30 settembre 2011
Revenge of the Electric Car, alle volte ritornano
27 settembre 2011
E.on, il gigante si è ristretto
24 settembre 2011
L'Italia si scopre Paese del sole
22 settembre 2011
Il vento è ripartito, ma non soffia da queste parti
19 settembre 2011
Occhio allo spread fra il greggio europeo e americano
Lo spread tra Bund e Btp agita i sonni degli italiani, ma c'è un altro spread che ci terrà svegli tutti, alla lunga: quello fra il prezzo del petrolio americano ed europeo, che sta facendo andare alle stelle le quotazioni globali di greggio. Solo lo sblocco del petrolio libico potrebbe gettare acqua sul fuoco di questo differenziale.
A Londra, sui circuiti dell'InterContinental Exchange, il Brent europeo in consegna ottobre supera i 110 dollari al barile, mentre sui circuiti del Nymex il West Texas Intermediate, stessa consegna, è sceso sotto quota 84: il differenziale ormai supera i 26 dollari, un record storico, e non si fermerà qui. Il petrolio libico viene raffinato tutto in Europa e quindi influisce sul listino di Londra, non su quello di New York. "La prospettiva che la produzione libica torni a fluire nei tubi ridurrà la pressione sul Brent - commenta Michael Wittner, capo delle materie prime di Société Générale - ma i tempi della ripresa restano un'enorme incognita". Gli analisti prevedono che la battaglia interna al Consiglio Nazionale di Transizione sulla gestione del tesoro nazionale sarà lunga e che il differenziale di prezzo fra le due qualità di greggio sia destinato ad allargarsi, anche fino a 50 dollari al barile.
Abdeljalil Mayouf, portavoce della compagnia petrolifera controllata dai ribelli, l'Arabian Gulf Oil Company, ha dichiarato che "possiamo avviare la produzione in qualsiasi momento, anche senza le compagnie internazionali" e che "non abbiamo problemi con le compagnie occidentali, ma abbiamo difficoltà politiche con la Russia, la Cina e il Brasile". Ahmed Jehani, responsabile della ricostruzione, sostiene al contrario che "i contratti petroliferi antecedenti sono sacrosanti" e che "non verranno fatte discriminazioni politiche di alcun tipo", rassicurando tutti i contendenti, in particolare Cina e Russia. Ma le impostazioni divergenti interne al campo dei ribelli rischiano di allungare molto i tempi di ripresa della produzione. Goldman Sachs prevede 12-18 mesi solo per superare la soglia produttiva dei 500.000 barili al giorno e tempi ancora più lunghi per tornare ai livelli pre-crisi di 1,6 milioni di barili (oggi siamo a 60mila). Wood MacKenzie, società di analisi specializzata nei mercati petroliferi, è ancora più pessimista: stima 36 mesi secchi per ritornare ai livelli pre-crisi. L'esperienza di precedenti conflitti, dalla rivoluzione iraniana del '79 allo sciopero prolungato in Venezuela nel 2002-2003, insegna che alla radice dei ritardi ci sono proprio i contrasti politici in seno ai vincitori, non i danni materiali alle infrastrutture. "La guerra in Iraq dimostra che la ripresa della produzione dipende dall'efficacia della pacificazione nazionale", rileva Lawrence Eagles, capo della ricerca petrolifera di JPMorgan ed ex dirigente dell'International Energy Agency.
La questione è particolarmente importante per l'Italia, che prima della crisi riceveva dalla Libia circa un quarto del suo fabbisogno di petrolio e oltre il 10% dei suoi consumi di gas naturale. I francesi sono convinti di uscire vincitori dalla competizione: già in aprile, secondo indiscrezioni, Total avrebbe concluso un accordo segreto con i ribelli per assicurarsi una quota del 35% della produzione libica di greggio. Paolo Scaroni, numero uno dell'Eni, non ci crede: "Non c'è ragione di cambiare operatori che lavorano lì da anni e conoscono il territorio come nessun altro", ha detto. Ai tempi di Gheddafi, l'Italia era al primo posto nella graduatoria dell'export libico di petrolio, con il 28% della produzione, la Francia al secondo, con il 16%, la Cina al terzo con l'11% e la Spagna al quarto con il 10%. Ma ora Parigi vanta il merito di essere stata la prima a riconoscere il Consiglio Nazionale di Transizione. In realtà, l'unica certezza è che la produzione libica ci metterà diversi anni per essere ripristinata ai livelli pre-crisi. E questo influirà molto sul differenziale di prezzo fra greggio europeo e americano.
