29 novembre 2009
Un nuovo filone: piccoli film ambientalisti crescono
All'inizio era solo catastrofismo. Roland Emmerich inaugurò il filone nel 2004, con "L'alba del giorno dopo", un kolossal dove il presidente americano in persona, sconvolto dell'onda anomala che sommerge New York, promette al mondo che mai più l'uomo cercherà di sovrastare la natura. Con un incasso globale di 543 miliardi di dollari, Emmerich mise a segno un successo leggendario: ora vuole fare il bis con "2012" (www.whowillsurvive2012.com), appena uscito. "The Age of Stupid" (www.ageofstupid.net), il film di Franny Armstrong che racconta la storia dell'ultimo sopravvissuto sulla Terra devastata dall'effetto serra, è l'esempio più recente della serie: proiettato il 21 settembre a New York con Kofi Annan come ospite d'onore, vuole farci riflettere sulla necessità di fermare le emissioni di anidride carbonica finché siamo in tempo.
Ma ormai l'eco-cinema - merce rarissima in Italia, nonostante la moda della sostenibilità - va al di là del comodo catastrofismo e spazia su molti generi diversi, dimostrando la crescente ampiezza della riflessione sul difficile rapporto dell'uomo con la natura. E' diventato un'industria a sé, su cui campano diverse case di produzione e fioriscono interi festival, da CinemAmbiente appena concluso a Torino, al Festival du Film d'Environnement di Parigi, passando per il neonato Going Green Film Fest di Beverly Hills.
Il filone più ricco è quello dei documentari sull'impronta ecologica dell'uomo moderno: "Una scomoda verità", di Al Gore, è il più famoso. “No Impact Man”, uscito pochi giorni fa negli Stati Uniti, introduce un taglio nuovo, che rispecchia la recente evoluzione nel messaggio dell'ambientalismo: non spaventiamo più la gente con le catastrofi, offriamo invece modelli positivi da imitare, nuovi modi, diversi dal consumismo, di arrivare alla felicità. Il film è il resoconto di un esperimento: Colin Beavan, autore newyorkese di saggi storici e blogger sempre in cima alle classifiche (http://noimpactman.typepad.com), racconta il suo viaggio nella sostenibilità, vissuto senza spostarsi da Manhattan, ma tentando di ridurre al minimo l'impatto ambientale della sua famiglia con una vasta serie di rinunce, dagli ascensori alla carta igienica.
Tra le pellicole più militanti, però, si fa strada un nuovo bersaglio, che rispecchia la forte preoccupazione di tutto il mondo anglosassone, a partire da Michelle Obama: l'industria agroalimentare, con i suoi effetti devastanti sull'ambiente e sulla qualità del cibo. Dopo i classici “Super Size Me” - che ha documentato i danni alla salute sofferti dall'autore Morgan Spurlock dopo un mese di pasti sistematici da McDonald's - e “Fast Food Nation”, che ci ha portato a visitare i mattatoi dove quegli hamburger hanno origine in condizioni terrificanti, il titolo che sta facendo più discutere ora è “Food Inc” (www.foodincmovie.com). Prodotto da Participant Media, come “Una scomoda verità” di Al Gore, il documentario ha due narratori d'eccezione: Michael Pollan e Eric Schlosser, autori di best seller e guru di punta del movimento che considera l'industria agroalimentare altrettanto dannosa dell'industria del tabacco.
Il film, uscito quest'estate negli Stati Uniti e due settimane fa a Londra, ha scatenato la violenta reazione delle grandi corporation di settore. Ma ha dalla sua schiere di fattorie biologiche e di mercati rionali, oltre a milioni di cittadini convinti che mangiare sano sia anche un modo per salvaguardare il pianeta: l'industria agroalimentare, infatti, è la prima fonte di emissioni di gas serra, nonché la principale causa d'inquinamento del suolo e delle acque. Il film, diviso in tre parti, colpisce e affonda la produzione industriale di carne, economicamente e ambientalmente insostenibile. Poi dimostra come la massimizzazione dell'efficienza nelle coltivazioni di grano e soja porti alla produzione di alimenti dannosi alla salute, che provocano obesità, malattie cardiovascolari e certi tipi di cancro. Infine punta il dito contro i miliardi di sussidi elargiti dal governo agli agricoltori, che contribuiscono all'altissima intensità di carbonio del sistema, sempre più dipendente dal petrolio, sia per i crescenti consumi di energia che per la produzione di concimi chimici e di pesticidi.
Se “Food Inc” fa un ottimo lavoro per spiegare cos'è che non va nell'attuale sistema di produzione agroalimentare, “Fresh”, di Ana Sofia Joanes (www.freshthemovie.com), ha scelto invece di pensare positivo, focalizzandosi sulla gente che fa la cosa giusta: agricoltori biologici e animatori di cooperative che offrono una visione positiva del cibo e un modello da seguire. “Homegrown” (www.homegrown-film.com), di Robert McFalls, è sulla stessa lunghezza d'onda: ci presenta una famiglia di Pasadena, in California, che è riuscita a far crescere un meraviglioso orto in un contesto urbano, alimentandosi con i suoi prodotti e vendendo la produzione eccedente. Un esempio che riesce a mettere di buon umore perfino nell'imminenza della fine del mondo.
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