Li chiamano wildcatters. Spuntano come funghi dopo la pioggia
quando il prezzo del petrolio sale e la ricerca di nuovi giacimenti diventa
remunerativa anche per i piccoli esploratori, che non possono usufruire di
economie di scala, ma hanno la flessibilità del mordi e fuggi. Di solito è
gente del mestiere, che ha fatto esperienza nelle grandi compagnie petrolifere
e ora cerca la fortuna in proprio, come ai tempi della corsa all'oro. In
Europa, il loro Eldorado è l'Italia, molto meglio del Mare del Nord, dove la
trivellazione in acque profonde ha costi proibitivi. Sono prevalentemente
australiani, britannici, canadesi o texani, ma sempre coadiuvati da una quinta
colonna locale. Le loro società si chiamano Northern Petroleum o Petroceltic,
Mediterranean Gas o Po Valley, a seconda delle zone in
cui operano. In Italia ce n'è una cinquantina, che trivellano allegramente
sotto i nostri piedi senza che nessuno se ne accorga. Nel 2006 sono stati
perforati ben 49 pozzi, di cui 34 per raggiungere giacimenti già scoperti e 15
per cercare nuove riserve. Nel 2007 37, di cui 10 in località non ancora
sfruttate, su un centinaio di concessioni di ricerca. Nel 2008 altri 40. E
malgrado la marea nera sulle coste della Louisiana, le trivellazioni
continuano.
Basta scorrere l'elenco dei titolari di concessione nel
bollettino ufficiale della Direzione Generale Energia e Risorse Minerarie del
ministero dello Sviluppo Economico, per scoprire anche qualche wildcatter
locale. Tra le 52 ditte esploratrici, accanto a Eni, Edison, alle municipalizzate
e a multinazionali come Shell, Total, Esso e Bp, figura il geometra Paolo
Bonucci, che scava su un terreno di 3 chilometri quadrati a Lizzano in
provincia di Bologna, o il signor Maurizio Turchi, che oltre a gestire la sua
lavanderia industriale perfora un'area di 670 metri quadri a Trignano nel
Modenese. Sono loro i Glenn McCarthy della nuova corsa all'oro all'italiana,
anche se assomigliano poco al leggendario texano che tra il '30 e il '40 ci ha
preso ben 38 volte, costruendo un impero sul petrolio per poi sperperarlo al
gioco. Il mitico capostipite dei wildcatters fu interpretato da James
Dean nel film “Giant”, con Elizabeth Taylor e Rock Hudson, uscito nel '56
quando ormai il povero Jimmy si era già schiantato con la sua Spider.
Più somiglianti al capostipite della categoria sono i suoi conterranei
di Panther Gas, che hanno tentato per anni di sfruttare un giacimento di metano
in una delle zone più trivellate d'Italia, fra Noto e Ragusa, dove l'Eni estrae
petrolio. Jim Smitherman, rampollo di una dinastia di petrolieri texani, aveva
ottenuto nel marzo 2004 una concessione dalla Regione Sicilia per esplorare
un'area di 700 chilometri quadrati, contigua ai campi dell'Eni fra Modica e
Ragusa. Ma l'esploratore yankee ha estratto solo guai dal territorio siciliano,
cui era stato introdotto da Guglielmo Moscato, ex presidente dell'Eni e ora
consulente indipendente con la sua GM&P, una società di studi d'ingegneria
attiva anche in Kazakhstan. La sua vasta e
articolata esperienza non è stata sufficiente ad appianare le resistenze
incontrate dalle attività di esplorazione in prossimità dei tesori del barocco
siciliano, difesi da Andrea Camilleri con un appello che ha raccolto 70mila
firme. Il caso del Val di Noto non è un'eccezione assoluta. C'è il blocco allo
sfruttamento dei giacimenti di metano in Alto Adriatico. E ci sono altre
opposizioni sparse lungo la penisola, spesso dovute alla cronica incapacità di
comunicazione fra le aziende e gli enti locali. Ma tra un blocco e l'altro il
clima da corsa all'oro resta vivo: non stupisce, con i prezzi che corrono...