Normalmente lo spread è inverso. Il Wti americano viene scambiato a un prezzo superiore in ragione della maggiore leggerezza, del basso contenuto di zolfo e dei costi di trasporto, più alti negli Stati Uniti. Le ragioni che da alcuni mesi hanno spinto al rialzo il Brent sono legate alla persistente instabilità politica del Nord Africa, mentre il petrolio americano ha visto calare le sue quotazioni grazie alle scorte record. La produzione americana e canadese di greggio continua a crescere, ma la crisi economica ha ridotto i consumi e non ci sono abbastanza oleodotti per portare il petrolio del Nord verso i porti del Golfo del Messico. Così i serbatoi di Cushing, il centro di raccolta in Oklahoma che dà il prezzo al Wti, continuano a riempirsi. In Europa, invece, succede il contrario. "A un certo punto, da qui alla prossima estate, il differenziale di prezzo fra Brent e Wti potrebbe raddoppiare", spiega Ed Morse, capo della ricerca sulle materie prime di Citi. Solo lo sblocco del petrolio libico getterebbe acqua sul fuoco. Con il Brent al di sopra dei 110 dollari al barile, non manca l'incentivo finanziario per indurre Tripoli a mettersi d'accordo in fretta con le compagnie. Ma non è detto che lo stimolo sia sufficiente a superare le divisioni.
14 settembre 2011
Balzo dei prezzi del gas per l'industria italiana
Aumenti del 35-40% sul prezzo del gas per l'industria ceramica. E' questo l'esito dei contratti appena chiusi per il prossimo anno termico, in partenza il 1° ottobre. Per le imprese del distretto, già messe in difficoltà dalla crisi, è una mazzata potente. "Il costo della materia prima per noi è la voce principale insieme al personale e incide almeno del 20% sui costi di produzione", spiega Armando Cafiero, direttore generale di Confindustria Ceramica. Un aumento di questa portata, quindi, rischia di spingere fuori mercato i produttori più deboli.
Come si giustifica il nuovo balzo dei prezzi? "E' vero che le quotazioni del petrolio sono aumentate molto quest'anno e il prezzo del gas mantiene ancora un aggancio all'andamento del greggio, ma è anche vero che fra i prezzi italiani e quelli europei, già più alti rispetto al mercato americano, c'è un divario del 15-20%, il che penalizza moltissimo la competitività dell'industria italiana", precisa Cafiero. Come mai? "In Italia c'è pochissima liquidità sul mercato del gas, ma non perché non ne arrivi abbastanza. Le forniture correnti abbondano rispetto alla domanda, che è calata per le note difficoltà dell'industria. Ma la capacità d'importazione è sottoutilizzata dall'Eni, che la sfrutta solo al 60% e non consente ad altri di far passare il proprio gas nelle infrastrutture inutilizzate. La conservazione di quote di capacità non utilizzata evidentemente riduce la competizione e la liquidità del nostro mercato", sostiene Cafiero. La denuncia dei consumatori industriali in materia di limitazioni nelle disponibilità di trasporto da mercati più maturi e competitivi non è nuova. Ma in questi tempi di crisi, la richiesta di liberalizzazione del mercato del gas si fa particolarmente pressante.
"E' urgente mettere a disposizione dei soggetti industriali parte della capacità d'importazione inutilizzata sui gasdotti Transitgas e Tag (provenienti dal Nord Europa e dalla Russia)", sollecita Confindustria Ceramica. L'idea è quella di una concessione interrompibile, che possa essere restituita in qualsiasi momento al titolare, nel caso abbia necessità di utilizzarla. In questo modo i grandi consumatori di gas, riuniti in consorzio, potrebbero già oggi acquistare materia prima sui mercati europei e aumentare così la liquidità e la competitività del mercato italiano, senza danneggiare le prerogative dell'Eni, proprietario di Snam Rete Gas, cui si riconoscerebbe il diritto di rioccupare con il suo gas le quote di capacità concessa, in caso di necessità per il sistema.
12 settembre 2011
A Marcoule salta un inceneritore, non una centrale nucleare
7 settembre 2011
Le vie della mobilità sostenibile sono (quasi) infinite
Dall'auto elettrica alla bicicletta, dal car-sharing ai mezzi pubblici: le vie della mobilità sostenibile sono (quasi) infinite. L'importante è ridurre l'inquinamento dei motori a combustione interna nelle aree più densamente popolate, quelle dove oggi si concentra maggiormente. Se è vero che le città, come dice l'economista di Harvard Ed Glaeser, sono la migliore invenzione dell'umanità, è anche vero che rischiano di diventare invivibili se non si applicheranno soluzioni di mobilità intelligente, nella prospettiva di una rapida crescita della popolazione urbana: saremo 9 miliardi nel 2050, all'80% concentrati nelle metropoli. E quindi cerchiamo di non soffocarle con i nostri tubi di scappamento.
