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17 novembre 2013

L'oro nero diventa rosso

Il petrolio va in rosso. Dopo le grandi compagnie elettriche, anche le major dell'oro nero mostrano segni di stress di fronte alla grande trasformazione in atto, malgrado la tenuta del prezzo del greggio, che dovrebbe aiutarle. Si vede dai risultati di questi giorni, ma anche dalle loro difficoltà di lungo periodo a mantenere i livelli di produzione senza svenarsi. Shell, Total, ExxonMobil, Chevron ed Eni hanno registrato profitti netti in caduta nel terzo trimestre dell'anno, per Shell quasi di un terzo, per Eni del 29,4% (meglio del previsto), per Total del 19,4%, per ExxonMobil del 18,7% e per Chevron del 4%. 


Il punto dolente, in questo caso, sono i margini sempre più ristretti per la raffinazione. Exxon ha registrato una caduta dell'81% sui profitti del downstream e Shell del 49%. La congiuntura negativa sta abbattendo la domanda di prodotti raffinati, così come ha colpito la domanda elettrica, soprattutto in Europa. I produttori hanno risposto con la chiusura di moltissimi impianti di raffinazione: dal 2008 ad oggi l'Europa ha tagliato 1,7 milioni di barili al giorno di prodotti raffinati, ma sul mercato resta ancora un eccesso di capacità. I dati dell'International Energy Agency indicano che quest'anno la domanda europea di prodotti raffinati sarà di 13,5 milioni di barili al giorno, 2 milioni di barili in meno rispetto al 2008. L'eccesso di capacità nel sistema ha decisamente depresso i margini della raffinazione: Total ha ottenuto un guadagno di 10,60 dollari per la raffinazione di una tonnellata di petrolio nel terzo trimestre, contro i 51 dollari di un anno fa. Al di là della crisi economica, incide anche su questo mercato la crescente efficienza energetica del sistema europeo, che punta a ridurre progressivamente i consumi di idrocarburi a tutti i livelli, dalla produzione industriale fino ai consumi delle auto private.
Alla caduta della domanda, che colpisce il downstream, si aggiunge l'aumento dei costi nell'upstream. Le major spendono sempre di più per estrarre il petrolio, ma ne producono sempre di meno. Intrappolate in questa spirale, le grandi perdono il favore degli investitori, che tendono a preferire le compagnie più piccole e più flessibili, nate dalla nuova ondata di sfruttamento degli idrocarburi non convenzionali, come il gas e il petrolio da scisti. In complesso, il settore petrolifero è in leggero ribasso negli ultimi 18 mesi, mentre il resto del mercato ha guadagnato oltre il 20%.
I motivi di questa performance modesta possono essere diversi a seconda delle compagnie. Nel terzo trimestre, ad esempio, Eni ha riportato una caduta della produzione del 3,8%, a 1,65 milioni di barili al giorno, per i disordini "straordinari" in Libia e in Nigeria, che stanno peggiorando di giorno in giorno. Ma emerge chiaramente un trend comune. Le major devono spingersi in località sempre più remote e in ambienti tecnicamente più difficili, come le sabbie bituminose canadesi, gli idrocarburi da scisti, le acque profonde del Brasile e l'offshore artico, in giacimenti molto più costosi da sviluppare rispetto alle riserve convenzionali. Di conseguenza, le spese aumentano in tutto il settore e in qualche caso il flusso di cassa non è in grado di coprire sia spese che dividendi, per cui alcune compagnie sono state costrette a ricorrere al credito o a vendere asset per coprire questo gap. I grandi gruppi si erano già trovati altre volte a corto di risorse proprie, come nel '99 oppure all'inizio del 2009, in seguito a forti riduzioni del prezzo del petrolio. Ma stavolta non sono le quotazioni del greggio che calano, sono le loro spese che crescono.
L'aspetto positivo per le major è l'apertura di nuovi spazi per l'estrazione, anche se a caro prezzo. Fino a pochi anni fa, sembrava scontato che gli unici giacimenti sfruttabili fossero in aree politicamente off limits, come il Medio Oriente, la Russia, il Venezuela o l'Asia Centrale. I grandi gruppi indipendenti avevano reagito sfruttando giacimenti sempre più complessi, nell'Artico europeo, in Alasca o nelle acque profonde del Golfo del Messico. Ma le opportunità di crescita sembravano ridursi rapidamente. Ora non è più così. Come ha detto il capo di Shell Peter Voser, "non siamo più limitati dalla mancanza di opportunità, ma dalle carenze di capitale". Non è chiaro se questo ottimismo basterà a riportare a casa gli investitori.

