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30 novembre 2011

Messaggio da Wall Street: Datevi una mossa!

UN’ALTRA batosta per i titoli di Stato italiani, con il nuovo BTp triennale collocato ieri a un rendimento record del 7,89%.
E allora, cosa significa? I mercati puntano sul default imminente dell’Italia?


«Il mercato sta scontando una probabilità del 30-40% che l’Italia vada in default nel giro di tre mesi. Un aumento del tasso d’interesse del 2% equivale a un maggior costo di servizio del debito di 7 miliardi di euro all’anno, cioè 80 miliardi fino a scadenza. L’Italia può emettere titoli di debito a questo costo al massimo per tre-quattro mesi, non di più», risponde Ruggero De Rossi, operatore a Wall Street sui debiti sovrani.
Quindi il cambio di governo non è servito a nulla? «Qui siamo tutti estremamente delusi dalla mancanza di determinazione di questo nuovo governo italiano. E’ difficile capire perché un premier che ha il pieno consenso di tutto il Parlamento tranne la Lega non abbia ancora agito a due settimane dall’insediamento, in una tale situazione di emergenza».
Beh, diamogli almeno il tempo di nominare i ministri... «Qui non è questione di nomine, ma di decisioni da prendere. Le decisioni, data la situazione, possono essere assunte anche da una persona sola, basta che siano quelle giuste. Invece le voci che corrono ci fanno temere il peggio».
In che senso? «Facendo un rapido calcolo, qui stiamo andando verso una manovra da 10-11 miliardi di euro. Ma non avevamo bisogno di un governo di tecnici per produrre un intervento così ridotto. Di fronte a una ricchezza complessiva degli italiani stimata a quasi 8mila miliardi di euro, una mini-patrimoniale dello 0,5% sui patrimoni al di sopra di un milione di euro non può avere alcun effetto. Per di più, non mi sembra sia prevista una vera riforma del mercato del lavoro, per renderlo più flessibile, togliendo l’articolo 18».
Suggerimenti? «Se il governo italiano vuole salvare il Paese dalla bancarotta, ci vorrebbe una patrimoniale del 5%, non dello 0,5%, colpendo solo i grandi patrimoni naturalmente. In questo modo si otterrebbe anche una ridistribuzione della ricchezza, molto opportuna in un Paese dove il fisco perde ogni anno, per colpa dell’evasione, almeno il 20% delle entrate che gli sono dovute».
Il 5%? Sarebbe una mazzata colossale... «Sempre meglio che andare in default. Quando è andata in bancarotta, l’Argentina ha dovuto svalutare del 70% la sua moneta, quindi i suoi abitanti hanno perso il 70% del loro patrimonio, altro che 5%! Questo sì che sarebbe un danno colossale per l’Italia. Disastri di questo tipo bloccano un Paese per dieci o vent’anni».
L’Europa non può proteggerci? «Certo, si può sempre ricorrere alla Bce per ridurre il debito e ricapitalizzare le banche. Ma in quel caso l’Italia dev’essere disposta a perdere la propria sovranità fiscale. Non sarebbe meglio cercare di salvarsi da soli?».

28 novembre 2011

La Cina fa shopping nel Regno Unito, l'Italia resta scettica

China Investment Corporation, fondo sovrano di investimenti cinese, ha deciso di investire nelle infrastrutture europee, per stimolare la crescita economica globale. Lou Jiwei, presidente del Cic, parte dall'alta velocità inglese, in particolare dalla linea destinata a collegare Londra con il Nord del Paese: il progetto ha attirato l'attenzione del colosso di Pechino, che ha in tasca 410 miliardi di dollari di risorse (quasi l'equivalente del fondo salva-Stati europeo, tanto per dare un'idea delle dimensioni). Il cancelliere dello Scacchiere George Osborne, che sta cercando all'estero le risorse per rilanciare le infrastrutture inglesi, si è già detto aperto all'offerta cinese. Londra non ha certo paura di farsi "soffiare sotto il naso" pezzi importanti dell'economia nazionale, infatti è sempre ai primi posti nella classifica globale degli investimenti esteri. L'Italia, invece, è sempre agli ultimi posti, intralciata dalle eterne pastoie nazionalistiche che hanno impedito la realizzazione di un rigassificatore finanziato da British Gas, che hanno ritardato di anni l'internazionalizzazione di Edison o la cessione della compagnia di bandiera a Lufthansa (per venderla poco dopo, e peggio, a AirFrance). Ora la Cina busserà alla nostra porta per Eni, Enel e Finmeccanica. Potrebbe essere un'opportunità per tagliare il debito e magari anche qualche dirigente corrotto. Nessun dubbio sul tenore della risposta.

