23 dicembre 2012
Gli scozzesi corrono con il vento
2 dicembre 2012
Parigi chiama Berlino: nasce l'Airbus delle rinnovabili?
22 novembre 2012
Le utilities hanno il mal di rating: è il nuovo che avanza
14 maggio 2012
Architettura biomimetica per risparmiare risorse
Tra gli architetti che si occupano dei temi del design per la sostenibilità ambientale prevale la consapevolezza condivisa che per trasformare in modo realmente sostenibile il nostro modello di sviluppo sia diventato sempre più importante conoscere i sistemi naturali e apprendere le loro strategie evolutive, imparando dalla natura a operare, progettare e produrre senza spreco, senza rifiuti e emissioni, trasformando anzi i rifiuti in nuove risorse in un sistema a cascata estremamente efficiente. Di qui l'attenzione verso le strategie virtuose per la sopravvivenza e l'evoluzione dei sistemi biologici, che spesso si possono applicare anche allo sviluppo di soluzioni progettuali e tecnologiche innovative e sostenibili. Quest'attenzione non è una novità: già le case di Frank Lloyd Wright s'inserivano nella natura come pietre appoggiate nel deserto, con sistemi di costruzione, d'illuminazione e di ventilazione il più possibile naturali. La bioarchitettura, che si occupa della progettazione di edifici costruiti solamente con materiali edili non nocivi e tecnologie costruttive non dannose per la salute e per l'ambiente, facendo ricorso a materiali naturali o riciclabili, è ormai un metodo consolidato. Le case passive, che assicurano il benessere termico senza utilizzare impianti di riscaldamento convenzionali, sfruttando la somma degli apporti passivi di calore dell'irraggiamento solare trasmessi dalle finestre per compensare le perdite dell'involucro durante la stagione fredda, stanno diventando case attive, che producono più energia di quella che consumano con vari sistemi di generazione elettrica da fonti rinnovabili. Ma ora, partendo da tutte queste conoscenze, con i nuovi materiali a disposizione, l'architettura comincia a fare un passo ancora più in là.
11 maggio 2012
Celle double-face e vetri solari: il fotovoltaico si fa in quattro
Per restare a galla in questo mercato in tumultuosa evoluzione, va da sé che la creatività nell'innovazione è di cruciale importanza. Chi riuscirà a industrializzare ora le killer application di domani, è destinato a dominare la scena per molti anni a venire. Lo sforzo della ricerca si concentra in particolare sull'ulteriore miglioramento del rapporto fra efficienza e costo del modulo fotovoltaico. Il basso valore di questo rapporto rispetto ad altre fonti energetiche si traduce in un alto costo per kilowattora prodotto, almeno nel periodo di ammortamento dell'impianto, e costituisce il limite più forte all'affermazione su grande scala di questa tecnologia. Quindi la ricerca si indirizza verso la scoperta di materiali semiconduttori e tecniche di realizzazione che coniughino il basso costo con un'alta efficienza di conversione.
9 maggio 2012
La torre ecologica di Renzo Piano svetta sull'Europa
The Shard svetta sullo skyline di Londra con i suoi 310 metri d'altezza, come una gigantesca scheggia di vetro. L'ultima fatica di Renzo Piano è ormai completa e si avvicina a grandi passi all'inaugurazione, il 5 luglio, appena in tempo per assistere ai giochi olimpici, dal suo punto di vista privilegiato. Questa piramide scintillante che s'innalza dalla riva Sud del Tamigi a sovrastare tutta l'Europa, superando l'attuale primato della Commerzbank Turm di Francoforte, rappresenta il simbolo di un modo di costruire che unisce l'innovazione tecnologica più estrema alla sostenibilità ambientale. Richard Mawer, uomo chiave del team di Piano per la progettazione strutturale, è convinto che sia questo il futuro delle città: solo l'altezza unita all'attenzione per l'efficienza energetica e a uno sviluppo urbano basato sui trasporti pubblici può rispondere alla domanda crescente di spazio abitativo senza sprecare le risorse limitate che abbiamo a disposizione.
Partiamo dallo sviluppo urbano. Spesso le torri così alte diventano "simboli arroganti e aggressivi del potere, egocentrici ed ermetici", come ha detto lo stesso Renzo Piano presentando il progetto. Non finirà così anche questa?
