16 settembre 2009
I leader del futuro? Socialmente responsabili
La notte porta consiglio. La crisi porta nuovi modelli. Dopo lo scoppio della bolla immobiliare, abbiamo scoperto che la crescita infinita dei beni non rappresenta più la soluzione di tutti i problemi. A dire la verità, c'è chi l'aveva capito già da prima: crescita sostenibile è il mantra che Bill Clinton ripete in ogni occasione della sua Clinton Global Initiative. Il Nobel per la Pace Rajendra Pachauri, presidente dell’Intergovernmental Panel on Climate Change, batte da anni sulla necessità di "pensare in verde", come anche i due guru del management Gary Hamel e Jim Collins. E lo ribadiranno nella due giorni milanese del World Business Forum, il 28-29 ottobre. Non è una novità per moltissime aziende, come le 320 selezionate dal Dow Jones Sustainability Index, in cui quest'anno sono entrate anche 11 italiane, dall'Enel a StM, da Telecom a Fiat. Un piccolo segnale di modernità per il nostro Paese, che si deve confrontare con partner internazionali come la Gran Bretagna - con 58 compagnie selezionate - o gli Stati Uniti con 50. Sono queste, secondo i profeti della sostenibilità, le forze su cui dovremo basarci per lo sviluppo futuro.
"Una rivoluzione necessaria", come annuncia il titolo dell'ultimo libro di Peter Senge, il guru della "quinta disciplina" che ha elencato con precisione i casi più eclatanti di leadership nella crescita sostenibile. Senge, dal suo ufficio del Mit, cita come esempio più significativo il caso di un prodotto di estremo successo, che ha cambiato l'approccio di un intero settore: la Toyota Prius. "Quando è uscita la Prius, ero consulente di diverse aziende di Detroit e tutti i top manager che ho interpellato mi diedero la stessa interpretazione: 'E' un prodotto di nicchia'. Basavano questa idea sui gruppi di ascolto dei consumatori, a cui veniva chiesto quanto fossero disposti a pagare per un aumento di efficienza nei consumi di carburante. Erano sempre cifre minuscole. Ma le richieste latenti dei consumatori non verranno mai espresse in questi gruppi di ascolto". E quindi? "Le aziende non possono limitarsi a farsi trainare dai gusti dei consumatori, devono anche avere una funzione educativa. E' ampiamente dimostrato che i prodotti ecologicamente virtuosi diventano in breve prodotti trainanti, anche se nessuno li aveva chiesti prima. Così è successo con la Prius. Toyota non l'ha prodotta per andar dietro ai gruppi di ascolto, ma perché era convinta che le auto andassero ripensate. E ha fatto centro".
L'esempio di Senge può essere esteso a molti altri settori: dai prodotti di largo consumo all'alimentare, dalle costruzioni all'abbigliamento. Questa crisi, nonostante la sua gravità, può allora essere un'opportunità per aprire davvero un dibattito sulla sostenibilità del modello di sviluppo a cui abbiamo dato vita, creando le condizioni culturali perché altre economie possano svilupparsi e per far nascere nuovi stili di gestione delle aziende. "Il credo di base dell'era industriale - fa notare Senge - consiste nel considerare il Pil la misura del progresso: che tu sia il presidente della Cina o degli Stati Uniti, se il tuo Paese non cresce sei nei guai. Ma tutti noi sappiamo che oltre un certo livello di benessere, ulteriori acquisizioni materiali non rendono la vita migliore, anzi. Così ci troviamo a praticare un modello economico di crescita ininterrotta, anche se a livello personale nessuno crede nella sua validità".
E' per questo che oggi - ci dicono Rajendra Pachauri e il suo co-premiato a Stoccolma, Al Gore - serve una svolta decisa, nella costruzione di imprese, mercati e aziende decisamente orientati alla sostenibilità. E' proprio la costruzione di un futuro sostenibile, di un'economia verde, di un'impresa responsabile e una cittadinanza consapevole a fornire il quadro in cui queste aspettative si producono e si rafforzano, attraverso la costruzione del bene comune e di un'economia civile. "Una partnership più costruttiva fra il mondo degli affari e i governi è molto più efficace della predominanza dell'uno sugli altri", sostiene Clinton, che in quanto 42° presidente degli Stati Uniti, di governo se ne intende.
Ma se si vuole evitare che l’adozione di obiettivi ambientali e sociali sempre più precisi e stringenti venga letta come una graduale perdita di libertà nella sfera personale, bisogna introdurre nell'opinione pubblica un radicale ribaltamento di prospettiva. Questa sarà la sfida più difficile da affrontare nei prossimi anni, per i governi e per le aziende: il problema del riscaldamento del clima, la crescita della popolazione globale e l'accesso al benessere di aree del mondo oggi depresse porranno dei fortissimi limiti alla libertà individuale di inquinare e di sprecare le risorse che abbiamo. "Lo spreco - riassume Clinton - verrà punito". I leader del futuro, quindi, dovranno impegnarsi nel comunicare l’idea che solo il rispetto degli spazi ambientali e sociali comuni può garantire ed espandere la libertà delle persone, mettendo in correlazione libertà e responsabilità, obiettivi locali e obiettivi globali, profitti aziendali e tutela del pianeta.
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