15 novembre 2011

Deaglio, cominciamo da una patrimoniale mirata

Non c'è da meravigliarsi, per Mario Deaglio, se l'Italia resta al centro della bufera anche dopo la svolta politica che ha portato alle dimissioni di Silvio Berlusconi. "Per forza, i mercati avevano creduto che la strada di Mario Monti corresse parallela a quella di Papademos in Grecia, invece poi hanno capito che Monti avrà molte più resistenze e difficoltà da superare, per cui lo spread con la Germania ha ripreso a salire", spiega l'economista torinese alla presentazione del sedicesimo Rapporto sull'economia globale e l'Italia, promosso dal Centro Luigi Einaudi insieme a Ubi Banca e da lui curato. "Come stupirsene - aggiunge Deaglio - dopo le dichiarazioni di alcuni esponenti del centro destra?" 

E' chiaro, in base al suo studio, che l'Italia si avvia in ogni caso verso un periodo difficile. "C'è stato un rimbalzo, non una vera ripresa, con le vendite delle imprese basate soprattutto sul magazzino e la produzione ancora ferma, com'è tipico della false riprese", rileva. "Sul lungo periodo, bisognerà decidere seriamente su cosa vuole puntare questo Paese", continua Deaglio. "Un tempo le innovazioni tecnologiche italiane in tutti i settori chiave, dalla chimica all'informatica, dall'energia all'automotive, contribuivano a orientare le prospettive future dell'umanità. Eravamo centrali nel panorama mondiale della produzione industriale. Oggi ci siamo ritirati in una nicchia, dove facciamo prodotti che tutti ci invidiano, ma che non spostano i destini del pianeta. Possiamo anche continuare a fare solo borsette, ma dobbiamo essere consapevoli della posizione marginale in cui rischiamo di essere collocati", fa notare con tristezza.
Le prospettive non sono rosee nemmeno per l'Europa, che rischia l'irrilevanza rispetto ai nuovi equilibri che si vanno formando nellarea del Pacifico. Ma soprattutto, nell'immediato, l'Europa rischia fortemente la perdita dell'unità monetaria. Dei quattro scenari possibili delineati dallo studio, solo quello più roseo potrebbe salvare la moneta unica. Già nel secondo scenario, Deaglio vede come probabile la divisione dell'unione monetaria almeno in due aree, quella dell'euro Nord e quella dell'euro Sud. "Se la tempesta dei mercati restasse concentrata solo sull'Italia, l'unione monetaria potrebbe ancora cavarsela, ma se si abbatterà anche sulla Francia, così come sembra, il destino dell'euro è segnato", precisa Deaglio. Nei due scenari più pessimistici, poi, per la moneta unica non c'è scampo. Se le soluzioni "alla Monti" non dovessero funzionare, l'unica via d'uscita sarebbe la ristrutturazione programmatica dei debiti pubblici, per evitare un default disordinato. "Sembra un'enormità, ma in realtà l'Italia l'ha già fatto due volte nel secolo scorso, con Giolitti e con Mussolini".
Per quanto riguarda la missione del governo Monti, "non c'è dubbio che al primo posto bisogna mettere il recupero della seggiola che abbiamo perso nei vertici decisivi a Bruxelles". L'Italia pesa molto sul Pil dell'Unione Europea: "Non è possibile che non abbiamo voce in capitolo sulle decisioni fondamentali". Ma per riguadagnare la credibilità necessaria, bisogna rimettere sui binari il sistema Italia che stava deragliando. Come? Patrimoniale chirurgica, vendita delle riserve auree, taglio alle spese militari. E poi interventi forti sul mercato del lavoro, dove Deaglio stima una disoccupazione olrmai arrivata a 6 milioni, il doppio di quella ufficiale. Su un mercato così ingessato bisogna intervenire con misure strutturali, anche eliminando l'articolo 18. "Altrimenti le nostre imprese andranno a fondo insieme ai lavoratori".

9 novembre 2011

Bordignon: la solvibilità dell'Italia è in dubbio

"Se continua così andiamo in fallimento". Massimo Bordignon, docente alla Cattolica ed ex-membro della Commisione tecnica sulla spesa pubblica presso il ministero del Tesoro, sa di che cosa parla.

