Prima ci sono state le schermaglie, adesso è battaglia dura. I due campioni cinesi dell'eolico, Goldwind e Sinovel, puntano a scalare Vestas, gigante malato del Nord Europa. Se ce la faranno, Pechino diventerà leader su tutte le fonti rinnovabili, non solo sul solare che domina già con i suoi pannelli a buon prezzo, ma anche sul vento dove finora era l'Europa a prevalere.
La battaglia infuria in questi giorni alla Borsa di Copenhagen: le azioni della danese Vestas, primo gruppo eolico del mondo con il 15 per cento del mercato, sono schizzate in alto sulle voci di Opa imminente. Pioniera delle turbine già negli anni Settanta, Vestas è oggi alle prese con un crollo dei profitti derivante dall'aspra concorrenza sul mercato eolico e ha appena cambiato buona parte del management per raddrizzare la barra del timone. Il governo danese ha già messo in chiaro che non si opporrà in alcun modo: "Quello che sta accadendo riguarda il mercato privato, è escluso un intervento del governo", ha detto il ministro dell'Energia Martin Lidegaard. Ma la partita è tutt'altro che semplice. Il vasto e composito azionariato di Vestas renderebbe difficile il raggiungimento di un'adeguata soglia di adesione all'offerta. E i due contendenti per ora non si pronunciano ufficialmente.
Il colosso danese, che nel 2011 ha registrato un calo di fatturato del 15 per cento rispetto all'anno precedente (5,8 miliardi di euro contro i quasi 7 del 2010) e ha perso 166 milioni contro un utile netto di 156 milioni nel 2010, ha lasciato sul campo il 70 per cento del valore in Borsa nell'ultimo anno. Ma il suo margine operativo è comunque il triplo di quello di Goldwind e quattro volte quello di Sinovel, mentre il valore complessivo dell'azienda (2,3 miliardi di euro) è pur sempre 20 volte i ricavi di Goldwind e quasi 30 volte quelli di Sinovel.
Vestas resta quindi ardua da scalare, malgrado la crisi. Le sue prospettive, inoltre, non sono così disperanti. Il business eolico europeo è previsto in forte crescita in questo decennio, con un giro d'affari che dovrebbe triplicare fino a 95 miliardi di euro nel 2020, soprattutto grazie alle installazioni offshore nel Mare del Nord, di cui Vestas sta già approfittando alla grande. Le ordinazioni per il leader europeo del vento sono arrivate a un livello record nel 2012 (+40% rispetto al 2011) e il consenso degli analisti per quest'anno si attesta su oltre 7 miliardi di fatturato e il ritorno all'utile. Dopo il collasso ai vertici di febbraio, quando Vestas ha perso in un colpo solo il presidente, il direttore finanziario e altri due membri del board, ora ha appena insediato alla presidenza Bert Nordberg, uno specialista di ristrutturazioni che arriva da Sony Ericsson, mentre l'amministratore delegato è rimasto Ditlev Engel, in carica dal 2005 e deciso a recuperare il terreno perduto. Engel, 47 anni, aveva messo a disposizione il suo mandato dopo aver ammesso i "pesanti errori" commessi sotto la sua gestione, ma è stato confermato su indicazione del nuovo presidente, con cui ha concordato la nuova strategia della rinascita. L'azienda si appresta a tagliare il 10 per cento dei posti di lavoro e a chiudere almeno uno dei suoi stabilimenti, per limare 150 milioni dai costi operativi.
I tagli sono un duro colpo per l'economia danese. Vestas, che conta attualmente 22mila dipendenti, ha intenzione di ridurre soprattutto la sua forza lavoro in patria e di chiudere uno stabilimento nel Nord della Danimarca, dov'è nata e dove impiega 14mila persone. Aarhus, il primo porto danese, che ha visto la nascita di quest'industria negli anni Settanta con lo sviluppo delle turbine nella loro forma attuale, si considera la "capitale mondiale del vento", sia perché il 90% del business eolico danese ha origine da quelle parti, sia per la crescente distesa di parchi eolici, sulla terraferma e offshore, che generano oltre il 20% dell'energia elettrica del Paese. Ma Vestas, cresciuta a passo di carica nell'ultimo decennio, non è solo una potenza locale: ha impiantato fabbriche di turbine nei cinque continenti, dagli Usa alla Cina, dalla Spagna all'Australia, passando per l'Italia, dove impiega oltre 700 persone, distribuite fra lo stabilimento di Taranto e un importante centro di manutenzione, responsabile di più di 1800 turbine in diversi parchi eolici sparsi su un'area di mercato che comprende, oltre all'Italia, vari Paesi del Nord Africa, dei Balcani e del Medio Oriente, tra cui Albania, Egitto, Libia e Giordania.
Sarà un boccone molto grosso da digerire per i cinesi.