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28 ottobre 2010

L'energia verde sfida la crisi: debutta Enel Green Power

L'energia pulita sfida la crisi: domani si conclude l'offerta pubblica di Enel Green Power e il debutto in Piazza Affari e alla Bolsa di Madrid è previsto per il 4 novembre. 

L'ultimo impianto di Enel Green Power entrato in esercizio è una centrale geotermica: Sasso2, 20 megawatt di potenza, a Castelnuovo Val di Cecina. Sale così a 700 megawatt la potenza geotermica della società in Toscana, un record per la Regione, che si aggiudica il primo posto in Europa: le 32 centrali geotermiche coprono un quarto dei consumi energetici regionali, pari a 5 miliardi di kilowattora. Ma non finisce qui: con il potenziamento dei pozzi esistenti, presto ci saranno 112 megawatt in più e altri ancora ne arriveranno dal progetto Geotermia Innovativa.

La geotermia è una delle risorse chiave per Enel Green Power: forte del know-how sviluppato in Toscana, dove il calore del sottosuolo si sfrutta da oltre un secolo, è andata a cercare valore in tutto il mondo. E l'ha trovato. Prima in Utah, poi in Cile. "Ora in Nevada, vicino a Reno, vogliamo sperimentare l'accoppiamento di fonti geotermiche a bassa temperatura con le fonti solari: l'innovazione di sistema, che coglie le tecnologie esistenti e le combina in maniera originale, è molto importante per una società attiva nell'energia del futuro", commenta l'ad Francesco Starace. Vale lo stesso discorso per l'idroelettrico, in cui Enel Green Power è partita da una solida esperienza sviluppata sulle Alpi italiane, per spaziare poi in Nord e Sud America, nella penisola iberica e in Grecia. Ora è un campione mondiale con i suoi 395 impianti distribuiti su dieci Paesi, per 2.534 megawatt complessivi. "Ma stiamo crescendo molto in Centro America e in Brasile, dove i grandi fiumi non mancano", aggiunge Starace.

Geotermico e idroelettrico sono due fonti rinnovabili già perfettamente competitive con le fonti fossili e vanno sul mercato senza bisogno di sussidi statali. Per Enel Green Power rappresentano oltre il 70% della produzione, generando un forte flusso di cassa: su 21 terawattora complessivi, solo un quarto deriva da fonte eolica e meno del 30% è dipendente da sussidi statali. Si tratta di un caso unico nel panorama delle grandi società impegnate sul fronte delle fonti rinnovabili, come Iberdrola Renovables, Edp Renovaveis o Edf Energies Nouvelles, che invece concentrano quasi tutte le proprie forze nell'energia del vento, ancora dipendente dagli incentivi pubblici. La diversificazione, sia per fonti che per aree geografiche (è presente in 16 Paesi), ha guidato lo sviluppo di Enel Green Power fino ad oggi. Su questa base di produzione molto affidabile e grazie all'indebitamento ridotto, ora la società può permettersi di puntare quasi al raddoppio entro il 2014, dai 5.700 megawatt attuali a 9.200, finanziando la sua crescita.

Crescere significa allargare questa base in maniera organica, senza trascurare le altre fonti: il "braccio verde" dell'Enel si è appena aggiudicato 90 megawatt eolici in un'area particolarmente ventosa dello Stato di Bahia, in Brasile, che andranno ad aggiungersi ai 155 campi eolici già operativi su 9 Paesi diversi, per 2.355 megawatt complessivi. E dei 1.200 megawatt in via di realizzazione nel prossimo futuro, l'80% sono di fonte eolica, la meno sviluppata del portafoglio.

Ma Starace vuole anche aprire la strada per nuove frontiere, come quella delle centrali solari a concentrazione, di cui ha realizzato un prototipo in Sicilia con una tecnologia molto innovativa, capace di produrre energia anche di notte, quando il sole non splende, risolvendo così uno dei problemi fondamentali dell'energia solare. "Investiremo ancora in tutte le zone che si prestano a questa fonte, dal Nord Africa al deserto di Atacama in Cile, ma quel che ci interessa di più sono le ibridizzazioni tra fotovoltaico, solare termico e termodinamico, per ottenere rendimenti finora mai visti", precisa Starace. Trovare combinazioni che consentano il salto di economia capace di rendere competitive le fonti pulite è il sogno di tutti i pionieri delle energie del futuro. Un sogno che ormai sembra a portata di mano: "Nel giro di 5-10 anni i costi di produzione scenderanno e tutte le fonti rinnovabili riusciranno a camminare sulle proprie gambe, anche quelle oggi più sussidiate", confida Starace. La sfida è trovare il posizionamento migliore per approfittarne.


27 ottobre 2010

Fotovoltaico presto al traguardo dell'1% del fabbisogno elettrico

Perfino Trino Vercellese, paese simbolo del nucleare italiano, con una centrale che al suo avvio nel '64 era la più potente del mondo, si converte al fotovoltaico, avviando la realizzazione di un maxi-parco da 70 megawatt con vista sulla torre di raffreddamento del reattore. L'investimento da 250 milioni andrà ad arricchire il fiume di denaro che si sta riversando sull'energia del sole in Italia, dopo la recente revisione degli incentivi.