Cosa comporta per i conti pubblici un rendimento dei Btp oltre il 7%?
"Un premio di rischio così alto mette in questione la solvibilità del Paese in quanto tale. In pratica, se gli investitori scappano dai titoli di Stato italiano, come sta succedendo adesso, lo Stato non riesce più a finanziarsi sul mercato e quindi non può più pagare gli stipendi pubblici, le pensioni e via dicendo. Se lo Stato non è più solvente, va in fallimento".
Ma quando si arriva a un punto di non ritorno?
"Questa è la domanda da un milione di dollari. Se fossimo capaci di dare la risposta giusta, potremmo guadagnarci sopra un sacco di soldi. Non si può sapere con precisione quando la fuga degli investitori diventa precipitosa e la situazione deraglia. Però ci siamo molto vicini".
C'è modo di bloccare questo processo?
"E' molto difficile: per bloccare questo processo bisognerebbe ridare fiducia agli investitori, in modo che smettano di scappare dai nostri titoli di Stato. E quindi servirebbe un governo tecnico che mettesse dalla stessa parte il 70% del Parlamento, per prendere una serie di provvedimenti impopolari, come il taglio delle pensioni o la patrimoniale. Se non c'è un governo di larghe intese, i provvedimenti impopolari non si riescono a fare, perché chi è al governo teme sempre di far guadagnare troppi consensi all'opposizione. Mentre se i provvedimenti si prendono insieme, con il concorso di tutti, questo problema non c'è".
Ma se non si riesce a convincere gli investitori, c'è qualche altra soluzione?
"Ci vorrebbe una barriera di protezione che consentisse all'Italia di finanziarsi anche senza andare a chiedere soldi alle condizioni di mercato, ma con tassi d'interesse più bassi. Per fare questo, però, Francia e Germania dovrebbero prendere una decisione chiara, che finora non hanno preso. L'unica che al momento potrebbe fare un'operazione di questo tipo è la Bce, perché è l'unica che ha i soldi per farlo".
E il fondo salva-Stati?
"Ma no, il fondo salva-Stati non ha abbastanza soldi per salvare l'Italia. Al massimo può servire per la Grecia o per il Portogallo. E poi per ampliare il suo budget si sono affidati a tecniche di finanza creativa, figuriamoci..."
Quindi l'unica difesa è la Bce?
"Se la Bce annunciasse ai mercati 'stanziamo mille miliardi per comprare titoli di Stato dei Paesi sotto attacco', il problema sarebbe risolto".
Ma in fondo lo sta già facendo...
"Non abbastanza. E non in maniera pubblica. Se potesse stanziare una cifra sostanziosa e fare un annuncio chiaro, innalzerebbe una barriera di difesa sufficiente per proteggerci".

4 novembre 2011

Zingales: ritorna in scena l'euro a due velocità

Che cosa succede se la Grecia va in default? Questa è la domanda del giorno: sembra banale, ma nessun economista ha una risposta certa. "In un mondo ideale, non dovrebbe succedere nulla", risponde Luigi Zingales, uno dei più quotati economisti italiani, professore all'università di Chicago e autore insieme a Raghuram Rajan di "Salvare il capitalismo dai capitalisti".