"In centro senza la macchina!" è appunto lo slogan della European Mobility Week, che si svolge dal 16 al 22 settembre e a cui partecipano 25 città italiane. Per aderire, bisogna dimostrare di aver adottato una qualsiasi misura in favore del trasferimento permanente di spazi urbani dalle auto ai pedoni, alle bici o al trasporto pubblico. E questo sta diventando il punto centrale dell'azione di molti sindaci che dettano l'agenda della sostenibilità in Europa e oltre. La vivibilità cittadina, infatti, non si compone di una singola misura, ma di una serie di buone pratiche applicate a tappeto per molti anni. E' il caso di Zurigo, che vanta una ripartizione modale del 63% su trasporto pubblico e solo del 25% su auto privata, o di Copenhagen, dove il 36% della mobilità urbana si risolve con la bici (26% in auto), ma anche di New York, dove un fiume di pendolari si riversa su Manhattan via treno o via traghetto. I tre modelli sono diversi, ma puntano nella stessa direzione: abbassare il più possibile la quota di auto private circolanti nello spazio urbano. All'altro capo della graduatoria, in Europa, si collocano Torino e Palermo, con una prevalenza del 79 e 78% dell'auto privata sulle altre opzioni di mobilità, contro il 5 e il 9% del trasporto pubblico. Milano è una via di mezzo, con il 47% di auto private nella ripartizione modale, non lontano da Roma (53%), Madrid (48%) e Budapest (46%). Tra i casi più virtuosi, oltre a Zurigo e Copenhagen, troviamo Berlino e Vienna (31%).
A New York, solo il 24% dei pendolari usa la macchina per arrivare in ufficio: il 41% usa la metropolitana, il 12% l'autobus e gli altri vanno in bici, in treno o in traghetto. La metropolitana è talmente importante per gli abitanti della Grande Mela, che è sempre in funzione, 24 ore su 24, così come il treno dei pendolari che viene dal New Jersey, il Path. I newyorkesi macinano complessivamente oltre 18 miliardi di miglia sui mezzi pubblici ogni anno, contro i 2,8 miliardi degli abitanti di Los Angeles e i 2,2 miliardi dei cittadini di Chicago. L'alta incidenza dei trasporti pubblici sulla mobilità cittadina ne fa una delle città più efficienti del mondo industrializzato: il consumo pro-capite di idrocarburi equivale alla media americana del 1920.
Stesso discorso vale per Zurigo: la capitale finanziaria della Svizzera è considerata un modello a livello globale per la funzionalità dei suoi mezzi pubblici, che attirano il 63% degli spostamenti. Questa prevalenza è stata ottenuta migliorando costantemente l'offerta e coordinando le 41 diverse compagnie di trasporti pubblici di tutta la regione, che insieme gestiscono 262 linee, per 2300 chilometri complessivi, con un unico biglietto comune. Corine Mauch, prima donna e primo sindaco apertamente gay a guidare la più grande città elvetica, ha incentrato sul trasporto pubblico la sua campagna elettorale nel 2008, promuovendo un referendum per ancorare nella Costituzione cittadina il concetto di società a 2000 watt, passato a larga maggioranza. Mauch applica una politica sempre più restrittiva sui parcheggi in centro, dove ormai si può lasciare la macchina solo per un'ora, pagando tariffe salatissime e con la certezza di una multa in caso di inadempienza. Copenhagen, la città campione mondiale della bici, dove solo il 26% dei tragitti cittadini si copre in auto, non è da meno: la difficoltà di lasciare la macchina e la certezza della pena rappresentano un deterrente formidabile per gli automobilisti. Ma in ultima analisi, quello che conta di più è la fierezza degli abitanti nel perseguire uno stile di vita che rende l'aria più respirabile e consegna ai posteri una metropoli dove fa piacere abitare.
5 settembre 2011
Battaglia d'autunno per l'auto elettrica
2 settembre 2011
Embargo al petrolio siriano: l'Italia resiste
Con l'embargo al petrolio siriano, decretato oggi in sede europea, l’Italia resta a secco di un'altra importante fonte di approvvigionamento. Mancano già all’appello le forniture libiche, pari al 23% del nostro fabbisogno. A queste si andrà a sommare un altro 3% che proveniva dalla Siria. Ammanco a cui negli ultimi mesi si sta facendo fronte ricorrendo sempre più ai fornitori dell’Est, Azerbaijan in testa.
L’embargo all’acquisto, importazione e trasporto di greggio e prodotti petroliferi dalla Siria metterà a dura prova il regime di Bashar al Assad. La Ue assorbe, infatti, il 95% del petrolio siriano, di cui un terzo finisce in Italia. Da qui la richiesta italiana, ignorata da Bruxelles, di posticipare il bando alla fine di novembre, allo scopo di salvaguardare i contratti già in essere tra imprese europee e siriane. Non a caso, in cima agli acquirenti c'è TotalErg. L'export di greggio contribuisce per quasi un terzo alle entrate del governo di Damasco.