"No. The Shard s'inserisce in maniera organica dentro Southwark, il nuovo quartiere di Londra che si sta ridisegnando attorno alla London Bridge Station, uno dei cinque maggiori snodi infrastrutturali della città. Southwark era considerato fino a pochi anni fa solo un'immediata periferia industriale dismessa e ora è uno dei posti più gettonati della città, con la Tate Modern di Herzog & De Meuron, il Neo Bankside di Richard Rogers, il Bourough Market, il More London di Foster e il Riverside Walkway, che conduce fino al Design Museum di Joseph Conran. La nuova torre è stata progettata proprio per incrementare la densità di quest'area in pieno sviluppo".
I frequentatori di questa piccola città verticale come ci arriveranno?
"La torre è servita da una linea di metropolitana, sei linee ferroviarie e quattordici linee d'autobus. Dovrebbero essere abbastanza per le settemila persone che ci lavoreranno e i 200mila utenti che graviteranno ogni giorno sui negozi, uffici, alberghi, teatri, bar, ristoranti, sul museo e la galleria panoramica. All'intera costruzione sono stati assegnati soltanto 50 posti auto".
E con tutto questo vetro, non si morirà di caldo come in una serra, facendo schizzare alle stelle i consumi energetici per la climatizzazione?
"Al contrario, la doppia pelle della facciata passiva è stata realizzata in vetro a basso contenuto di ferro, con una serie di accorgimenti che consentiranno di risparmiare il 35% dell'energia normalmente necessaria per riscaldamento e raffreddamento. Delle aperture operabili sulla facciata consentono la ventilazione naturale dei giardini d'inverno inseriti lungo tutto l'edificio".
8 maggio 2012
Un giacimento nascosto che non sappiamo sfruttare
6 maggio 2012
Sorpresa, l'Italia quest'anno rientra nei parametri di Kyoto
26 aprile 2012
I cinesi vogliono Vestas, campione malato del vento europeo
28 marzo 2012
L'Italia fa dietro front sul solare come tedeschi e spagnoli
18 marzo 2012
Gottardo in dirittura finale, ma in Val di Susa si combatte
12 marzo 2012
Il gas degli stoccaggi Eni? Meno di un terzo è estraibile
21 febbraio 2012
Berlino, Silicon Allee del Vecchio Continente
"Le buone idee hanno bisogno di un contesto ricco di nutrimento per realizzarsi: la Technische Universitaet sta facendo un lavoro fantastico per promuovere la creatività degli informatici e incoraggiare lo spirito imprenditoriale, così le start-up che s'insediano qui hanno facile accesso ai giovani talenti", spiega Niklas Zennstroem, il fondatore di Skype, che ha investito 3,1 milioni di euro nella start-up berlinese 6Wunderkinder con il suo fondo Atomico. "In più, la città dispone di incubatori e parchi tecnologici che aiutano i primi passi delle imprese, mentre gli affitti bassi danno più margine di manovra sul lungo periodo", fa notare Zennstroem. Gli spazi di co-working dilagano in città e il wi-fi libero è sempre più diffuso. Non solo incubatori pubblici, ma anche privati si stanno insediando qui, come Springstar di Klaus Hommels, uno dei finanziatori di Spotify. Hommels concorda con Zennstroem: "Berlino ha una buona probabilità di diventare la Silicon Valley d'Europa". I vantaggi sui costi, ad esempio rispetto a Londra, secondo lui sono determinanti. "Chi vuole aprire una start-up a Londra, deve pagare più del doppio, sia per il personale che per la logistica", fa notare Hommels. Ecco perché negli ultimi due anni si è insediata qui una comunità sempre più numerosa di nuove imprese digitali, non solo tedesche ma anche provenienti dal resto d'Europa.
14 febbraio 2012
Il solare alla resa dei conti del taglio dei sussidi
31 gennaio 2012
A Berlino il taxi si chiama con un clic...
In pochi mesi myTaxi si è diffusa in una trentina di città e 800mila clienti potenziali l'hanno già scaricata gratis, a fronte di settemila taxi registrati fino ad oggi, sui complessivi 50mila circolanti. Ma la nuova tecnologia sta già facendo qualche vittima. L'80 per cento dei tassisti tedeschi, infatti, è affiliato a una centrale di radiotaxi, a cui myTaxi ora sta tagliando l'erba sotto i piedi. Il modello di business introdotto dalla nuova tecnologia rende obsolete le centrali, che in Germania incassano fra i 100 e i 200 euro al mese dai tassisti per i loro servizi. Con myTaxi, invece, non c'è un abbonamento fisso, ma solo una commissione di 79 cent per ogni corsa procurata.