Come nulla?
"Ma sì, nulla. Prima di tutto le dimensioni dell'economia greca sono molto contenute, per cui non è un gran danno. E poi ormai lo sanno anche i bambini delle elementari che la Grecia è in bancarotta, quindi tutti dovrebbero aver già preso le proprie precauzioni".
Fa bene a usare il condizionale, perché sappiamo che non è così.
"Purtroppo non è mai così. Anche quando c'è stato il crack Lehman, lo sapevamo tutti, ma non tutti avevano preso le precauzioni del caso. Il Reserve Fund, ad esempio, aveva in tasca centinaia di milioni di titoli emessi da Lehman quando la banca è andata in fallimento. Questo ha generato il panico sui mercati monetari, causando una fuga disordinata degli investitori, che ha messo in moto la crisi finanziaria in cui ci troviamo ancora".
Potrebbe scattare un meccanismo analogo anche con il default della Grecia?
"Potrebbe. Il problema è che non sappiamo con certezza quanti titoli greci abbiano in tasca le banche, soprattutto quelle francesi. La reazione di Nicolas Sarkozy, così radicalmente contraria al fallimento della Grecia, può essere interpretata in molti modi. Il più facile è che lui invece lo sappia. La preoccupazione di Sarkozy, quindi, mi preoccupa".
Quindi ci avviciniamo a un nuovo settembre 2008?
"Peggio, direi. Allora si diceva che lo Stato poteva risolvere il problema. Oggi è lo Stato all'origine del problema. Purtroppo il sistema bancario europeo è legato a doppio filo ai debiti sovrani, perché la Bce ha spinto le banche a comprarne tanti. Ma alla fine questo potrebbe diventare un abbraccio mortale per tutti e due".
Se la Grecia andasse in default, dovrebbe uscire dall'euro?
"Non necessariamente, anzi, direi che è improbabile. Per la Grecia resuscitare la dracma avrebbe un solo vantaggio: potrebbe svalutare la sua moneta, quindi aumentare la competitività dei suoi prodotti e dare un po' di fiato alla sua economia. Ma non dimentichiamo che per uscire dall'euro la Grecia dovrebbe anche rinominare in dracme tutti i suoi debiti. Finché si tratta di debiti sovrani, questo si può ancora fare. Ma i debiti fra privati non possono cambiare valuta e quindi le società private greche si troverebbero ad avere entrate in dracme, molto svalutate, e debiti in euro, insostenibili. Tutte le grosse società greche, quindi, andrebbero subito in bancarotta".
Quindi uscire dall'euro le costerebbe troppo caro?
"Esattamente. L'opzione meno costosa, per la Grecia e anche per l'Italia in caso venisse travolta dal panico sui mercati, sarebbe di sdoppiare l'eurozona in un euro Nord e un euro Sud. Questo non comporterebbe dei fallimenti a catena".
Ma sarebbe comunque un'ipotesi molto estrema...
"Sì, molto estrema. Con conseguenze di vastissima portata".
Quante probabilità ci sono che questa opzione si avveri?
"Non vorrei fare l'uccello del malaugurio, anche perché di solito ci piglio. Ma sul mercato delle scommesse si dà al 40% la probabilità che un Paese dell'euro esca dall'eurozona entro la fine del 2012. Quindi si tratta di un'eventualità abbastanza realistica".

2 novembre 2011

De Rossi: la fiducia dei mercati nell'Italia è scaduta

"La fiducia dei mercati nell'Italia non esiste più". E' l'amara constatazione di Ruggero De Rossi, che da Wall Street osserva la discesa agli inferi del suo Paese. De Rossi, definito 'genio dei bond' dall'autorevole settimanale americano Barron's per le ottime performance del suo fondo Tandem Global Partners, è convinto che non ci siano soluzioni per l'Italia senza un rapido cambio di governo.


Lei sta vendendo titoli italiani?
"Certamente: il profilo di rischio dei miei clienti non mi consente di tenere titoli così rischiosi in portafoglio".
E non è l'unico. Ma perché li considerate così rischiosi?
"Perché le probabilità per l'Italia di andare in default sono ormai alte".
Malgrado i provvedimenti promessi da Berlusconi a Bruxelles?
"Berlusconi ha presentato una serie di misure utili, ma il problema è che vanno implementate. Rapidamente. Ma è possibile far passare in tempi rapidi una legge per rendere più flessibile il mercato del lavoro italiano? Non credo. Berlusconi non ha né la volontà politica né la maggioranza numerica per farlo. E questo i mercati lo sanno. I mercati non credono alle promesse vuote".
Che cosa vorrebbero sentire?
"Vorrebbero sentire che domani Berlusconi liberalizza il mercato del lavoro italiano, dopodomani taglia in maniera consistente la spesa pubblica e il giorno dopo ripristina l'Ici. Non fra sei mesi o un ann, perché fra sei mesi o un anno l'Italia sarà già andata in default e non servirà a niente".
E quindi qual è la soluzione?
"Mandare a casa un governo che ormai non ha più credibilità e insediarne un altro di transizione, che faccia uno sforzo bipartisan per far passare rapidamente le riforme che servono per ridurre il debito pubblico, portare il Paese alla crescita e strada facendo ricapitalizzare le banche italiane".
Ma come, le banche italiane non passano per essere in condizioni migliori di tante altre banche europee?
"Questo ci viene detto dalla Banca d'Italia, ma perché dovremmo crederle quando abbiamo appena appreso che l'ex-governatore è stato condannato a tre anni e mezzo di galera? Anche lui sosteneva che le banche italiane sono sane, soprattutto la Popolare di Lodi di Gianpiero Fiorani, ma avremmo fatto bene a credergli? Non mi sembra".
E' per questo che le banche italiane precipitano in Borsa?
"Certo. Il problema è che la ricapitalizzazione delle banche è strettamente legata alla ristrutturazione del debito greco. Senza l'una non si può fare l'altra, perché non si saprebbe di quanto ricapitalizzarle".
E se la Grecia dovesse andare a referendum?
"Se la Grecia dovesse davvero andare a referendum, sarebbero guai grossi per l'Italia. Un referendum ci farebbe perdere altri due mesi. Due mesi nei quali Atene sarebbe sicuramente destinata ad andare in default, perché in breve tempo lì finiranno i soldi. E comunque finirebbe per uscire dall'euro, per non accollarsi i sacrifici necessari a starci dentro oppure spinta dal default".
E l'Italia cosa c'entra?
"Uno dei commenti più pazzeschi che ho sentito durante il fine settimana è stato quello di Berlusconi sull'euro, definita 'una moneta strana'. Uscita la Grecia dall'eurozona, è evidente che i mercati si aspetteranno l'effetto contagio. E chi ci assicurerebbe che non faccia la stessa fine anche l'Italia? Con dei commenti così da parte del suo presidente del Consiglio, direi nessuno".