11 novembre 2013

Il sole batte il vento per la prima volta

Il sole batte il vento per la prima volta nella storia delle fonti rinnovabili. Lo storico sorpasso emerge dai dati del terzo trimestre, sulla base dei quali si può prevedere che quest'anno la nuova potenza fotovoltaica arriverà a superare i 36 gigawatt, mentre l'eolico si fermerà a 35,5 gigawatt complessivi, compreso l'offshore, secondo Bloomberg. "Dieci anni fa, il rapporto tra le nuove installazioni eoliche e solari era di 12 a 1 a favore del vento e tutto fa pensare che il solare continuerà a crescere più rapidamente, per la possibilità di diffondersi in diversi Paesi anche senza l'impiego di incentivi", spiega Gianni Silvestrini, direttore del Kyoto Club.


Il motivo del sorpasso va ricercato, da una parte, nella forte crescita del solare in Cina e in Giappone, soprattutto nel settore residenziale, che nel 2014 è destinata ad accentuarsi. Trainata da questi due Paesi, nel periodo luglio-settembre 2013 la potenza solare ha toccato il record assoluto di 9 gigawatt installati, crescendo del 6% rispetto al precedente trimestre e del 20% rispetto allo stesso periodo nel 2012. La crescita proseguirà nel quarto trimestre 2013, secondo le stime di Solarbizz, con altri 10-12 gigawatt in più. Di conseguenza, considerando i 15 gigawatt installati nel primo semestre, quest'anno la nuova potenza solare oscillerà fra i 34 e 36 gigawatt complessivi secondo Solarbuzz, una previsione perfettamente in linea con i 35 gigawatt stimati da Ihs e molto vicina all'ultimo report di Bloomberg New Energy Finance, che prevede invece una nuova potenza annuale di 36,7 gigawatt. L'anno prossimo è previsto un ulteriore balzo, fra i 45 e i 55 gigawatt a livello globale, la metà dei quali in Cina e Giappone, secondo Solarbuzz. La domanda extraeuropea continuerà quindi a trainare la crescita del fotovoltaico, compensando il rallentamento del Vecchio Continente, che ancora nel 2011 rappresentava il 70% del mercato. Alla base di questo successo c'è un forte gradimento da parte delle opinioni pubbliche locali, che ha favorito l'avvio di generose politiche di supporto e il rapido crollo dei prezzi dei moduli.
Sul fronte dell'energia del vento, invece, quest'anno c'è stato un forte rallentamento nei due mercati eolici principali, Cina e Stati Uniti, afflitti dall'incertezza normativa. L'anno scorso negli Usa erano stati installati 13 gigawatt di nuova potenza eolica: un record senza precedenti. In Cina, con 14 nuovi gigawatt eolici nel 2012, l'enegia dal vento aveva sorpassato il nucleare in termini di produzione, diventando la terza fonte per contributo al mix elettrico, dietro a carbone e idroelettrico. Stando ai dati dell'associazione eolica cinese, nel 2012 il vento ha fornito al gigante asiatico oltre 100 miliardi di kilowattora. Grazie al contributo di questi due Paesi, l'anno scorso le installazioni eoliche globali erano cresciute del 46%, contro il 35% di quest'anno.
Malgrado l'attuale rallentamento dell'eolico, il vento e il sole sono destinati a contribuire in maniera quasi equivalente alla crescita della capacità elettrica globale da qui al 2030. L'eolico passerà dal 5% del 2012 al 17% della potenza elettrica mondiale nel 2030, mentre il fotovoltaico, che parte da un livello più basso, passerà dal 2% del 2012 al 16% nel 2030, in base alle stime di Bloomberg. Dopo anni di sovracapacità e consolidamento, secondo il report, da quest’anno entrambi i settori torneranno a fare profitti, grazie al taglio dei costi e al riposizionamento su segmenti di mercato più remunerativi. Un cambiamento notato dai mercati azionari, tanto che le azioni delle compagnie del settore hanno recuperato in media il 66% dai minimi toccati nel luglio 2012.
"Gli scenari futuri, pur molto diversificati, indicano generalmente target ambiziosi. Nel prossimo quinquennio, secondo le ultime valutazioni dell'International Energy Agency, l’elettricità del sole dovrebbe aumentare del 140% e quella del vento del 74%, anche se in termini assoluti l’elettricità del vento continuerà a dominare", precisa Silvestrini. Il boom del solare è destinato nei prossimi anni ad allargarsi anche ai Paesi più arretrati, dove potrebbe consentire a larga parte degli 1,5 miliardi di persone senza accesso all'elettricità di fruire di questo servizio in tempi molto più rapidi del previsto.