"Facendo i calcoli su un volume d'affari medio, la centrale mi costa almeno tre volte tanto per veicolare lo stesso numero di corse", spiega Thomas Heinrich, tassista berlinese. Per questo le centrali si stanno organizzando con delle applicazioni in concorrenza e in certi casi arrivano perfino a ventilare un divieto di usare myTaxi ai tassisti affiliati. Nonostante le resistenze, l'uso di myTaxi cresce a vista d'occhio: Sven Kuelper e Niclaus Mewes, fondatori di IntelligentApps, ora vogliono espandersi all'estero e hanno aperto agli investitori. Daimler (che produce l'80% dei taxi tedeschi) e Deutsche Telekom hanno risposto subito all'invito, con un'iniezione di 10 milioni di euro. Si prospettano così delle partnership strategiche che potrebbero allargare gli orizzonti del servizio, includendo altri aspetti della mobilità urbana oltre ai taxi, dal car sharing ai servizi di pagamento via smartphone.
Dopo la Germania, le prime tappe sono state Vienna e Zurigo. Adesso Kuepler e Mewes puntano sull'Olanda e sulla Spagna. In febbraio sbarcheranno a Barcellona.
23 gennaio 2012
Concordia: S&P declassa l'Italia, ma non Carnival
21 gennaio 2012
Lirosi, servono liberalizzazioni rapide e concrete
Cosa manca alla "lenzuolata" di Monti?"Abbiamo perso molto tempo e adesso bisogna recuperarlo. Finalmente andiamo verso un provvedimento ampio che inciderà su diversi settori per ridare linfa all'economia reale. Ma è molto importante varare norme chiare, che portino a dei cambiamenti rapidi e reali. Non è il momento di perdersi in chiacchiere".
Partiamo dall'energia, uno dei settori in cui il divario dei prezzi rispetto all'Europa è più eclatante..."Bene la separazione di Snam Rete Gas dall'Eni. Ma perché non renderla immediatamente operativa invece di rimandare di altri sei mesi, a un futuro decreto? Se c'è la volontà politica, questa operazione si può fare anche subito, non ci sono grandi ostacoli tecnici. E darebbe sicuramente fiato alla concorrenza".
E la distribuzione dei carburanti?"Si può fare di più. Qui bisogna proprio cambiare l'assetto del mercato, che è influenzato all'80% dalle compagnie petrolifere. L'obiettivo è una rete distributiva svincolata dai produttori, dove i benzinai siano commercianti puri e anche la grande distribuzione entri nel gioco. Devono diventare una controparte rispetto alle compagnie, in grado di spuntare le migliori condizioni di acquisto del prodotto finito, per poi offrire al pubblico il prezzo più concorrenziale. L'intervento che si profila, invece, è parziale. Il numero degli esercizi cui si applicherebbe l'eliminazione dell'esclusiva è esiguo, sembra una marcia indietro rispetto alle prime bozze".
A proposito di commercio: le farmacie?"Qui manca la liberalizzazione dei farmaci di fascia C, che è l'unico mezzo per inoculare un po' di concorrenza su questo mercato. Aumentare il numero delle farmacie non basta, bisogna puntare a istituire due canali diversi in competizione l'uno con l'altro. Con 5mila farmacie in più, si rischia di far solo aumentare il numero dei monopolisti e di far saltare la rete delle parafarmacie. Così, invece che abbatterli, i prezzi aumenteranno".
Passiamo alle assicurazioni: Rc auto?"Qui ci vuole una riforma complessiva del mercato, che va ripensato insieme alle compagnie. L'assurdo sistema del bonus-malus, che è diventato un malus-malus, va completamente rivisto. Se il 97% degli automobilisti sta nelle prime tre classi di merito vuol dire che siamo quasi tutti automobilisti virtuosi, eppure paghiamo sempre di più lo stesso. Va detto, inoltre, che il sistema della scatola nera non funziona: è costoso e in base alle sperimentazioni non porta a grandi risultati".