1 novembre 2011

Perotti: gli investitori non si fanno prendere in giro

Dopo l'euforia post-vertice di Bruxelles, con i mercati in festa, per l'Italia è arrivata la doccia fredda dell'asta Btp, con i rendimenti alle stelle: per comperare i titoli italiani, gli investitori chiedono di più. "Evidentemente si sono accorti che il vertice di Bruxelles non ha risolto tutto", commente Roberto Perotti, l'economista della Bocconi che insieme a Luigi Zingales ha stilato un decalogo di misure per portare subito in pareggio i conti pubblici italiani.


Che cos'è successo?
"E' successo che chi investe in titoli di Stato italiano non si fa prendere in giro dalle operazioni di marketing di Angela Merkel e Nicolas Sarkozy: al vertice di Bruxelles hanno suonato la grancassa sulla moltiplicazione dei soldi a disposizione del fondo salva-Stati, ma in realtà i soldi sono sempre gli stessi, 250 miliardi, e non è vero che si possono moltiplicare per quattro".
Quindi ci hanno detto una bugia?
"Hanno cercato di tranquillizzare i mercati, ma in realtà è chiaro a tutti che il fondo non sarebbe in grado di salvare l'Italia o la Spagna, se venissero giù. Quindi il vertice di Bruxelles ha raggiunto alcuni risultati, ma non ha messo la parola fine al problema".
Quali sono le implicazioni per l'Italia?
"Quelle che vediamo. Rendimenti più alti significa maggiori costi per il servizio del debito, che gravano sul bilancio dello Stato. Alla lunga il peso potrebbe diventare insostenibile".
Come ridurli?
"Dando ai mercati un segnale chiaro: l'Italia deve fare un aggiustamento di bilancio più marcato di quello che ha fatto fino ad oggi, perché la Germania, la Francia, l'Olanda e gli altri non pagheranno per noi se andiamo in default. Dobbiamo farcela da soli".
E la lettera di Berlusconi?
"Anche quella è un'operazione di marketing. Sono buoni propositi, ma non sono realistici. Non è possibile che la Merkel non si renda conto che i problemi di bilancio dell'Italia non si possono risolvere con una lettera scritta in 3 ore, se non li abbiamo risolti in 15 anni..."
Nella pratica, cosa si aspettano i mercati?
"Fatti, non parole. Non ci vuole moltissimo, non è che ci chiedano un taglio delle spese macroscopico, come quello fatto ad esempio dall'Indonesia nel '97, ma bisogna tagliare la spesa almeno del 2-3% del Pil, con provvedimenti decisi".
Ad esempio?
"Nel nostro decalogo ne elenchiamo vari, ma su una spesa pubblica che pesa il 48% del Pil, qualsiasi taglio alla macchina dello Stato va bene: i costi della politica, gli stipendi dei dipendenti pubblici, la sanità, le pensioni, le grandi opere, i sussidi alle imprese. Si è fatto l'esempio di dimezzare i deputati: va bene anche quello. L'importante è dare un segnale concreto, deciso, anche se la ricaduta economica sul Pil è modesta. Basta far vedere che qualcosa si muove".