Costerà cara, all'Italia, la crisi in atto nel Nord Africa. Ma l'embargo voluto da Berlino è solo la ciliegina su una torta già amarissima. Le esportazioni di idrocarburi dalla Libia, infatti, sono ridotte al lumicino da settimane. Per quanto riguarda il gas, sono a zero dopo la chiusura del metanodotto Greenstream, che forniva all'Italia un quinto del suo fabbisogno. Quelle di greggio sono quasi ferme perché le petroliere non vanno a caricare nei terminali di imbarco, la maggior parte dei quali si trova nella parte orientale.
Vale la pena di ricordare che la Libia, membro dell'Opec, era il quarto produttore di petrolio dell'Africa, dopo Nigeria, Algeria e Angola, con una produzione di quasi 1,8 milioni di barili al giorno e riserve valutate per circa 42 miliardi di barili. Dall'inizio della guerra la sua produzione di greggio è calata ad appena 400mila barili, di cui 280mila destinati al mercato interno. Dalla Libia arrivava poco meno di un quarto del totale del petrolio importato dall'Italia: 376mila barili al giorno su un consumo complessivo di 1,7 milioni, per un valore che, solo nei primi dieci mesi del 2010, è stato pari a 6,4 miliardi di euro. Dopo di noi, ma a grande distanza, ci sono i francesi, i tedeschi e gli spagnoli.
Le raffinerie italiane, fino a ieri, si servivano del pregiato greggio di Bu Attifel e ora devono sostituirlo per ragioni tecniche con qualità simili provenienti dalla Nigeria e dall'Azerbaigian, ma in un frangente del genere il loro prezzo ha iniziato a lievitare. Insomma, il petrolio che arriva in Italia costa di più e alla lunga questi costi si riverseranno sul portafoglio dei consumatori. Il rischio, dunque, è che sul lungo termine a sostenere i maggiori costi dell'embargo voluto dalla coalizione siano solo i consumatori italiani.
Il blocco della produzione nel Paese nordafricano inoltre, ha già comportato un impatto negativo per almeno 500 mila barili al giorno sulla produzione dell'Eni, l'azienda occidentale più esposta con Tripoli. Senza considerare che l'Eni vantava fino a prima dell'escalation militare concessioni con una durata assicurata fino al 2042 per i giacimenti di petrolio e al 2047 per quelli di gas. Non è chiaro se queste condizioni rimarranno valide dopo la fine della guerra. Per ora, nessuno è in grado di prevedere il costo complessivo, quando la situazione sarà tornata alla normalità.
1 commento:
Elena, queste cose scrivele anche nel giornale ! Così magari il colto pubblico e l'inclita guarnigione capiranno cosa vuol dire una politica energetica.
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