10 aprile 2009
La lunga battaglia dei biocarburanti sostenibili
Bp si allea con Verenium, azienda americana molto innovativa nella sperimentazione dell'etanolo cellulosico, e con D1Oil, specializzata nella coltivazione di jatropha, una pianta oleaginosa tossica, con cui si produce biodiesel senza interferire nella catena alimentare. Shell ha sposato Iogen, che ha già un impianto dimostrativo da 700mila litri di etanolo cellulosico all'anno, non ancora a livello commerciale. Chevron si è alleata con Solazyme, pioniera californiana del biodiesel dalle alghe. E la lista delle compagnie aeree che stanno testando biocarburanti da alghe si allunga tutti i giorni: sia i motori da jet Rolls Royce che GE Aviation li usano. Cosa hanno in comune tutti questi progetti? L'obiettivo è svincolarsi dai biocarburanti di prima generazione, accusati di aver provocato uno sconquasso nei prezzi delle granaglie e di causare danni ambientali e sociali addirittura superiori all'estrazione dei combustibili fossili: vaste aree di foresta tropicale abbattute per far posto alle coltivazioni di canna da zucchero, di palma da olio o di soia, popolazioni intere spossessate dei loro terreni, specie animali e vegetali minacciate di estinzione.
Ma con quali parametri un biocarburante può essere definito sostenibile? La prima società di certificazione indipendente che si è avventurata su questo terreno è la Société Générale de Surveillance, leader mondiale della certificazione con sede a Ginevra, controllata al 15% dall'Ifil. "L'attuazione di un sistema di certificazione obbligatorio sarebbe uno strumento efficace per distinguere i biocarburanti buoni da quelli cattivi - spiegano alla Sgs - ma una certificazione obbligatoria potrebbe essere considerata una barriera commerciale dalla Wto. Al momento attuale, solo una certificazione volontaria può essere presa in considerazione su larga scala". Questo distingue nettamente la certificazione di sostenibilità dei biocarburanti dai vari bollini di qualità obbligatori. Ma non ne riduce il valore. La prima fornitura di biocarburante garantito da Sgs è stata prodotta a fine 2008 da Sekab, un'azienda scandinava che copre il 90% del fabbisogno di etanolo della Svezia, dove un'auto su tre va a biofuel. Sekab ci ha messo un anno e mezzo per ottemperare a tutti i parametri necessari, lavorando con dei coltivatori brasiliani di canna da zucchero decisi a mettersi in regola con i parametri di sostenibilità. Ha scelto con attenzione le piantagioni, ha meccanizzato il raccolto e dichiara, con il sigillo di Sgs, di produrre un carburante che fa risparmiare almeno l'85% di emissioni di gas serra rispetto alla benzina.
Ora diversi Paesi stanno studiando una legislazione per concedere sconti fiscali solo ai biocarburanti considerati sostenibili. L'Unione Europea ha pubblicato in gennaio le linee guida per una direttiva che dovrebbe escludere dagli sconti fiscali tutti i biocarburanti che non consentano di risparmiare almeno il 35% di emissioni di gas serra rispetto ai combustibili fossili, esaminando l'intera filiera produttiva, dal campo alla pompa. E anche gli Stati Uniti sono sulla buona strada. Ma le legislazioni allo studio taglierebbero fuori dal mercato europeo circa metà del biocarburante attualmente utilizzato, prevalentemente quello prodotto con materia prima proveniente dai Paesi in via di sviluppo, tanto che otto Paesi - dal Brasile alla Malaysia - hanno già protestato con Bruxelles. Sarà una lunga battaglia.
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