Superato lo scoglio della prima parte del 2010 rallentata dal difficile parto del terzo conto energia, ora che le tariffe in partenza da gennaio 2011 sono chiare, il fiume è di nuovo in piena. Secondo uno studio di A.T. Kearney, per fine anno verranno installati altri 850 megawatt, contro i 720 del 2009. In tutto, la potenza del fotovoltaico italiano dovrebbe toccare così i 2.000 megawatt complessivi e la produzione di corrente elettrica arriverebbe all'1 per cento della domanda. Le aziende italiane dell'energia del sole, secondo lo studio, nel 2009 hanno registrato ricavi per 2,35 miliardi di euro, in crescita del 39% rispetto agli 1,69 del 2008, con la prospettiva di arrivare a un valore complessivo del settore di 3 miliardi a fine 2010. Una crescita che si inserisce nel boom mondiale di questa tecnologia sempre più diffusa.

La previsione di Solarbuzz, bibbia globale del solare, è che entro fine anno si arrivi a 15 gigawatt di nuova potenza installata, più del doppio dei 6,4 gigawatt realizzati nel 2009. Avvalora la credibilità di queste proiezioni il fatto che tra maggio e giugno l'installato sia stato quasi il triplo del secondo trimestre 2009, garantendo all'industria fotovoltaica un raddoppio nel giro d'affari, da 6,2 a 12 miliardi di dollari. Un boom come sempre guidato dalla Germania, dov'è concentrato il 60% del nuovo installato, ma subito dopo viene l'Italia, che pure sul suo territorio assolato ha un decimo dei pannelli dei vicini a Nord delle Alpi. Anche in Francia e negli Stati Uniti il fotovoltaico corre a velocità sostenuta.

Sul fronte manifatturiero, invece, è la Cina che  spopola, con ben quattro colossi come Suntech Power, JA Solar, Yingli Green Energy e Trina Solar nella top ten dell'industria solare. La manifattura cinese arriva oggi a coprire il 55% delle celle prodotte su scala mondiale a confronto con i1 43% dello scorso anno. Grazie anche ai cinesi continua il drastico calo dei prezzi, che va più veloce dell'aumento di efficienza dei pannelli e dovrebbe proseguire: secondo la ricerca A.T. Kearney il costo dei moduli potrebbe scendere dagli 1,5-2 dollari attuali a 1 dollaro per Watt nel 2015. Insieme al calo dei prezzi, l'altro grande driver del settore negli ultimi anni è la crescente efficienza delle celle, in cui prevalgono gli americani e i giapponesi. Campione mondiale in questa gara a estrarre più energia possibile dal sole è al momento l'americana SunPower, che dallo scorso giugno ha avviato la produzione industriale di celle con un'efficienza del 24,2%. Ma anche la giapponese Sharp è molto impegnata sul fronte dell'efficienza: le sue celle a concentrazione (molto più care delle altre), con un sistema basato su lenti ottiche, hanno raggiunto un'efficienza del 42,1%, che potrebbe arrivare al 45% entro il 2014.


25 ottobre 2010

Eolico ancora con il vento in poppa, siamo a 5,4 gigawatt

Eolico col vento in poppa. Malgrado la crisi, anche nel 2009 la crescita degli impianti italiani ha sfiorato il 40% (per l'esattezza +38,5%), raggiungendo i 4.898 megawatt di potenza, distribuiti su 294 campi eolici. E la corsa all'energia del vento non si ferma: nel primo semestre del 2010 la potenza installata è cresciuta di un altro 10% a 5.400 megawatt. I dati escono dal rapporto sull'eolico del Gestore dei servizi energetici.
Il business del vento, quindi, fa ancora gola, nonostante le incertezze autorizzative: mediamente trascorrono 4 anni prima di poter accendere un impianto, ma ci sono casi anche di dieci anni. Per gli investimenti, che si aggirano sui 2 milioni per megawatt, i tempi di breakeven si allungano così a 5-10 anni. Non poco, eppure giacciono domande di connessione alla rete per 90mila megawatt. Un dato stratosferico, "ma irreale – osserva Paolo Guaitamacchi, segretario generale di Aper, l'Associazione dei produttori di energia da fonti rinnovabili, e amministratore delegato delle Fattorie del vento – dovuto ai tempi autorizzativi e di sviluppo così lunghi e all'allacciamento in rete così difficile che gli operatori inoltrano diverse domande sperando di vederne approvata almeno una in tempi ragionevoli".

Il volume d'affari nel settore raggiunge livelli sempre più elevati, alla luce degli investimenti in corso e di quelli programmati. Se si considerano i circa 1.400 megawatt installati nel solo 2009, in termini finanziari gli investimenti - tra capitali privati e bancari - hanno raggiunto la cifra di 2,5 miliardi, quasi esclusivamente destinati alla realizzazione di centrali eoliche nel Mezzogiorno, dove c'è più vento. Una manna per la malavita organizzata, a partire da molti finti "sviluppatori" che ricercano i siti di potenziale interesse, elaborano piani preliminari e una volta ottenuta l'autorizzazione, con in mano un progetto cantierabile, lo passano alla mafia. "Un mercato con remunerazioni che si aggiravano nel 2008 intorno agli 8 milioni per un'autorizzazione unica alla costruzione di un impianto da 40 megawatt", spiega Giuseppe Mastropieri, direttore dell'Osservatorio WindIT di Nomisma Energia.

