Tirrenia come Alitalia. Il tribunale fallimentare di Roma ha dichiarato oggi lo stato d'insolvenza per l'ex monopolista dei traghetti italiani. Si apre quindi la strada dell'amministrazione straordinaria nel solco della legge Marzano. Di fatto è un crac. Anche in Tirrenia, come in Alitalia, i sindacati erano riusciti a strappare negli anni contratti superiori di circa il 25% rispetto alle altre compagnie nate sul libero mercato. Addirittura fino a qualche anno fa ogni nave aveva due equipaggi visto che ogni giorno di lavoro dava il diritto a un giorno di riposo. La crisi, come in Alitalia, era emersa già negli anni Novanta. E nel frattempo il costo per i contribuenti è stato di circa 2 miliardi. Anche il modello della bad company a questo punto potrebbe essere duplicato visto che la situazione è molto simile a quella della compagnia aerea: flotta in gran parte vetusta e antieconomica e contratti e numero dei dipendenti non più compatibili con la realtà di un ex monopolista che se la deve vedere con il mercato. Dopo 26 anni di regno del boiardo di Stato Franco Pecorini, ora sarà compito del commissario straordinario Giancarlo D' Andrea massimizzare gli asset per ripianare i debiti. Ex Iri, ex Alitalia, D'Andrea è uomo di fiducia dell'azionista unico Fintecna. E si capisce perché: dei 580 milioni di euro di debiti del gruppo dei traghetti circa 100 sono proprio nei confronti di Fintecna. Il resto è nei confronti delle banche. Tra le più esposte Mps, Bnl, Intesa attraverso il Banco di Napoli, Unicredit e il Credit Agricole. Insomma, per le banche ora la situazione non è certo delle migliori e si tratterà di capire se si potrà trovare un qualche tipo di accordo. Il nodo restano gli asset vendibili: la flotta è a bilancio per 800 milioni circa ma secondo alcuni operatori dalla flotta Tirrenia non si potrebbe ricavare più di 400-450 milioni. Sullo sfondo ci sono le concessioni per la garanzia del servizio pubblico: l' attuale convenzione, che garantiva a Tirrenia e alle altre società regionali come Siremar circa 200 milioni l' anno, scadrà il 30 settembre, proprio la deadline concessa dalla Ue per concludere la privatizzazione. Per la cessione era stata preparata una bozza di nuova convenzione che considerava i servizi sulle rotte nazionali come un unicum, quindi non riducibili a spezzatino. Ma adesso il timore dei 4.000 dipendenti è che si possa procedere alla «distribuzione» di quei diritti, una decisione che corrisponderebbe di fatto alla morte della compagnia dei traghetti. Un indizio che si possa procedere su questa strada è l' ipotesi di una scissione di Siremar dalla Tirrenia, anche in seguito all' interesse già manifestato da imprenditori del settore, come Vincenzo Onorato della Moby, per una vendita separata. Su questo deciderà il commissario straordinario Giancarlo D' Andrea, ma i sindacati si oppongono ad ogni ipotesi di «spezzatino». La compagnia sembra davvero in tempesta e sulle migliaia di turisti che quest'estate hanno prenotato i passaggi sulle sue navi soffia il vento della protesta: la Uiltrasporti ha già proclamato uno sciopero il 30 e il 31 agosto, proprio nei giorni di rientro dei vacanzieri dalle isole.
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