La consapevolezza passa per la trasparenza. «Ma se i dati sul sistema
idrico non ci sono, come fanno a essere trasparenti?». Questo, secondo
Roberto Passino, presidente del Commissione nazionale di vigilanza sulle risorse idriche, è il problema fondamentale. Passino,
che è anche direttore dell' Istituto di ricerca sulle acque al Cnr, ne
sa qualcosa: «L' ultimo quadro aggiornato del fabbisogno lo abbiamo
fatto noi dell' istituto nel ' 99 - dice -. Una ricerca molto
approfondita, ma anche quella basata su stime, mai su dati a
consuntivo, perché gran parte dei consumi non si pagano o vengono
pagati a forfait. Dopo di che, il nulla. Come si può pensare di
governare un sistema su queste premesse?». Appunto. «Non si può. Del resto, manca un' Authority unitaria, come quella per
l' energia. Il sistema idrico è frammentato e difficile da controllare.
La struttura dell' approvvigionamento potabile, che pure soffre di
innumerevoli allacciamenti abusivi e falle di ogni tipo, è l' unica di
cui si può tracciare un perimetro relativamente preciso, se non altro
perché gestita da aziende che hanno interesse a farsi pagare. Ma
interessa meno del 20% del sistema». E il resto? «Il grosso del nostro
patrimonio idrico è dato in concessione ai consorzi di bonifica, per
soddisfare le esigenze irrigue degli agricoltori. Ma il sistema
normativo che ha istituito i consorzi risale agli anni Trenta, quando
si voleva incentivare l' uso dell' acqua per modernizzare un'
agricoltura ancora arretrata, basandosi su una risorsa abbondante, anzi
eccessiva. Erano gli anni in cui le pompe idrovore bonificavano le
paludi della Pianura Padana aspirando l' acqua dalla terra e
scaricandola nel Po. Oggi succede l' esatto contrario, con le chiatte
che aspirano l' acqua del Po e la indirizzano verso i terreni
agricoli». Senza monitoraggio? «Nella maggior parte dei casi, le
tariffe non sono a consumo e quindi non c' è ragione di misurare
precisamente i prelievi. I dati sul fabbisogno degli agricoltori sono
stimati su parametri soggettivi e probabilmente riduttivi rispetto alla
realtà. E se gli acquedotti italiani perdono il 40% dell' acqua
prelevata alla fonte, non è nemmeno immaginabile la quantità di perdite
delle reti irrigue. Per non parlare dei prelievi abusivi, che nel
settore agricolo sono all' ordine del giorno, come anche negli usi
industriali». I pozzi non vanno autorizzati? «Certamente. Ma da quando
la legge Galli ha imposto il censimento dei punti di prelievo
sotterraneo, nel ' 94, tutti si sono affrettati a costruirne di
abusivi. Da allora ad oggi la scadenza delle notifiche è stata
prorogata per otto volte in sordina, inserendo la norma in
provvedimenti omnibus per mimetizzarla. Come con i condoni edilizi,
questo modo di procedere incentiva gli abusi». E dunque? «Dunque non si
conoscono i punti di prelievo sotterraneo e questo è uno dei motivi
della crisi strutturale del sistema. I dati di utilizzo devono essere
riordinati e monitorati. In questo modo si incentiverebbe anche l' uso
di tecniche d' irrigazione più efficienti. Non dimentichiamo che la
madre delle grandi imprese specializzate nelle tecnologie dell' acqua è
la normativa restrittiva imposta nei loro Paesi d' origine. La
necessità di diventare efficienti aguzza l' ingegno». Ma i titolari
delle concessioni dovranno pur pagare un canone. «È un canone
ridicolmente basso, che non supera l' 1% del prezzo finale agli utenti.
Per di più, molti consorzi di bonifica fanno anche commercio dell' acqua
che hanno in concessione, vendendo l' utilizzo di acqua agricola per
altri scopi: ad esempio la produzione elettrica, con ottimi profitti».
Basterebbe aumentare il canone... «Non è così semplice. Occorre
soprattutto rivedere i concetti che stanno alla base delle concessioni,
rispettando le compatibilità economiche dei concessionari. Non bisogna
dimenticare che anche queste concessioni, come tutte le altre in vigore
in Italia, devono essere governate dai concedenti, non dai
concessionari. Questo è un concetto che negli anni si è un pò perso di
vista». Santuari difficili da smantellare? «I santuari vanno toccati e
nella revisione del decreto ambiente, ora allo studio del ministro, ci
sono diverse proposte radicali sulla gestione dell' acqua. Il sistema
idrico italiano ha già dato troppo da mangiare oltre che da bere. Ora è
arrivato il momento di cambiare questa cultura dei grandi finanziamenti
e dei grandi sprechi per dedicarsi un po' all' efficientamento delle
strutture che ci sono già. L' acqua in Italia c' è, basta smettere di
rubarla e di buttarla via».
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