural vuole costruire a Trieste, per il quale a fine giugno il ministero dell'Ambiente ha dato la Via libera. Tra le proposte più recenti ci sono quelle dell'Api davanti alla sua raffineria di Falconara (Ancona) e l'innovativo progetto Tritone della Gaz de France, per una nave rigassificatrice da ormeggiare a una trentina di chilometri al largo di Recanati. Ma ben pochi della quindicina di progetti riusciranno a vedere la luce.

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