Finto "sviluppatore", ad esempio, era Vito Nicastri, di Alcamo, re del vento in Sicilia e in Calabria, ritenuto dagli inquirenti la longa manus imprenditoriale del boss latitante di Cosa Nostra Matteo Messina Denaro, al quale il Tribunale di Trapani il 14 settembre ha sequestrato un patrimonio di circa 1,5 miliardi. "Ma oggi, per effetto concomitante della crisi finanziaria e del calo della redditività dagli investimenti eolici, il mercato delle autorizzazioni si è sgonfiato e i prezzi stanno evolvendo verso soglie più congrue rispetto all'effettivo valore generato", aggiunge Mastropieri. E' segnale di una certa maturazione del mercato, che farà scendere anche l'interesse della malavita organizzata, sempre presente in qualsiasi business che cresce molto, soprattutto se il resto dell'economia è fermo.

A dieci anni dall'installazione delle prime pale, l'Italia è al terzo posto in Europa con 5,4 gigawatt di potenza installata a giugno 2010, poco sopra Francia (4,5 gigawatt) e Regno Unito (4 gigawatt), ma molto dietro Germania (25,8 gigawatt) e Spagna (19,1 gigawatt). La parte del leone – per ragioni naturali – la fa il Sud, che da solo ospita il 98% della potenza installata: in sole tre regioni (Puglia, Campania e Sicilia) si concentrava a fine 2009 il 60% degli impianti. Ora la scommessa per l'eolico italiano è raggiungere l'obiettivo di 16mila megawatt installati al 2020, che il governo si è posto nel suo Piano d'azione nazionale per le rinnovabili, consegnato quest'estate a Bruxelles per soddisfare gli obblighi del programma europeo 20-20-20. Una scommessa che sarà possibile vincere solo grazie alla crescente competitività della tecnologia, come ha spiegato qualche giorno fa il segretario generale del Global Wind Energy Council, Steve Sawyer, alla fiera eolica tedesca di Husum. Con turbine da 3 o 4 megawatt ciascuna, completamente diverse da quelle da 1 megawatt che si usavano all'inizio, diventa più facile moltiplicare la capacità produttiva di un campo eolico, fino ad arrivare a potenze equivalenti a quella di una comune centrale a gas. E diventa doveroso puntare a emanciparsi finalmente dai costosi incentivi statali.


23 ottobre 2010

Altro che bolla del gas! L'Italia in bolletta

Ma non c'era la bolla del gas? I consumi italiani calano per i postumi della crisi, le nuove tecniche di estrazione liberano il metano intrappolato nelle rocce del sottosuolo americano e tagliano l'import di gas degli Stati Uniti, l'offerta globale è abbondante. Invece basta uno smottamento per scatenare l'allarme sugli approvvigionamenti invernali. E la tensione sui prezzi.

A Guttannen, nel cantone di Berna, una frana ha interrotto in agosto il flusso di gas proveniente dal Mare del Nord, 50 milioni di metri cubi al giorno, attraverso il Transitgas. E non è chiaro quando riprenderà: il gasdotto che ci fornisce oltre il 15% del nostro fabbisogno corre lungo un gola di montagna che sta venendo giù a causa delle piogge e dovrà essere spostato, per cui resterà fuori servizio almeno fino alla fine di quest'anno. Nell'ultimo mese, questo blocco ha fatto schizzare in alto i prezzi di 3-4 centesimi al metro cubo, tanto che l'Authority ha aperto un'istruttoria. In più, proprio nel delicato momento dell'accelerazione autunnale necessaria a riempire gli stoccaggi in vista dell'inverno, è chiuso per manutenzione anche il gasdotto Greenstream, quello che dalla Libia importa più del 10% del gas che consumiamo. Così si blocca un quarto delle nostre importazioni, due tubi su quattro: ci resta solo il gas russo e quello algerino. Sperando che non si riproponga il problematico scenario del biennio 2006-2007, quando ci trovammo pericolosamente esposti ai capricci negoziali tra Russia e Ucraina, che portarono a una serie di interruzioni delle forniture a tutta l'Europa, facendo tremare particolarmente l'Italia, che più di ogni altro Paese funziona a gas.

