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23 dicembre 2012

Gli scozzesi corrono con il vento

Ogni turbina eolica, in Scozia, ha un nome. C'è White Dragon e Windy Wallace, Highland Spinner e e Twisty Turner. Sono i bambini delle scuole di Inverness che le hanno chiamate così. Per loro sono figure amichevoli, anche perché da quel vento le loro famiglie ci guadagnano. La crescita fenomenale della produzione di energia pulita scozzese, considerata un caso di scuola nella corsa europea allo sviluppo sostenibile, è strettamente legata alla voglia di partecipazione di queste comunità.

"Le cooperative cresciute attorno ai parchi eolici della zona raccolgono oltre 2.500 famiglie, che hanno investito di tasca propria in totale 5 milioni di sterline", spiega Graham Strachan, presidente della prima cooperativa e anima dell'iniziativa, che ha coinvolto finora 5 diversi parchi eolici realizzati dall'italiana Falck Renewables. "Il ritorno sull'investimento è molto interessante, supera il 10%", precisa Strachan. E di questi tempi, non è facile trovare un investimento sicuro con rendimenti di questa portata. "C'è chi investe pochi soldi a nome dei suoi nipotini e chi ci mette tutta la liquidità che possiede per costruirsi una pensione", racconta Strachan. Le cooperative danno la possibilità ai singoli individui di acquistare una quota dei parchi eolici a partire da 250 sterline, poco più di 300 euro, e non oltre le 20mila. La prima cooperativa è stata quella di Boyndie, nell'Aberdeenshire. Sono seguiti i parchi di Kilbraur nel Sutherland, Ben Aketil sull'isola di Skye e Millennium vicino a Inverness. "Oltre 1 milione di sterline è arrivato finora alle comunità coinvolte e in complesso è prevedibile che riceveranno almeno 11 milioni di sterline nel corso della vita di questi impianti, cioè altri vent'anni", precisa Strachan.
La modalità di coinvolgimento è quasi sempre la stessa. Non appena una nuova centrale eolica viene pianificata, le comunità locali sono coinvolte e consultate ad ogni stadio dello sviluppo e nelle successive attività. Questo aiuta a creare i necessari legami con gli abitanti del luogo. Falck ha sperimentato anche un approccio che integra le turbine di proprietà della comunità nei progetti del gruppo, come nel caso del parco di Earlsburn nello Stirlingshire, dove una delle turbine è di proprietà del paesino di Fintry. Gli abitanti di Fintry desideravano da tempo una propria turbina e Falck ha lavorato con la comunità ad un piano per installarla accanto alle 14 già previste dal piano del suo parco. Con il ricavato della turbina, oltre 100mila euro all'anno, Fintry ha realizzato progetti per isolare le abitazioni, ha installato caloriferi nell'atrio del centro comunale e ha fornito caldaie a legna per il centro sportivo.
Più in generale, ogni progetto cerca di aggregare le risorse presenti sul territorio. Nella fase di costruzione e operatività dell'impianto, vengono stipulati contratti con aziende locali, laddove possibile e commercialmente fattibile. Fin dal primo parco eolico scozzese, realizzato nel 2006, Falck ha firmato contratti con imprese scozzesi per circa 40 milioni di sterline, con una media di 140 persone impegnate nei lavori di progettazione e costruzione. Il prossimo, in costruzione a Nutberry, sarà pronto a metà 2013. Si cerca inoltre di rendere le centrali eoliche parte integrante delle comunità in cui sono localizzate. Gruppi di scolari del luogo e di altre comunità vengono regolarmente a visitare i siti e gli stessi ingegneri di Falck forniscono spiegazioni sull'energia eolica alle scuole. In pratica, dopo aver abbandonato l'acciaio, l'azienda italiana sta riproponendo all'estero l'imprenditoria sociale che era il suo marchio di fabbrica a Sesto. La storia della sua crescita nel Regno Unito, dove ha altri tre progetti eolici già autorizzati, è la dimostrazione di come profitto e sviluppo possano essere raggiunti in modo sostenibile, creando benessere per tutti gli stakeholders: azionisti, dipendenti, territorio e comunità locali.

2 dicembre 2012

Parigi chiama Berlino: nasce l'Airbus delle rinnovabili?

Parigi chiama Berlino per agganciarsi alla transizione energetica del potente vicino, in uscita dal nucleare. Laurent Fabius e Delphine Batho, ministri degli Esteri e dell'Energia, hanno lanciato un deciso appello pubblico a favore di una politica comune "rinnovata, solidale e aggressiva" e per la "costituzione di un campione europeo dell'energia rinnovabile", un Airbus delle fonti verdi, a partire dalle eccellenze europee già presenti nel settore, dall'eolico al solare, dai veicoli elettrici alle energie marine, passando per l'efficienza energetica.

