Calano i consumi di energia e così l'Italia rientra finalmente nei parametri di Kyoto, proprio nell'ultimo anno di vita del protocollo. Nel primo trimestre 2012, infatti, la domanda di energia si è ridotta dell'1,7%, ma la flessione di marzo, del 10,2%, indica un trend discendente ancora più marcato. Il tonfo è particolarmente evidente nella contrazione del 5% della domanda di elettricità (che mette in evidenza la crisi dell'industria), mentre il petrolio ha registrato una flessione del 10% e il gas del 22%. In controtendenza solo il carbone (+14,2%) e le fonti rinnovabili (+9,2%). Complessivamente, i consumi di combustibili fossili nel primo trimestre del 2012 si sono ridotti di 9,3 milioni di tonnellate rispetto al 2011, tanto che l'Italia per la prima volta è rimasta fuori dalla classifica dei primi quindici Paesi al mondo per consumi di prodotti petroliferi, scivolando al sedicesimo posto, alle spalle di Spagna e Indonesia.
Di questo passo, secondo i calcoli del Rie, la proiezione a fine anno delle emissioni italiane si attesterà a 473,3 milioni di tonnellate, un calo dell'8,3% rispetto ai valori del 1990, per la prima volta inferiore ai 483,2 milioni di tonnellate (-6,5% rispetto al '90) previsto come target di Kyoto. Prosegue, quindi, la decarbonizzazione dell'economia italiana che ha caratterizzato gli ultimi tre trimestri del 2011. Resta però un gap medio annuale per l'intero periodo 2008-2012 pari a 20 milioni di tonnellate all'anno, che il governo italiano dovrebbe coprire ricorrendo ai meccanismi flessibili del protocollo.
La vera sfida, ora, è quella che ci attende di qui al 2020, quando bisognerà andare ben oltre il vecchio protocollo di Kyoto. Sul target 20-20-20 il ministro dell'Ambiente Corrado Clini ha presentato al Cipe un piano nazionale dovrebbe portare l'Italia a rispettare gli impegni assunti nei confronti di Bruxelles. Anzi, Clini ha specificato che il piano del governo tiene conto del fatto "a livello europeo stiamo convergendo verso una strategia di lungo termine che prevede che una riduzione delle emissioni nel 2020 del 25%, entro il 2030 del 40%".
Ma non va dimenticato che i risultati ottenuti finora, più che sull'efficienza energetica, si basano sulla crisi dell'industria italiana. A causa del calo della produzione, negli ultimi mesi il mercato elettrico italiano è completamente cambiato. A marzo l'energia elettrica richiesta, 27,4 miliardi di kilowattora, è calata del 5,2% anno su anno. In aprile, addirittura, si è rischiato di far entrare in crisi il sistema elettrico, con un carico della rete ridotto nelle ore vuote sotto i 30mila megawatt, quando l'equilibrio del sistema ne richiederebbe almeno il 10% in più e con una domanda alla punta sui 42.000 megawatt, quando si potrebbe considerare normale per il mese di aprile un valore sui 47-48.000. Da qui l'andamento anomalo della Borsa elettrica, dove l'eccesso di offerta ha completamente modificato l'andamento dei prezzi, causa anche l'esplosione delle rinnovabili intermittenti. Eccesso di offerta generato, secondo Energy Advisors, da "incomprensibili decisioni d'investimento di diversi operatori, che hanno continuato a realizzare nuova potenza quando ormai il mercato era diventato lungo, che ora non riescono ad utilizzare se non in misura molto limitata".
La crescita della produzione fotovoltaica ha ribaltato i meccanismi di formazione dei prezzi, che schizzano nelle ore serali, in particolare quando il sole non alimenta più gli impianti fotovoltaici e i cicli combinati devono intervenire immettendo dosi massicce di energia termoelettrica a caro prezzo, per cercare di recuperare i margini che non riescono più a ottenere nelle ore di maggiore produzione solare. La robusta presenza del fotovoltaico smorza quindi i prezzi al picco diurno, ma per contro genera un aumento delle quotazioni nelle ore serali, dalle 18 alle 24. Risultato: il prezzo medio sale a causa dei rincari nelle ore vuote. E alla fine dei conti chi ci rimette sono sempre i consumatori, che continuano a pagare l'energia elettrica il 30% in più della media europea.
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