Il blocco riporta alla ribalta i due grandi problemi strutturali del nostro sistema metanifero. In primis il lento procedere nella costruzione dei rigassificatori per differenziare via mare, oltre che potenziare, i nostri approvvigionamenti. Della decina di progetti da anni in pista uno solo è finalmente operativo, quello di Rovigo (Edison-Exxon) da 8 miliardi di metri cubi, che si è aggiunto allo storico impianto Eni di Panigaglia. In secondo luogo l'insufficienza delle strutture di stoccaggio, che nelle intenzioni del governo ora dovrebbero essere rapidamente potenziate grazie al nuovo decreto che incrementa la platea di accesso degli operatori e allo stesso tempo incentiva la costruzione di nuovi depositi.
La questione degli stoccaggi è diventata centrale anche per via dell'assenza di una Borsa del gas, capace di fungere da regolatore. Oggi in Italia, secondo i dati dell'Authority, si contano 10 siti per lo stoccaggio, di cui otto sono gestiti da Stogit (e quindi da Eni) e due appartenenti a Edison. La forza di Eni è ancora più evidente se si considera che governa il 97% della capacità di stoccaggio nazionale, circa 14 miliardi di metri cubi. Oltre all'assenza di concorrenza, un altro limite del sistema era la preclusione per le imprese di utilizzare gli impianti di stoccaggio esistenti. Ma con il recente decreto il governo ha definito nuovi "tetti" antitrust, che dovrebbero far scendere al 65% la quota di mercato garantita all'Eni (l'Authority chiede soglie ancora più rigide, fino al 55%), e ha previsto la realizzazione di nuove infrastrutture di stoccaggio. Stabilendo che i primi 4 miliardi di nuova capacità – una quota importante se teniamo conto che degli attuali 14 miliardi di metri cubi, 5 sono per la riserva strategica – siano disponibili per industrie, pmi e clienti termoelettrici. In questo modo, le aziende con i consumi più elevati potranno acquistare il gas d'estate, quando i prezzi sono più bassi, e utilizzarlo d'inverno, quando s'impennano.

Immediato il rilancio dell'Eni, che ha presentato al ministero dello Sviluppo Economico un piano strategico per la realizzazione di questi primi 4 miliardi di metri cubi di nuova capacità di stoccaggio, attraverso dieci progetti, "a cui potranno partecipare, quali investitori, i clienti industriali, le piccole e medie imprese e i clienti termoelettrici", dice il ministero. A via Veneto sono arrivate oltre 270 richieste di partecipazione "da parte di importanti gruppi industriali, di imprese caratterizzate da elevati consumi di gas (acciaierie, cartiere, ceramiche), di vari consorzi e aggregazioni di piccole e medie imprese, nonché dai principali produttori di energia elettrica tramite impianti alimentati a gas". Leggi Edison, Enel, E.on e così via. Dopo l'accettazione del piano, ci sarà la gara per mettere in palio la nuova capacità di stoccaggio. Ma la corsa che si sta verificando dimostra quanto le imprese italiane abbiano fame di gas a prezzi ragionevoli.

Ora resta il problema delle tariffe da pagare per lo stoccaggio, che dovrebbero essere remunerative per chi decide di investire nella realizzazione dei nuovi impianti ma non troppo onerose per chi avrà diritto di utilizzarli, cioè le imprese industriali. Altrimenti si annullerebbe il vantaggio.


22 ottobre 2010

Teleriscaldamento: a Milano il cerchio si stringe

Non più mille camini fumanti in tutte le case, ma un solo grande camino, molto meno inquinante perché centralizzato e alimentato da energia pulita. E' così che ci si riscalda nel Centro e Nord Europa, in Nord America, in Giappone e adesso anche a Milano. Nell'ultima classifica europea delle 30 città con l'aria più inquinata, Milano figura al quarto posto. Nel 2009 ha sfondato il limite delle PM10 per 111 giorni - contro il tetto di 35 imposto dall'Unione Europea - prevalentemente nel periodo invernale, quando si accendono le caldaie del riscaldamento. Sono questi fumi, oltre ai vecchi camioncini diesel e ai motorini a due tempi, una delle cause principali dei valori eccessivi di PM10, ozono e ossidi di azoto, che impestano l'aria della città. Da qui nasce l'idea di cambiare sistema: dopo la metanizzazione, il teleriscaldamento è il prossimo passo avanti sulla strada del calore pulito.

La nuova frontiera indicata dal Comune - sul modello di Brescia, già tutta teleriscaldata da decenni - è l'abbandono delle caldaie, autonome o centralizzate, per collegarsi a una rete di tubi che in tre anni è cresciuta da 41 a 78 chilometri e deve arrivare a quota 160 entro il 2012, coprendo tutta la cintura urbana attorno alla cerchia dei Bastioni, con l'obiettivo di servire quasi 500mila utenti. Le doppie tubature, una in andata e una in ritorno, porteranno agli edifici posti sulla loro strada acqua calda a 90° - che cede calore all'impianto condominiale attraverso uno scambiatore - e riporteranno indietro acqua a 65° per riscaldarla un'altra volta in centrale. Per A2A è un investimento da 200 milioni di euro. Alla fine del progetto, Milano avrà 8 impianti di teleriscaldamento, di cui quattro alimentati anche da fonti rinnovabili. "Siamo ricorsi a tutte le soluzioni che garantissero la massima sostenibilità nella produzione del calore", spiega Marco Camussi, responsabile della progettazione di A2A Calore & Servizi. "Basti pensare che la pompa di calore geotermica da 15 megawatt installata nella centrale di via Cavriana è la prima in Italia di questa potenza e produce calore senza generare emissioni inquinanti".