Altre perplessità?"Bisogna vedere l'impianto definitivo dei provvedimenti: il diavolo sta nei dettagli, soprattutto in materia di liberalizzazioni. Peccato, però, aver fatto girare le bozze giorni prima, in questo modo aumentano le pressioni e si rischia di annacquare le norme".
18 gennaio 2012
La bolletta è sempre più verde? Ma i dati non sono realistici
FONTI - "Per giudicare quant'è verde un produttore, l'unico parametro serio è analizzare con quali fonti alimenta le sue centrali, che siano gas, petrolio, carbone, acqua, vento o sole", commenta Davide Tabarelli, di NomismaEnergia, che ha stilato la graduatoria. Non sempre, però, il merito di produrre energia pulita risulta evidente. A partire dalla prossima bolletta, grazie a una delibera dell'Authority, il consumatore che compera energia verde dovrà ricevere l'indicazione del mix di fonti energetiche utilizzato per la sua fornitura, oltre all'informazione sul mix tecnologico complessivo dell'energia venduta, già obbligatoria nei confronti di tutti i clienti. Il nuovo provvedimento fa parte di un insieme di regole a favore della trasparenza, promulgate dall'Autorità presieduta da Guido Bortoni per garantire che l'energia elettrica acquistata come "verde" sia effettivamente prodotta con fonti rinnovabili e non venga commercializzata più volte. Ma questo dato, che i consumatori potranno leggere in bolletta, è facilmente manipolabile perché non rispecchia la produzione effettiva delle singole aziende, che possono gonfiarlo comprando quote di energia verde sul mercato.
QUOTE - "La certificazione dell'energia immessa in rete come rinnovabile è un dato teorico, perché gli elettroni sono tutti uguali, non cambiano colore a seconda della fonte di origine", spiega Gerardo Montanino, direttore operativo del Gestore Servizi Energetici. Il Gse è l'unico ente di certificazione delle garanzie d'origine dell'energia venduta ai consumatori e in questa veste garantisce che "la composizione del mix medio nazionale utilizzato per la produzione dell'energia elettrica immessa nel sistema italiano nel 2010" comprenda un 35,2% di fonti rinnovabili. Da cosa dipende la discrepanza fra le due quote, quella del 22,8% pubblicata dallo stesso Gse nel Bilancio elettrico italiano e quella indicata nel Mix medio nazionale? Soprattutto dalle importazioni di energia dall'estero. Importazioni che, pur provenendo prevalentemente da Paesi dove la fonte dominante è il nucleare (75% in Francia e 40% in Svizzera), sono misteriosamente certificate dai rispettivi operatori di rete all'80% da fonti rinnovabili. Il che aggiunge di colpo alla produzione nazionale di energia verde, arrivata nel 2010 a 76 terawattora, altri 35 terawattora importati: quasi il 50% in più.
DISTORSIONE - "La qualifica di quell'energia come rinnovabile è discutibile e rappresenta una grave distorsione del mercato", commenta Tabarelli. In più, le aziende elettriche possono arricchire le loro credenziali verdi acquistando quote di produzione dagli operatori specializzati in eolico o fotovoltaico. Così il mix di energia venduta sul mercato libero dall'Enel, ad esempio, si fregia di un 72,5% proveniente da fonti rinnovabili, quando la produzione verde effettiva del gruppo in Italia si aggira sul 38%, composto da un 30,2% di idroelettrico e un 7,6% di altre rinnovabili. Percentuale comunque molto alta rispetto alla media italiana e agli altri produttori, ma ben lontana da quel 72% certificato in bolletta. "Le quote che acquistiamo dagli altri produttori non sono altro che una testimonianza in più della nostra politica di attenzione alle fonti verdi", spiega Gianfilippo Mancini, capo dell'energy management del gruppo. Non è solo greenwashing? "No, perché in questo modo contribuiamo alla crescita delle fonti pulite nel sistema elettrico italiano", fa notare Mancini.
VIRTUOSI - Ma gli esperti da quest'orecchio non ci sentono. "Nella graduatoria delle società più virtuose, non prendiamo neanche in considerazione gli scambi di tipo commerciale certificati dal Gse", precisa Tabarelli. Resta da chiedersi che senso ha imporre l'obbligo di pubblicare in bolletta il mix energetico del fornitore, se poi le informazioni presentate rischiano di essere fuorvianti per il consumatore medio, che non ha certo l'occhio per distinguere i dati della produzione industriale da quelli commerciali. "A quel punto, sarebbe quasi meglio non dire nulla", commenta Alessandro Marangoni di Althesys, casa madre dell'indice Irex, sull'andamento in Borsa delle imprese quotate specializzate in fonti rinnovabili. L'intento dell'Authority non era certamente quello di confondere le idee ai clienti, ma semmai di chiarirle.