Pozzi se ne trovano nelle zone più impensate. Basta un po' d'occhio e si
scoprono facilmente: dal terreno esce un tubo d'acciaio alto un metro e mezzo
con un paio di grosse valvole, di solito recintato in qualche modo per
difenderlo dalle macchine agricole o dai vandalismi. Come nel caso del
giacimento di Villafortuna, sotto il Parco del Ticino, che è stato raggiunto
perforando orizzontalmente per sbucare lontano dalle zone protette. Ma non ne
mancano neanche nel pieno degli insediamenti urbani: nel quartiere milanese di
Lambrate ci sono quattro pozzi di metano trivellati dall'Agip, che arrivano
fino a 1.700 metri di profondità. Due sono considerati ancora validi e
attingono a un giacimento di gas che si estende sotto i piedi dei milanesi, fra
il quartiere dell'Ortica, lo stabilimento dell'Innocenti e la tangenziale. A
Roma, a due passi dal Vaticano, ci sono due pozzi di petrolio che si spingono
fino a 3mila metri. E di lato al Viale Cristoforo Colombo, non lontano dal
raccordo anulare, è stato avviato un pozzo esplorativo dall'Italmin. I
britannici di Ascent Resources stanno trivellando alla ricerca di gas accanto
all'aeroporto di Fiumicino: il loro obiettivo sono gli strati sabbiosi del
Pliocene a circa mille metri di profondità. In complesso, il territorio
italiano è sbucherellato da quasi settemila pozzi alla ricerca di metano e di
greggio. Al momento attuale ce n'è una sessantina in attività, per un'area
complessiva di quasi ventimila chilometri quadrati.
Sotto all'Italia ci
sono riserve sicure e documentate ancora da estrarre di 800 milioni di barili
di greggio e 150 di metano. Altre, tutte da scoprire, tra i 400 e gli 800
milioni di barili di petrolio e da 120 a 200 miliardi di metri cubi di gas,
dicono i geologi. Non sono giacimenti da nababbi del Golfo Persico, ma
sufficienti a mettere il Belpaese tra i produttori più rilevanti.
Le riserve scoperte finora dormono nel sottosuolo di una specie di
mezzaluna che percorre l'area padana, la
costa adriatica per poi tagliare la Puglia e l'Appennino Lucano (dov'è nascosto
l'Eldorado italiano, la Val d'Agri e Tempa Rossa) fino alla Sicilia. Il grosso
dei giacimenti sta in Basilicata, dove si estraggono quasi 80mila barili al
giorno sugli oltre centomila della produzione italiana complessiva. In base agli accordi con la Regione, entro il 2012 dai
campi di Pisticci e Viggiano si estrarranno 150.000 barili al giorno. Di
questi, 20.000 barili proverranno dallo sviluppo delle attività di Agip nei
campi già attivi in Val d’Agri e circa 50.000 dal secondo centro oil, quello di
Tempa Rossa, operato da Total (50%), Esso e Shell (25% ciascuna).
Ma dall'Italia Saudita stanno
emergendo nuove zone interessanti: le più appetitose per le future scoperte di
giacimenti sono al largo della costa ionica della Calabria, la Sicilia
occidentale, il braccio di mare tra la Sicilia e Malta. La maggior parte delle
perforazioni esplorative attualmente si concentra in Emilia Romagna,
Basilicata, Abruzzo, Lombardia e Piemonte. In mare, si cerca soprattutto in
Adriatico, Ionio e nel Canale di Sicilia.
L'anno scorso, stando ai dati del ministero, la produzione domestica di petrolio si è attestata a 42,6 milioni di barili. La Basilicata continua a farla da padrone, arrivando a coprire il 74% della produzione petrolifera nazionale con i suoi 3,2 milioni di barili. A seguire, i campi offshore (con un peso del 13%), la Sicilia (9%) e il Piemonte (2%). Considerando un prezzo medio annuo di 51 euro a barile per il greggio italiano, il valore complessivo del bottino supera i 2,17 miliardi. Quanto al gas naturale, la produzione italiana è stata di 9,6 miliardi di metri cubi. Considerando un prezzo medio di 24,5 eurocent al metro cubo, il valore complessivo arriva a 2,33 miliardi di euro. Il bilancio dell'anno in corso sarà ovviamente molto più interessante, visto l'aumento delle quotazioni del greggio.
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