Un impianto centralizzato di grandi dimensioni è molto più efficiente di qualunque caldaia condominiale, non solo per le tecnologie più avanzate che utilizza, ma anche perché una caldaia piccola si spegne e si riaccende in continuazione man mano che la casa si scalda e poi si raffredda, mentre in una caldaia più grande tutte queste oscillazioni della domanda si compensano a vicenda, consentendole di funzionare continuamente alla stessa potenza e quindi bruciando meno combustibile a parità di calore prodotto. Milano, in più, si avvantaggia di una fonte rinnovabile naturale: il calore dell'acqua di falda, cui si può attingere per due terzi della potenza termica necessaria alla centrale di via Cavriana, che alimenterà i due chilometri di rete attualmente in costruzione.

Quindi, mano al piccone. I lavori per l'ampliamento della rete verso il centro, fino al Palazzo di Giustizia, ancora riscaldato a olio combustibile e molto inquinante, sono partiti quest'estate e dovrebbero concludersi a fine novembre. Le trincee scavate a Città Studi sono già chiuse, ma restano tratti impegnativi ancora da fare. "Per viale Premuda e corso di Porta Vittoria abbiamo previsto il ricorso a sistemi di posa no-dig, che consentiranno di installare le tubazioni senza aprire la strada", spiega Alessandro Modonesi, il responsabile del progetto per A2A. In pratica, si tratta di scavare un buco molto profondo da un lato per inserire una talpa che procede sotto il manto stradale e riemerge dall'altro lato. Per i milanesi si prospetta ancora qualche disagio. In prospettiva, la linea attualmente in costruzione potrebbe essere la prima di una serie per teleriscaldare tutto il centro storico. Ma alla fine potranno godersi vantaggi notevoli anche dal punto di vista economico-logistico. "A Brescia - commenta Modonesi - la rete del teleriscaldamente serve tutto il centro storico e dopo gli inevitabili disagi la soddisfazione dei cittadini è stata unanime". L'utente non deve più comprare il combustibile, metano, gasolio o carbone che sia: paga solo il calore consumato, così come rilevato dai contatori installati presso ogni abitazione. In più, si libera della caldaia, dell'eventuale cisterna del gasolio e di tutte le relative manutenzioni, comprese quelle sulla canna fumaria e sugli scarichi di sicurezza. E recupera spazio.

Manhattan ha la rete più grande del mondo

Camminando per le strade di Manhattan ci s'imbatte spesso negli sbuffi di vapore che sfuggono alle griglie dei seminterrati: l'isola è teleriscaldata dal 1882 e ha il più grande sistema di district heating del mondo, da Battery fino alla 96.ma. Il vapore che scorre nelle vene sotterranee di Gotham City non provvede solo al riscaldamento e all'acqua calda dei suoi abitanti, ma è anche usato nei ristoranti per bollire i cibi, nelle tintorie e in altri esercizi commerciali. Oltre a New York, in tutto il Nord America il sistema è molto diffuso, dal Canada fino in California: Detroit e San Francisco dispongono delle due reti più capillari. In Europa, Vienna e Berlino sono i due colossi del calore pulito, quasi sempre associato alla termovalorizzazione. A Vienna i tre impianti d'incenerimento dei rifiuti forniscono al teleriscaldamento il 22% del calore, che altrimenti andrebbe perso. La più alta penetrazione del sistema si registra invece in Scandinavia e in Est Europa: in Danimarca, Svezia e Finlandia è coperta oltre metà della popolazione complessiva, con tassi del 95% nelle grandi città. In Polonia, Estonia e Slovacchia quasi altrettanto. In Italia la diffusione è molto più recente, ma ci sono alcuni esempi virtuosi, come Brescia, Reggio Emilia o Torino. In complesso, sul territorio nazionale sono serviti 2 milioni di cittadini in 145 Comuni grandi e piccoli, a partire dal 1972.

 


20 ottobre 2010

Un mercato bloccato: gas più caro anche se calano i consumi

Un mercato "atipico", dicono gli esperti. In Italia scendono i consumi di gas, l'offerta aumenta (almeno fino a quest'estate), ma i prezzi non si muovono. Anzi. Nel periodo dal giugno 2009 al luglio 2010 il costo delle forniture di gas per i consumatori industriali è cresciuto del 12,3 per cento, fino a 31 centesimi di euro per metro cubo di metano, a fronte di un calo dei consumi dell'8 per cento, secondo un'indagine di Nus Consulting. Mentre per le utenze familiari è rimasto quasi fermo, con una discesa nel 2009 e una risalita quest'anno.

Con il blocco del Transitgas dalla Svizzera, poi, c'è stata un'ulteriore impennata del 15% per le utenze industriali, rincaro considerato ingiustificato dall'Authority, dato che un altro gasdotto, il Tag, è attualmente sottoutilizzato per ammissione di Snam e della stessa società che controlla l'infrastruttura dalla Russia. Un rincaro di questo genere, dice l'Autorità di Sandro Ortis, è "tipico di situazioni in cui in cui la capacità di trasporto risulta completamente utilizzata, non sembra congruente con il mancato incremento dell'import di gas naturale in Italia attraverso il punto di entrata di Tarvisio". Per Fabio Santorum della svizzera Openlogs, primo trader indipendente attivo sul nostro mercato dalla sua apertura nel 2000, l'Italia è un'isola: "Il mercato più lungo d'Europa, dove i consumi sono scesi da 85 a 76 miliardi di metri cubi di gas all'anno e l'offerta da 90-95 è salita a 100 miliardi, senza nessun beneficio sui prezzi".