Eia
Dopo la Germania, anche la Francia comincia a prendere sul serio l'idea di una politica energetica che guardi oltre l'atomo. Non a caso Edf, Areva e Alstom si sono lanciate nel mondo delle fonti rinnovabili, costruendo dal nulla e con successo, ad esempio, un comparto eolico che fino a poco tempo fa non avevano. Sull'altra sponda del Reno, Siemens ha deciso di uscire completamente dal nucleare e si è buttata a corpo morto nell'eolico offshore, dove ormai ha una quota di mercato del 75%. Con un'alleanza in questo settore, Parigi e Berlino potrebbero creare un campione europeo imbattibile, capace di far fronte alla potente concorrenza cinese. Altrettanto potrebbero tentare mettendo a fattor comune le eccellenze di Alstom e Siemens sulle smart grid o sull'efficienza energetica. Per non parlare del solare, dove i big tedeschi, da Solarworld a Q-Cells, potrebbero felicemente coniugarsi con le regine francesi, come Soitec o Photowatt, recentemente acquisita da Edf.
L'appello dei ministri francesi è tanto più significativo, in quanto arriva dal campione mondiale dell'industria nucleare, che per cinquant'anni si è mosso in totale autarchia rispetto alla politica energetica europea. Ma dopo Fukushima anche la Francia, estremamente legata all'atomo con il 75% di produzione elettrica nucleare, ha deciso di scendere a quota 50% al 2025, limite entro il quale il Belgio si è dato l'obiettivo di uscire completamente dal nucleare, da cui oggi deriva il 51% della sua produzione elettrica. La Germania, da parte sua, conta di abbandonare l'atomo entro il 2022 e la Svizzera, con il 40% di produzione elettrica da nucleare, è intenzionata a seguirla. La decisione sulle tecnologie da privilegiare per sostituire quella parte del parco nucleare, che sta diventando progressivamente obsoleto e verrà spento, è la più importante scelta industriale cui sono chiamati i governi europei attualmente in carica.
Fabius e Batho non citano a caso l'esempio di Airbus, il consorzio d'imprese aeronautiche francesi e tedesche - cui si sono poi aggiunti spagnoli e britannici - creato nel 1970 per competere ad armi pari con i colossi americani del settore. Proprio Louis Gallois, ex numero uno di Airbus, è il mandarino a cui François Hollande ha affidato il compito di dare la sveglia alla competitività francese, commissionandogli un rapporto su cui è in corso un furioso dibattito interno. Lo stesso Hollande ha già suggerito, in un discorso sul futuro industriale europeo, che Parigi e Berlino "potrebbero costituire un'avanguardia, lanciando una cooperazione tra le aziende dei due Paesi impegnate nella transizione energetica". Un dibattito analogo infuria in Germania, dove Michaele Schreyer, ex commissaria europea dei verdi, combatte da anni per il lancio di un'agenzia europea per le rinnovabili, Erene, che faccia le funzioni svolte un tempo dall'Euratom per il nucleare. La grande industria ha preso perfettamente sul serio Angela Merkel nella sua svolta energetica fuori dall'atomo, che il ministro dell'Ambiente, il cristiano democratico Peter Altmaier, ha definito "il nostro sbarco sulla luna", intendendo con questo l'apertura di un orizzonte industriale totalmente nuovo. Ma la spartizione della nuova torta per ora è una battaglia tutta interna.
I francesi invece vogliono capire se la Germania, al cui recente miracolo economico ha contribuito non poco la crescita fenomenale dell'industria delle rinnovabili, vorrà "sbarcare sulla luna" da sola o in compagnia. Ha senso tappezzare di pannelli solari Made in China i campi del Nord della Germania, dove il sole non c'è, solo per mancanza di un progetto comune? Non sarebbe meglio lanciare una strategia continentale delle fonti rinnovabili, mettendo in rete il vento del Nord e il sole del Sud, le biomasse dei campi e le correnti marine della Manica, per convogliarle in un mercato comune, facendo leva sulle eccellenze di ogni Paese? E' quello che si chiede anche il commissario europeo Günther Oettinger quando invita i tedeschi a "includere l'Europa" nella loro svolta: "I costi della transizione saranno più bassi". E' quello che chiederanno anche Laurent Fabius e Delphine Batho "al Consiglio Energia della Ue in programma il prossimo maggio, facendo leva sulla cooperazione franco-tedesca". Gli altri, intanto, stanno a guardare.