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21 febbraio 2012

Berlino, Silicon Allee del Vecchio Continente

C'è una città dove nei caffè girano più iPad che giornali di carta, dove 81 start-up digitali sono state finanziate nel 2011 dai capitalisti di ventura con 136 milioni di euro, dove i quartieri a Nord Est vengono comunemente chiamati Silicon Allee. Ma non è Palo Alto e non siamo in California. Siamo in Germania e la mecca delle start-up è Berlino. La vecchia Berlino del Muro, dove si trasferivano i disoccupati cronici per godere dei sussidi più alti, la Berlino dei grigi funzionari ministeriali, la Berlino "povera ma sexy" del primo sindaco dichiaratamente gay della Germania, Klaus Wowereit, si è trasformata da brutto anatroccolo dell'economia sussidiata nel più bel cigno dell'imprenditorialità hi-tech europea. Un circolo virtuoso di buone università tecniche, manodopoera giovane e smart, affitti bassi e strutture pubbliche efficienti l'ha fatta diventare in due decenni il centro propulsore dell'innovazione più dinamico del Vecchio Continente. La regola d'oro di Richard Florida, l'inventore del Creativity Index, secondo cui talento, tolleranza e tecnologia attirano i creativi, a Berlino ha funzionato a meraviglia. E l'afflusso in massa degli investitori lo dimostra.


"Le buone idee hanno bisogno di un contesto ricco di nutrimento per realizzarsi: la Technische Universitaet sta facendo un lavoro fantastico per promuovere la creatività degli informatici e incoraggiare lo spirito imprenditoriale, così le start-up che s'insediano qui hanno facile accesso ai giovani talenti", spiega Niklas Zennstroem, il fondatore di Skype, che ha investito 3,1 milioni di euro nella start-up berlinese 6Wunderkinder con il suo fondo Atomico. "In più, la città dispone di incubatori e parchi tecnologici che aiutano i primi passi delle imprese, mentre gli affitti bassi danno più margine di manovra sul lungo periodo", fa notare Zennstroem. Gli spazi di co-working dilagano in città e il wi-fi libero è sempre più diffuso. Non solo incubatori pubblici, ma anche privati si stanno insediando qui, come Springstar di Klaus Hommels, uno dei finanziatori di Spotify. Hommels concorda con Zennstroem: "Berlino ha una buona probabilità di diventare la Silicon Valley d'Europa". I vantaggi sui costi, ad esempio rispetto a Londra, secondo lui sono determinanti. "Chi vuole aprire una start-up a Londra, deve pagare più del doppio, sia per il personale che per la logistica", fa notare Hommels. Ecco perché negli ultimi due anni si è insediata qui una comunità sempre più numerosa di nuove imprese digitali, non solo tedesche ma anche provenienti dal resto d'Europa.
Fra le più interessanti c'è Wooga, che spopola nel mondo del gaming con Monster World; SoundCloud, comunemente definita "YouTube della musica", con 10 milioni di utenti iscritti; KaufDa, un'app ormai presente sul 15% degli smartphone tedeschi, che aiuta gli utenti a trovare offerte in prossimità alla loro posizione; ResearchGate, un social network focalizzato sul target specifico dei ricercatori, che ha già 1,3 milioni di iscritti; Upcload, un sito web che misura istantaneamente la taglia delle persone con una videocamera e promette di rivoluzionare il mondo delle vendite d'abbigliamento online; Changers, che mette in comunicazione l'energia verde con i social network, offrendo ai clienti che comprano i suoi pannelli anche un contatore capace di postare su una pagina di Facebook i valori dell'energia prodotta; 12designer, il più grande mercato di compravendita di web-design; Chocri, che ha enorme successo con l'idea di vendere online cioccolata personalizzata, sia nella forma che nei gusti; Mister Spex, il più grande rivenditore online di occhiali di tutti i tipi; Readmill, un sito di social sharing per ebooks insediato nell'ex quartier generale della Stasi. Con questi e altri innovatori della rete, oggi Berlino sta raggiungendo la massa critica sufficiente a sprigionare una forza d'attrazione naturale per chiunque voglia inserirsi in un'economia di distretto. Non a caso stanno affluendo qui anche i grandi capitali di rischio americani, come Index e Accel.
Certo, la fama di capitale più cool del momento non basta per fare di una città il centro tecnologico di un continente. Ma è anche vero che nell'indice di Richard Florida delle città più creative la qualità della vita gioca un ruolo importante: il vibrante panorama culturale, l'accessibilità delle manifestazioni più importanti, dai concerti alla Berlinale, incentivano l'affluenza di talenti creativi. Se sei giovane, hungry e foolish, Berlino è perfetta.