Ora l'Authority ci sta provando a tagliare la bolletta gas delle famiglie, con un piccolo ribasso dello 0,1% a partire dal 1° ottobre, ma un gruppo di compagnie lo contesta e ha fatto ricorso al Tar Lombardia per sospendere il taglio. Se il Tar accordasse una sospensiva, i consumatori rischiano di veder risalire di botto le bollette di un altro 3%, dopo quello di luglio, di aprile e di gennaio (in tutto +9,6% nel 2010). I primi operatori che sono ricorsi al Tar sono cinque: Eni, Enel, A2A, Gas Plus e Phlogas, ma se ne potrebbero aggiungere altri. Gli operatori contestano il nuovo metodo di calcolo dell'Authority, deliberato dopo le necessarie audizioni a fine settembre, con cui Sandro Ortis ha "aggiustato" le sue correzioni tariffarie tenendo conto dei prezzi internazionali del metano, che in Europa sono decisamente convenienti in questo periodo di abbondanza di offerta.

Visto che il ribasso internazionale si ferma ai confini dell'Italia, la delibera taglia-tariffe vorrebbe spingere gli operatori a rivalersi di questa anomalia sull'Eni, che detta i prezzi al confine, essendo il principale importatore di metano dall'estero. Ma gli operatori da quest'orecchio non ci sentono. E per il prossimo aggiornamento delle tariffe, che cade il 1° gennaio, "questa" Autorità non ci sarà più, visto che il mandato di Sandro Ortis e Tullio Fanelli scade improrogabilmente il 15 dicembre e dei loro successori non si sa ancora nulla. Di qui l'allarme delle associazioni consumatori, che in un comunicato congiunto hanno attaccato duramente i ricorrenti: "Non possono pretendere di far pesare sulle bollette degli italiani la difesa dei loro alti margini di guadagno: invece che andare contro i consumatori, si diano da fare per acquistare al meglio e sfruttare le riduzioni dei prezzi a livello internazionale".

Di fatto, il mercato del metano è liberalizzato da dieci anni, ma solo 800mila famiglie hanno cambiato fornitore, pari al 4% degli utenti domestici, e se si aggiungono anche le utenze industriali non si supera il 7%, a differenza dell'elettricità dove ormai 3,2 milioni di famiglie e 2,6 milioni di imprese, pari al 34% del totale, hanno cambiato fornitore, pur essendo la sua apertura ben più recente. Molti consumatori gas non lo sanno nemmeno di poter optare per il mercato libero: il 27% è convinto che solo i consumatori industriali possano scegliere liberamente l'azienda del gas, secondo una ricerca Bip-Nielsen. L'8,8 per cento addirittura è convinto che in Italia esista una sola azienda del gas e che non ci sia alcuna possibilità di scelta. Per questa liberalizzazione a due velocità, l'Autorità punta come al solito il dito su Eni, "operatore dominante che controlla ancora il 92% delle infrastrutture di import e il 65% delle immissioni sul mercato nazionale", al contrario dell'ormai ex-monopolista Enel, la cui quota sul mercato italiano si è ridotta al 30%. In pratica, i vantaggi di prezzo che si riescono a spuntare sono talmente minimi in un mercato così poco concorrenziale, che decade ogni incentivo a cambiare fornitore.


15 ottobre 2010

Da Edoardo I a Formigoni: i divieti di bruciare biomasse senza filtri

«Fair is foul, and foul is fair: Hover through the fog and filthy air», minacciano le tre streghe in Macbeth. E già dal tono si capisce che ai tempi di Shakespeare il problema dell'aria inquinata dava parecchio da pensare ai londinesi. Non a caso il termine smog è stato coniato a Londra nel 1905, da una contrazione di smoke e fog.

Per i lombardi il problema è più recente, ma anche qui la famosa nebbia padana ha sempre avuto una componente rilevante di «fumo di Londra», in forma di particolato, emesso dalla combustione di biomasse e carbone senza filtri. Per non parlare delle caldaie a olio combustibile, oggi più diffuse e quindi più importanti nella formazione del mix micidiale che chiamano aria in Lombardia.

La Regione Lombardia cerca di risolvere il problema, vietando anche quest'anno, per la terza volta, l'accensione di stufe e camini senza filtri certificati e di caldaie a olio combustibile per scaldarsi d'inverno in tutti gli agglomerati urbani (definiti zona A1) e nei Comuni al di sotto dei 300 metri di altitudine. Il limite dei 300 metri è giustificato da un noto fenomeno termo-climatico: tutto ciò che viene immesso nell'atmosfera sotto i 300 metri non si disperde, come se ci fosse una sorta di tappo che non consente il ricambio d'aria.