14 gennaio 2012
Masciandaro, declassare le agenzie di rating
10 gennaio 2012
Corsa degli investitori al super-Bund
2 gennaio 2012
Energia 2.0, entriamo nell'era della generazione distribuita
"La mini-pala di Renzo Piano è una delle varie iniziative che abbiamo preso per sfruttare al meglio le risorse sul territorio", spiega Francesco Starace, numero uno di Enel Green Power, sempre alla ricerca di strumenti nuovi per produrre energia pulita. Con il prototipo da 55 kilowatt di potenza, che ora verrà sottoposto a un anno di test nelle strutture di collaudo dell'Enel prima di poter essere installato in campo aperto, Starace vuole andare a intercettare i venti che s'incanalano nelle valli, più modesti ma pur sempre efficaci per far girare un alternatore, se le strutture sono abbastanza leggere da coglierli. Non a caso la pala di Renzo Piano è stata soprannominata la "libellula" e potrà dare il suo contributo alla produzione di energia pulita in tutte le situazioni che per le pale grandi non sono remunerative, a partire dalla diga foranea di Genova, dove probabilmente troverà il suo primo utilizzo. Per seguire la sua vocazione nello sfruttamento delle fonti rinnovabili, Enel Green Power ha anche realizzato a Catania, in joint venture con Sharp e StM, uno stabilimento di produzione di pannelli a film sottile, la nuova frontiera del fotovoltaico, che utilizza molto meno silicio per tradurre in elettricità i raggi del sole. Un passo coraggioso per una società leader mondiale nella produzione di energia verde, non di pannelli. "Non vogliamo inventarci un mestiere nuovo, ma se ci mancano gli strumenti per operare al meglio, cerchiamo di colmare il gap", commenta Starace.
La nuova frontiera delle rinnovabili, secondo Starace, sono poi le tecnologie ibride, quelle che mettono assieme diverse fonti per ottimizzare i risultati. "Nei nostri impianti di Reno, in Nevada, stiamo sperimentando un'ibridizzazione fra il geotermico e il solare fotovoltaico, che ci consente di aumentare la potenza proprio negli orari di picco della domanda, quando tutti i condizionatori sono accesi", precisa Starace. In Nevada si prepara un'evoluzione ancora più ardita, con l'aggiunta all'impianto già ibrido del solare termodinamico, l'unica fra le tecnologie solari capace di produrre energia elettrica anche di notte, grazie al fortissimo calore accumulato nei tubi pieni di sali fusi, su cui per tutto il giorno si concentrano i raggi del sole grazie ai grandi specchi parabolici. "Un complesso ibrido di questo tipo aumenta di molto la potenza di un impianto e potrà essere ripetuto anche in altre situazioni analoghe, dove abbiamo molto spazio vuoto, come nel deserto di Atacama in Cile", argomenta Starace.
Nel geotermico di casa nostra, invece, a Larderello in Toscana, lo spazio per grandi centrali solari termodinamiche non c'è. Ma abbiamo le biomasse, in particolare tutti quei resti dell'agricoltura che normalmente vengono buttati e invece potrebbero servire come combustibile per contribuire a far girare le turbine delle centrali elettriche alimentate dal calore della terra. "Su questo abbiamo già un accordo con Coldiretti e Confagricoltura, per stimolare la filiera agroenergetica, che in Italia è ancora poco sviluppata", fa notare Starace. Tutte queste tecnologie esistono già, ma ora si cominciano a immaginare applicazioni sempre più innovative, con ricadute di non poco conto per il sistema elettrico: da un lato un netto miglioramento per la sostenibilità di un comparto che resta fra i principali responsabili delle emissioni a effetto serra; dall'altro lato maggiori spazi di partecipazione dal basso al mercato libero dell'energia elettrica, anche per i piccoli consumatori e produttori, già chiamati in inglese "prosumer". Starà a noi, se ne saremo capaci, il compito di trarne tutti i vantaggi possibili.