14 febbraio 2012

Il solare alla resa dei conti del taglio dei sussidi

Fallimenti a catena, licenziamenti, taglio degli incentivi e crollo verticale del valore delle società, che nel 2011 hanno perso oltre 30 miliardi di dollari in Borsa. Il settore fotovoltaico mondiale, che l'anno scorso ha messo a segno complessivamente il miglior risultato della sua storia, grazie all'avvio di nuovi impianti per un totale di 28 gigawatt (+67% rispetto al 2010), è sconvolto dalla potente frenata di fine anno, dal calo del prezzo dei pannelli e dall'agguerrita concorrenza. In base ai dati di Solarplaza, la capitalizzazione delle 10 maggiori società quotate si è contratta di 16,5 miliardi di dollari in pochi mesi. E anche in Italia si sente la crisi.
L'americana Memc ha fermato lo stabilimento di Merano e la giapponese Mitsubishi sta riducendo drasticamente la sua presenza, dopo aver mandato a casa il numero uno della divisione fotovoltaica Gualtiero Seva. Il distretto padovano della green economy, con cinquemila addetti, sta perdendo Solon, che ha chiuso la linea di produzione delle celle e messo in cassa integrazione 80 dipendenti. Il gruppo tedesco, uno dei pionieri del settore, ha portato i libri in tribunale a dicembre e ora si parla di un interesse da parte della società emiratina Microsol. Fallimento anche per la rivale Solar Millennium mentre Q-Cells, un altro colosso tedesco del sole, è finita in mano ai creditori. Sumco, primo produttore fotovoltaico nipponico, ha appena annunciato l'uscita dalla lavorazione del silicio e sta per licenziare 1300 dipendenti, il 15% della sua forza lavoro. La britannica Bp ha deciso di uscire dal fotovoltaico, dov'era entrata 40 anni fa, e di smantellare la sua Bp Solar, come Nuon, controllata dalla svedese Vattenfall, che ha messo in vendita il ramo solare.

In Italia, il settore sta soffrendo anche per l'ennesima variazione normativa, contenuta nel decreto liberalizzazioni, che segna la fine degli incentivi per gli impianti a terra sui terreni agricoli, con una moratoria di 12 mesi per gli impianti inferiori a 1 megawatt, il cui iter autorizzativo sia partito prima dell'entrata in vigore del decreto. I rappresentanti dei produttori e installatori nazionali di pannelli sottolineano che "la mancanza di indirizzi chiari rischia di allontanare definitivamente gli investitori". Anche gli agricoltori di Confagricoltura hanno preso posizione contro l'inatteso stop, criticando apertamente il blocco agli impianti di piccole dimensioni e quello retroattivo per i grandi parchi sopra 1 megawatt, che erano fatti salvi dalla precedente normativa purché in funzione entro il marzo 2012.
Proprio nel 2011, paradossalmente, l'Italia è diventata il primo mercato mondiale del solare, con 9 gigawatt installati contro i 7,5 della Germania. Dietro il tandem italo-tedesco, che nel 2011 ha rappresentato quasi il 60% dell’installato mondiale, spicca il risultato della Cina con 2 gigawatt entrati in funzione nell'anno, seguita da Usa, Francia e Giappone. Il Vecchio Continente resta comunque la regione guida del fotovoltaico, con quasi 21 gigawatt connessi alla rete l'anno scorso. In Italia, il fotovoltaico ha coperto nel 2011 il 3,5% della richiesta di energia elettrica, mentre nel 2012 la produzione solare dovrebbe arrivare a soddisfare il 6% della richiesta.
Ma il taglio agli incentivi previsto nel decreto liberalizzazioni non è l'ultimo in vista. "Il governo ha indicato in 6-7 miliardi all'anno il tetto degli incentivi per il solare fotovoltaico e già l'incertezza della dizione 6-7 miliardi come tetto massimo sta provocando non pochi dubbi, perché molte banche cautelativamente si assestano sul valore inferiore", spiega Gianni Silvestrini, direttore del Kyoto Club. Resta da chiedersi quando si raggiungeranno queste soglie. Con il ritmo di 3 gigawatt all'anno di potenza installata si raggiungerebbe il tetto di 6 miliardi all'anno attorno alla metà del 2012 e i 7 miliardi alla fine del 2013. Se l'installato annuo si fermasse a 2 gigawatt, il primo step sarebbe raggiunto a fine 2012, mentre i 7 miliardi all'anno a fine 2014. "In relazione ai valori di potenza installata, il mercato italiano potrà dunque contare ancora su incentivi per un periodo oscillante tra 1,5 e 3 anni. Se il mercato viaggerà su potenze elevate, oltre i 3 gigawatt all'anno, per evitare un blocco totale degli incentivi è possibile che venga proposta una loro rimodulazione", precisa Silvestrini. E' chiaro dunque che ci si dovrà confrontare nel medio periodo con un contesto in cui il solare dovrà camminare sulle proprie gambe. Una prospettiva a cui molte aziende del settore farebbero bene a prepararsi.