Ma il divieto regionale, che scatta venerdì 15 ottobre e resta in vigore fino al 15 aprile, è del tutto teorico, dato che non esiste un censimento dei camini fuori norma. La Regione intende avviare a breve un censimento, per registrarli al catasto regionale degli impianti termici e arrivare, in futuro, a una certificazione di questo tipo di impianti come avviene oggi per le caldaie a gas. Ma sarà una battaglia lunga: nemmeno quella contro le caldaie a olio combustibile è stata ancora vinta.

Nel frattempo, i lombardi continuano allegramente ad accendere stufe e caminetti senza rendersi conto di quanto sia pericoloso quello che buttano fuori (e dentro casa). La combustione di biomasse senza controllo, e quindi senza postcombustione, con bassa temperatura dei fumi e senza filtri al camino, emette quantità enormi di polveri, diossine e furani. Non a caso, è una delle principali cause di morte nei Paesi in via di sviluppo, dov'è usata comunemente anche per la cottura dei cibi. Tanto è vero che la legge italiana, così permissiva con i privati, è invece molto rigorosa con le imprese che bruciano biomasse e le obbliga a utilizzare sistemi sofisticatissimi di depurazione, simili a quelli dei termovalorizzatori.

Divieti simili a quello lombardo, ma presi molto più sul serio, esistono in tutto il Centro e Nord Europa, da almeno cinquant'anni e, in particolare, nel Regno Unito dal 1956, quattro anni dopo la terribile strage di Londra del dicembre 1952, quando ben 12mila morti furono attribuiti ai fumi delle stufe. In quei drammatici primi giorni di dicembre, che i londinesi ricordano come «The Great Smog», una forte inversione termica creò una cappa letale formata principalmente da particolato e biossido di zolfo sulla città: si stima che i valori di PM10 tra il 5 e il 10 dicembre si aggirasse sui 5000 microgrammi per metro cubo.

Per fare un confronto, i valori di punta raggiunti a Milano non vanno oltre i 400 microgrammi. Le cronache del tempo riportano che in alcune zone di Londra fosse impossibile vedersi i piedi, sia fuori che dentro casa. Una rappresentazione teatrale de «La Traviata» venne sospesa, per l'impossibilità di vedere il palco. Le autorità sconsigliarono in alcuni quartieri di far andare i figli a scuola da soli, per paura che si perdessero e gli autobus andavano letteralmente a passo d'uomo: il bigliettaio li precedeva a piedi per evitare gli incidenti e gli investimenti dei pedoni. La mattina del 6 dicembre l'aria era completamente irrespirabile e la gente accusava malori di ogni tipo. La mortalità salì in città a 900 decessi giornalieri, contro i normali 270 e continuò così fino ai primi giorni di gennaio.

Quella del 1952 non fu la prima strage da inquinamento e non sarà nemmeno l'ultima: è solo la meglio documentata. Episodi paragonabili a questo si ripetono dal lontano 1200: il primo editto contro la combustione del carbone a Londra fu emesso da Edoardo I nel 1272. Riccardo III (1377-1399) e Enrico V (1413-1422) fecero del loro meglio per limitare i danni. Invano. Roberto Formigoni sembra sulla buona strada per l'iscrizione allo stesso club.


14 ottobre 2010

Trino, paese simbolo del nucleare, si converte all'energia del sole

Trino Vercellese, paese simbolo del nucleare italiano con una centrale che al suo avvio nel '64 era la più potente del mondo, si converte al fotovoltaico, avviando la realizzazione di un maxi-parco da 70 megawatt con vista sulla torre di raffreddamento del reattore. L'investimento da 250 milioni è stato annunciato da Agatos Energia, che ha già acquistato dall’Enel per 1,5 milioni di euro un terreno di 164 ettari nell’area di Leri Cavour, a poca distanza dall’impianto nucleare Enrico Fermi, in via di smantellamento dal lontano 1990. Il parco fotovoltaico utilizzerà moduli Suntech ed entrerà in funzione “entro la fine del 2013”, dando lavoro a 200-250 persone nella fase di realizzazione e a 15 stabilmente durante l’esercizio. L’energia prodotta sarà immessa nella rete nazionale sfruttando le connessioni già esistenti nell’area di Leri, dove saranno anche realizzati, nella casa del conte Cavour, un centro di ricerca sulle agro-energie e un sala multimediale didattica sull’energia.


9 ottobre 2010

A Rovigo il parco fotovoltaico dei record cambia di mano

La più grande acquisizione fotovoltaica mai realizzata in Italia è stata annunciata da SunEdison, che ha venduto a First Reserve per 276 milioni di euro il suo impianto di Rovigo, da 72 megawatt, il più grande d'Europa quando sarà completato, entro la fine di quest'anno. L'enorme impianto rappresenta una pietra miliare all'interno del mercato fotovoltaico europeo e copre 850.000 metri quadri di superficie, coperti da 280mila pannelli solari. La centrale è stata sviluppata e finanziata da SunEdison, controllata dal gigante americano dei semiconduttori Memc, insieme a Banco Santander. First Reserve, un fondo di private equity specializzato nell'energia rinnovabile, ha già versato una prima tranche di 46 milioni di euro e acquisirà l'impianto quando verrà allacciato alla rete, attraverso la joint-venture costituita lo scorso marzo con la stessa SunEdison in qualità di socio di minoranza. Nel prossimo futuro potrebbero entrare nell'iniziativa di Rovigo anche i fondi Partners Group e Perennius Capital Partners. SunEdison manterrà comunque la gestione e la manutenzione dell’impianto.


