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15 dicembre 2009

Copenhagen, una città che va a vento

Uscendo in barca dal canale del vecchio porto di Copenhagen, il panorama che si offre al visitatore non poterbbe essere più rappresentativo della rivoluzione industriale messa a segno da questa città negli ultimi vent'anni. Sulla sinistra un'infilata di pale eoliche macinano allegramente kilowattora nel vento forte e nelle acque basse del Baltico. Da qui arriva l'energia che fa girare Copenhagen: nei giorni di festa, quando i negozi sono chiusi, il suo milione e mezzo di abitanti va a vento. Sulla destra, l'impianto di smaltimento e termovalorizzazione dei rifiuti che fornisce energia e calore a 150mila famiglie, bruciando le immondizie di mezzo milione di cittadini. Questo è il cuore del sistema di smaltimento della città, dove arriva ogni giorno da otto stazioni di riciclaggio quel 26% di rifiuti che non può essere riutilizzato, per alimentare la centrale di Amagerforbraending. L'impianto, praticamente nel centro di Copenhagen, sulla riva dello stretto di Oeresund, di fronte al teatro dell'Opera, smaltisce 500mila tonnellate di materiale all'anno, il 10% di tutti i rifiuti della Danimarca e riscalda così buona parte della città. "Mostrare ai cittadini, senza ipocrisie, dove vanno a finire le loro immondizie è un monito sempre utile, per aiutarli a sprecare di meno e a procedere in maniera responsabile con i materiali che gettano via", spiega la direttrice Ulla Roettger, che ospita spesso scolaresce e comitive in visita. L'impianto, del resto, non inquina più di una qualsiasi centrale termoelettrica a combustione, come sanno bene gli abitanti di molte altre città vicine e lontane, da Vienna a Tokio, che ne ospitano uno tra le vie del centro. Copenhagen, Porto dei Mercanti nell'antico dialetto basso tedesco che poi si è trasformato in danese, è oggi la città più verde d'Europa, secondo l'European Green City Index stilato da Siemens sulla base delle performance e delle politiche ambientali delle trenta più importanti città europee. Questo riconoscimento non stupisce per nulla i suoi abitanti, che ci lavorano da vent'anni. Quando la Danimarca ha deciso di emanciparsi dall'oro nero degli sceicchi, dopo la batosta della crisi petrolifera dei primi anni Ottanta, tra le scelte più importanti c'è stata quella di sfruttare una risorsa che in mezzo al mare non potrebbe essere più abbondante: il vento. Da allora a oggi, il piccolo Paese baltico è diventato leader mondiale dell'eolico: "La metà delle pale piantate per terra e per mare in giro per il mondo è fatto da noi", spiega con fierezza Connie Hedegaard, ministra danese e neo-commissaria europea al Clima. La compagnia danese Vestas, infatti, è leader mondiale nella produzione di turbine eoliche e uno dei pilastri della green economy danese. La capitale ha condiviso con entusiasmo questa scelta, diventando la vetrina di un Paese che sta uscendo dall'economia del carbonio. "Il nostro obiettivo è diventare la prima città carbon neutral del mondo, entro il 2025", precisa Klaus Bondam, assessore all'Ambiente di Copenhagen. Sia Bondam, un ex attore di 46 anni, che Hedegaard, 49 anni, ex giornalista, non sono due politici verdi: lei fa parte del partito conservatore oggi al governo, lui è un liberale che fa politica con i radicali a livello cittadino. Bondam non limita le parole quando parla della sua città: "Qui a Copenhagen siamo alla ricerca di soluzioni per salvare il mondo. Vogliamo diventare un modello per motivare le altre città a muoversi nella stessa direzione". Bondam, opportunamente, non parla di una città carbon free, ma carbon neutral. Non è un venditore di patacche. Sa benissimo che una città di queste dimensioni avrà sempre bisogno, seppure in piccola parte, di bruciare qualche combustibile con relative emissioni di carbonio, se vuole mantenere il suo stile di vita attuale. Ma vuole fare di tutto per comprimere al massimo queste emissioni inevitabili. E poi vuole compensarle piantando alberi.Il piano è chiaro e segue un percorso già segnato dai suoi predecessori: "Vent'anni fa Copenhagen era una città molto povera, piena di vecchi e di studenti. La gente se ne andava. Ma la mia generazione ha deciso di restare dopo aver finito gli studi". Sono i mitici anni di Christiania, la città libera inventata dagli squatters fra i magazzini anseatici del vecchio porto e le costruzioni militari abbandonate a ridosso degli antichi bastioni difensivi. "Pensavamo che Copenhagen avesse delle caratteristiche uniche e volevamo inventarci una città nuova a partire da queste", racconta Bondam. Al centro di questo percorso, ci sono i cittadini e la loro qualità della vita. Da allora ad oggi il vecchio porto, ormai obsoleto, è stato spostato da un'altra parte e l'area riqualificata: il tratto di mare fra le due isole maggiori di Copenhagen è di nuovo balneabile e la costa è diventata un polo d'attrazione outdoors, con giardini e due spiagge libere. Una terza spiaggia è in via di apertura. "Oggi il nostro primo obiettivo è dare al 90 per cento dei cittadini una zona verde o una spiaggia nel raggio di 15 minuti a piedi", ragiona Bondam, che cita come suo ispiratore principale l'urbanista Jan Gehl, teorico degli spazi pubblici, che ha contribuito a liberare dalle macchine e pedonalizzare parte del centro di Londra, New York e Sydney. La nuova infrastruttura verde comprende 14 piccoli parchi e la piantumazione di 14mila alberi, che faranno parte di una rete verde in divenire. Per diluire la presenza delle auto, sarà ampliata a 110 chilometri la rete di piste ciclabili, già estesa e trafficatissima, molto usata dagli stessi ministri del governo danese. Il terzo elemento è l'alimentazione: metà del cibo consumato nelle strutture pubbliche cittadine è biologico e si vuole arrivare al 90%. "Non vogliamo solo rendere Copenhagen carbon neutral al 2025 - fa notare Bondam - ma anche il miglior ambiente urbano del mondo entro il 2015". E sono già a buon punto.

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