7 ottobre 2010

L'energia verde soddisfa oltre un quinto della domanda

L'energia verde ha dato il massimo di sé nel 2009: dal Bilancio elettrico italiano pubblicato ieri dal Gestore dei Servizi Energetici si scopre che le fonti rinnovabili hanno soddisfatto oltre un quinto della domanda italiana di energia. In base al documento, le rinnovabili hanno coperto il 21,2% della domanda elettrica nazionale.  Nel 2009, gli impianti da rinnovabili hanno registrato una produzione lorda di 69.330 gigawattora (+19,2%), grazie a una potenza installata a fine anno di 26.519 megawatt (+11,1% rispetto al 31 dicembre 2008).  L’idroelettrico fa ancora la parte del leone con 17.721 megawatt (+0,6%), ma guadagnano terreno l’eolico (+38,5% a 4.898 megawatt) e il solare (+165% a 1.144 megawatt).  Crescono anche le biomasse e i rifiuti (2.019 megawatt +29,8%), mentre è più lento il progresso della capacità geotermica (737 megawatt +3,7%).


4 ottobre 2010

A2A fa il pieno all'auto elettrica con 25 euro al mese

Venticinque euro al mese per il «pieno» dell’auto. È questa la tariffa flat che sarà applicata da A2A nel periodo di sperimentazione delle auto elettriche che dovrebbe partire l’anno prossimo. I primi Kangoo arriveranno a Milano all'inizio di novembre e verranno assegnati principalmente alle flotte di aziende pubbliche e private, ma anche a una decina di famiglie, che saranno selezionate in questi giorni. La collaborazione tra il Comune, la Renault e l’azienda energetica milanese prevede l'installazione di 200 punti di ricarica (64 sul suolo pubblico e 136 tra box, parcheggi aziendali e condominiali) a Milano e 70 a Brescia. Gli utenti pagheranno dunque una tariffa fissa mensile per ricaricare l’auto e, nel caso il mezzo venisse ricaricato nel box di casa, A2A metterà un contatore dedicato senza ulteriori canoni. Renault si è impegnata a fornire alcune auto elettriche gratuitamente al Comune di Milano. Per gli utenti saranno a disposizione camioncini e vetture. Queste ultime in comodato d’uso a 500 euro al mese. I modelli saranno effettivamente sul mercato entro giungo 2011. La gamma di elettrico, nei piani dell'azienda francese, rappresenterà il 10% del parco circolante entro il 2020. Tra i problemi ancora da risolvere c’è l’autonomia delle vetture che per il momento non supera i 160 chilometri e il tempo di ricarica che, con presa normale, arriva fino a 8 ore.


1 ottobre 2010

E.on punta tutto sull'efficienza energetica

E.on lancia una nuova offerta e punta tutto sull'efficienza. Il primo operatore energetico privato del mondo è già al quarto posto in Italia, dove rifornisce un milione di clienti di elettricità e gas. Ora scende in campo con un'offerta che premia con forti sconti il taglio dei consumi e la sostenibilità ambientale. E.on Risparmio Premiato Luce offre una fornitura di energia elettrica da fonti rinnovabili a prezzo bloccato per 24 mesi: il cliente che riduce il consumo di energia di almeno il 10% rispetto al primo anno, ottiene uno sconto del 10% sulla componente energia per il secondo anno di fornitura. "Un taglio del 10% sui consumi elettrici di una famiglia non è difficile, basta scambiare tutte le lampadine a incandescenza con quelle ad alta efficienza", spiega l'amministratore delegato Luca Dal Fabbro. Nell'offerta E.on Risparmio Premiato Gas, invece, lo sconto del 10% sulle forniture del secondo anno si ottiene acquistando una soluzione energetica da Domotecnica, che include una caldaia ad alta efficienza insieme alle valvole termostatiche per i radiatori. Questo tipo di impianto consente un taglio dei consumi di gas anche del 30% per una famiglia media e rientra nelle ristrutturazioni che godono di una detrazione fiscale del 55%. "Premiare il taglio dei consumi potrebbe sembrare strano da parte di un'azienda che vende energia - commenta Dal Fabbro - ma noi siamo convinti che aiutando i nostri clienti a spendere meno ci assicureremo la loro fedeltà". In questa ottica rientrano anche gli strumenti messi a disposizione nel sito E.on, dove si può effettuare un check-up dei propri consumi di energia e trovare dei consigli mirati per il risparmio. "Vogliamo rafforzare le nostre posizioni nel mercato residenziale e tra le piccole e medie imprese, che sono le più sensibili al costo della bolletta", precisa Dal Fabbro, che conta di arrivare a 2 milioni di clienti e a diventare il terzo operatore italiano entro due anni.